SCIENZA E RICERCA

L’Ultimo massimo glaciale ha plasmato geni e culture degli antichi europei

I cambiamenti climatici che investirono il pianeta durante l’ultima era glaciale resero inospitali alcune aree del continente e costrinsero le popolazioni umane a migrare verso le zone mediterranee, in cerca di rifugio climatico. Nei millenni successivi, quando le temperature si rialzarono, i discendenti di queste comunità di cacciatori e raccoglitori tornarono a diffondersi in tutta Europa. Queste antichissime dinamiche demografiche hanno plasmato la composizione genetica degli abitanti del continente europeo nell’arco di migliaia di anni. Ricostruirle serve a comprendere i meccanismi di trasmissione non solo genetica, ma anche culturale, che hanno caratterizzato il loro (e il nostro) passato. Eppure, ancora non si conoscono tutte le fasi di questa lunga e complessa storia. Non era mai stato chiarito, ad esempio, quali e quanti dei gruppi di popolazione che vivevano in Europa durante il Paleolitico superiore riuscirono effettivamente a sopravvivere all’Ultimo massimo glaciale, il periodo dell’era glaciale compreso tra i 25.000 e i 19.000 anni fa in cui le temperature raggiunsero il loro minimo storico.

Un nuovo studio, pubblicato su Nature, ha cercato di colmare questa lacuna svolgendo la più ampia analisi mai condotta finora di genomi antichi tratti dai resti degli individui che vissero in Europa durante l’era glaciale. L’analisi di questi campioni di dna ha permesso di delineare i legami culturali e di discendenza genetica tra i diversi gruppi umani che abitavano il continente tra i 35.000 e i 5000 anni fa, ovvero nell’arco di tempo a cavallo dell’Ultimo massimo glaciale.

Abbiamo chiesto a Cosimo Posth, docente di archeogenetica all’università di Tubinga, leader del gruppo di paleogenetica all’istituto di ricerca Max Planck e primo autore dello studio, di raccontarci i risultati principali di questo lavoro che riguardano, in particolare, due popolazioni che vivevano in Europa dopo l’Ultimo massimo glaciale. La prima, diffusa in Italia, Repubblica ceca e Austria, discendeva da gruppi dell’est Europa che dovevano essersi spinti verso ovest poco prima dell’Ultimo massimo glaciale. La seconda, che abitava nelle attuali Francia e Spagna, discendeva da popolazioni locali.

“Il nostro scopo era quello di ricostruire, innanzitutto, la composizione genetica degli individui che vivevano in Europa prima di questo cambiamento climatico così drammatico”, premette Posth. “Dopodiché abbiamo cercato di scoprire quali gruppi fossero effettivamente sopravvissuti a quel periodo. L’ipotesi attuale è che alcuni luoghi dell’Europa meridionale, come la penisola iberica, quella italiana e la penisola balcanica, abbiano rappresentato dei rifugi climatici per le popolazioni europee durante il periodo dell’Ultimo massimo glaciale. Volevamo quindi scoprire cosa fosse accaduto alle comunità che già vivevano in questi luoghi prima dell’evento climatico in questione”.

Il problema principale che aveva finora impedito agli autori di conoscere il destino di questi individui riguarda, in particolare, la scarsità dei campioni genetici a disposizione. Come racconta Posth, infatti, “la prima ricerca che abbiamo svolto per indagare la questione risaliva al 2016 e si basava su un insieme di campioni di dna provenienti da soli 51 antichi cacciatori e raccoglitori vissuti in un arco di tempo compreso tra i 45.000 e i 7.000 anni fa: è chiaro che un numero di campioni così esiguo non bastava per ricostruire con sufficiente accuratezza quasi 40.000 anni di storia umana.

In questi ultimi anni il dataset è stato notevolmente ampliato e oggi contiene 240 campioni genetici che coprono il periodo di cui ci stiamo occupando, che inizia poco tempo dopo l’arrivo dei Sapiens in Europa (che avvenne all’incirca 45.000 anni fa) e termina con la formazione delle prime comunità agricole. Per il nostro studio abbiamo inoltre campionato per la prima volta il dna di 116 nuovi individui. L’insieme dei dati genetici utilizzati per lo studio proviene quindi da un totale di 356 esseri umani antichi originari di diverse aree europee e vissuti in un arco di tempo compreso tra i 35.000 e i 5000 anni fa”.


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I risultati dell’analisi genetica sono stati incrociati con dati ambientali – ottenuti attraverso le ricostruzioni paleoclimatiche che oggi permettono di conoscere le variazioni di temperatura, umidità e precipitazioni avvenute nel corso dei millenni – e archeologici. “Ogni resto osseo rinvenuto durante uno scavo è associabile a un contesto culturale – spiega Posth – perché si trova accompagnato da manufatti litici di un certo tipo o perché riflette una determinata tradizione funeraria”. I reperti di cultura materiale permettono di ipotizzare il livello di complessità cognitiva e le abitudini quotidiane degli individui che popolavano il nostro pianeta in epoche così remote e ci danno un’idea più o meno vaga di come vivessero, ragionassero e sognassero i nostri più lontani antenati. “Paragonando i dati genetici e archeologici possiamo capire se e quando individui appartenenti alla stessa cultura siano omogenei anche dal punto di vista genetico”, continua Posth. “Al contrario, può accadere che individui imparentati tra loro riflettano tradizioni culturali differenti con il susseguirsi delle generazioni, perché la cultura evolve e si trasforma nel corso del tempo”.

Seguire questo doppio filo tra genetica e cultura ha permesso a Posth e coautori di raggiungere dei risultati sorprendenti che smentiscono alcune ipotesi precedenti. “Le conclusioni tratte dallo studio del 2016 indicavano che i popoli precedenti all’Ultimo massimo glaciale fossero geneticamente omogenei, perché l’analisi dei reperti di cultura materiale suggeriva che essi appartenessero tutti al gravettiano, una cultura paneuropea diffusa ovunque nel continente fino a 26.000 anni fa”, spiega Posth. “Il nostro ultimo lavoro mostra invece che gli individui che abitavano in Spagna e nel sud-ovest della Francia possedevano un patrimonio genetico completamente diverso rispetto a quello dei popoli che vivevano in altri luoghi in Europa, come l’Italia e le aree centrorientali del continente che corrispondono alle attuali Repubblica Ceca e Austria.

Aver riscontrato la presenza in Europa di due popoli geneticamente distinti entrambi associati alla cultura gravettiana – uno che abitava tra la Spagna e il sud della Francia e l’altro diffuso nell’Europa meridionale e dell’est – è stato il passaggio fondamentale che ci ha permesso di rispondere al secondo quesito che ci eravamo posti e scoprire, in altre parole, se tali gruppi fossero sopravvissuti o meno all’Ultimo massimo glaciale”.

 

“Abbiamo scoperto che la popolazione gravettiana che viveva in Spagna prima dell’Ultimo massimo glaciale è sopravvissuta a questo periodo”, racconta Posth. “Infatti, gli individui ritrovati in questo luogo dopo l’evento climatico in questione discendono da essi, nonostante la loro cultura si sia progressivamente evoluta da gravettiana a solutreana e poi a magdaleniana. Si tratta di un punto importante: se il cambiamento culturale in questione non corrisponde a un mutamento genetico (e quindi all’arrivo di nuove popolazioni) è plausibile ritenere che sia stato determinato proprio dagli effetti del cambiamento climatico, che potrebbe aver modificato abitudini, comportamenti ed esigenze quotidiane.

Al contrario, abbiamo scoperto che le popolazioni che vivevano nell’Italia meridionale – altro rifugio climatico per eccellenza durante l’Ultimo massimo glaciale – sono state completamente rimpiazzate dalle nuove popolazioni che vennero a cercarvi riparo per sfuggire al freddo”, continua Posth. “L’analisi del dna mostra infatti che gli individui che vivevano in Italia dopo l’Ultimo massimo glaciale, i quali appartenevano a una cultura chiamata epigravettiano, non discendevano da quelli che ci abitavano precedentemente. Quest’evidenza è sorprendente, perché l’epigravettiano è sempre stato interpretato come una trasformazione del gravettiano, e si riteneva quindi che fosse associato ai discendenti delle popolazioni di cultura gravettiana”.

Cosa sia successo dopo l’arrivo in Italia delle nuove popolazioni rimane, per il momento, un mistero. “Non sappiamo se i due popoli in questione si siano mai davvero incontrati e, soprattutto, cosa sia successo agli individui che abitavano nel Meridione prima dell’Ultimo massimo glaciale”, prosegue Posth. “Ancora non disponiamo di dati sufficienti a individuare l’esatto intervallo di tempo in cui è avvenuto lo “scambio” di popoli appena descritto”.

Lo studio di Posth e coautori suggerisce che i nuovi gruppi che colonizzarono il Sud Italia  provenissero, con buona probabilità, dai Balcani. “Nonostante il nostro dataset comprenda pochi campioni genetici provenienti dai Balcani e risalenti all’epoca dell’Ultimo massimo glaciale, ci sono due evidenze indirette che rendono plausibile la nostra ipotesi”, spiega Posth. “la prima evidenza è che gli individui di cultura epigravettiana che vivevano in Italia dopo l’Ultimo massimo glaciale conservano nel loro dna delle tracce genetiche associate all’area del Levante. Questi dati genetici lasciano supporre l’esistenza di una popolazione “a metà strada” tra il vicino Oriente e l’Italia, discendente, in parte, da individui mediorientali. La seconda evidenza che avvalora l’ipotesi che le popolazioni di cui parliamo provenissero dai Balcani è stata tratta da un’analisi filogenetica, ovvero una ricostruzione dell’albero evolutivo di una popolazione che tiene conto della posizione geografica in cui sono stati rinvenuti i resti degli individui che ne facevano parte. La filogenetica suggerisce che il popolo in questione non sia arrivato dal sud e dalle isole, come era stato ipotizzato finora, bensì dal nord-est (all’epoca il livello dei mari era molto più basso, quindi il passaggio che collega l’Istria alle aree costiere del triveneto e poi all’Emilia Romagna non era completamente sommerso dalle acque come adesso). Una volta entrati in Italia da nord-est, questi popoli discesero la penisola e si stabilirono nelle aree meridionali, dove rimasero per millenni senza mai mescolarsi alle persone che vivevano lì prima del loro arrivo e delle quali, come abbiamo detto, non sono state più trovate tracce dopo l’Ultimo massimo glaciale”.

“La ricostruzione del passato è un processo lungo e complicato in cui nulla può mai essere dato per scontato”, afferma Posth. “Quando si osserva un cambiamento culturale in una stessa area geografica, questo può essere dovuto all’arrivo di nuove popolazioni – che si portano dietro un bagaglio di geni e di tradizioni culturali che viene unito a quello dei locali – oppure ad altri fattori esterni, come ad esempio un mutamento delle condizioni ambientali: questo è quanto è accaduto in Spagna, dove il passaggio dalla cultura gravettiana a quella solutreana e poi a quella magdaleniana sembra sia avvenuto indipendentemente dall’arrivo di nuovi popoli. In Italia, al contrario, il passaggio dal gravettiano all’epigravettiano è da ricondursi, come abbiamo detto, a un vero e proprio rimpiazzamento di popolazioni”. Le evidenze tratte dallo studio di Posth e coautori rendono chiaro ancora una volta quanto sia complicato cercare di unire in maniera coerente le innumerevoli tessere del grande e, in parte, ancora misterioso puzzle della storia dell’evoluzione umana.

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