SCIENZA E RICERCA

Maladaptive daydreaming, l'eccessivo fantasticare

Sognare a occhi aperti sembra essere una attività priva di controindicazioni (ce ne siamo occupati recentemente): liberare l'immaginazione prendendosi delle pause, sostando in uno stato di quiete o attesa, può renderci più creativi e influire positivamente sulla plasticità cerebrale. Fin qui tutto bene, ma cosa avviene quando il sogno a occhi aperti si mangia tutto il resto, quando inghiotte il tempo e la vita reale? L'eccessivo fantasticare ha un nome: maladaptive daydreaming. Nel 2002 Eli Somer dell'Università di Haifa lo descrive come "un’attività di fantasia estesa, che rimpiazza le interazioni umane e/o interferisce nel funzionamento accademico, interpersonale e vocazionale dell’individuo".

Su Il Bo Live ne parliamo con Silvia Salcuni, psicologa psicoterapeuta, docente di Psicologia dinamica del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell'Università di Padova, direttrice della Scuola di Psicoterapia universitaria di specializzazione in Psicologia del ciclo di vita. Per iniziare a capire, partiamo dalla definizione: il maladaptive daydreaming (MD) include un’attività immersiva nella fantasia che tende a creare dipendenza ed è accompagnata da una serie di movimenti stereotipati. Caratterizzato dall’assorbimento completo nell’attività del daydreaming, è associato ad alti livelli di distress con presenza di comorbidità con diverse psicopatologie. L'utilizzo maladattivo si interpone con il funzionamento quotidiano in diverse aree della vita quotidiana.

"Fantasticare è una attività normale. Sognare ad occhi aperti è un comportamento fisiologico e adattivo che mettiamo in atto sin da bambini - spiega Silvia Salcuni -. Ne parlava Freud e anche Winnicott. Attraverso il pretend play il bambino piccolo si può identificare con i genitori, fa finta di essere la mamma o il papà, gioca e immagina scenari. Nella natura umana la fantasia ha una funzione fisiologica e un ruolo anticipatorio rispetto a una serie di situazioni. I bambini hanno una predisposizione naturale perché il loro fantasticare è collegato al gioco. Crescendo, questo fantasticare viene sempre più distinto dalla realtà: la fantasia resta anche negli adulti, pensiamo ai creativi, ma viene messa a disposizione dell'adattamento. Inventando Hogwarts e il mondo di Harry Potter, J.K. Rowling ha usato moltissimo la fantasia, mettendola però a frutto nella realtà. Al di là di questi fattori predisponenti, che ognuno possiede in misura diversa, la fantasia può diventare un modo per fuggire dalla realtà. Nel 2002, per primo, Eli Somer si è interrogato sulla questione dopo aver osservato pazienti adulti che usavano la fantasia come un rifugio, un mondo a parte che toglie energie e investimenti dal mondo reale. Dal 2002 ad oggi sono in forte crescita le ricerche e i modelli di spiegazione eziologica di questa modalità di funzionamento adulta che porta a disadattamento. Tuttavia, su modelli e sintomi non vi è ancora un accordo che abbia permesso, nel 2017, di inserire il disturbo all'interno del DSM-5, anche se gli studi recenti sottolineano alcune caratteristiche e sintomi più definiti che ci aiutano a inquadrarlo meglio rispetto al 2002". 

Quali sono le caratteristiche? "Le fantasie sono molto vivide, è un film molto intenso. Mentre sono nel daydreaming (maladattivo, ndr), le persone vivono esperienze di immersione facilitate dalla musica o da movimenti stereotipati, il dondolio per esempio: vi è una sorta di substrato ripetitivo che induce e mantiene questo stato ed è ventuali interruzioni dell'attività provocano sensazioni negative, di fastidio. Tutto questo rivela un auto-assorbimento consolatorio. Ci sono persone che mantengono questa condizione per ore, per una mezza giornata, saltando i pasti, dimenticando gli appuntamenti e gli impegni: perdono la cognizione del tempo". E Salcuni continua: "Le teorie attuali tendono a inquadrarlo sotto il cappello dei disturbi dissociativi: la mente si scollega dalla realtà per rifugiarsi nel mondo della fantasia, che diventa strutturato, una sorta di vita parallela estremamente attrattiva per il soggetto, al punto da essere definita una dipendenza comportamentale al pari del gioco d'azzardo patologico.

Esiste una predisposizione? “Da una parte sì, esiste una predisposizione alle fantasie, ma dall'altra si aggiunge il rinforzo ambientale: alla base del MD può esserci un isolamento sociale durante l'infanzia, oppure possono essersi presentati veri e propri episodi traumatici infantili che possono aver scatenato paura e portato il bambino a rifugiarsi nel mondo di fantasia. Inizialmente la fantasia ti aiuta perché ti solleva dal dolore o dal senso di solitudine, ma in qualche modo più ti rifugi in quel mondo più ti isoli e ti scolleghi: diventa perciò una dipendenza comportamentale perché dà un senso di protezione e padronanza ma ti scollega sempre di più dalla realtà". 

"Non è mai presenza-assenza, è un continuum. In alcuni casi vengono creati personaggi e altre identità, compresa quella di chi sperimenta il maladaptive daydreaming, che quindi costruisce per sé una storia alternativa a quella reale. "Secondo alcune teorie recenti, casi gravi di MD potrebbero portare addirittura a un disturbo dissociativo di identità multiple. Sottolineo che si tratta di un territorio ancora tutto da esplorare, sono teorie non ancora approvate e non sufficientemente chiare. Alcune mostrano il MD come un'attività in un continuum dei disturbi dissociativi, quindi bisogna capire quanto è strutturata e quanta energia viene impiegata". Anche per quanto riguarda il genere gli studi non hanno ancora portato a risposte certe.

"Si pensa poi a una prevalenza di soggetti con ADHD, disturbo di deficit dell'attenzione e iperattività, ma ad oggi gli studi sono quantitativamente troppo pochi per poter formulare una definizione specifica. Stesso discorso per la comorbidità con ansia e depressione, ma anche in questo caso non sappiamo dire cosa si verifichi prima, si fatica a capire da dove tutto sia partito". Una cosa è certa, "il maladaptive daydreaming porta a disadattamento". Per un ideale di partner perfetto, che non esiste nella realtà, per esami che immagino di superare brillantemente ma per i quali, nella vita reale, non sto effettivamente studiando.

Si fantastica sempre per creare un mondo parallelo ideale o le fantasie possono anche essere costruite attorno a qualcosa di oscuro? "Entrambe le cose. Pare che il motivo originario di uso della fantasia sia di alleviare qualcosa: si possono alleviare sentimenti negativi immaginando scenari positivi, ma chi ha sperimentato la paura oppure ha vissuto dei traumi può anche fantasticare su questi aspetti negativi per provare a padroneggiarli. Sono dinamiche messe in atto nel daydreaming anche quando è maladattivo: l'obiettivo finale è padroneggiare qualcosa. La differenza la fanno il problema, i sentimenti, lo scenario".

Del fenomeno si parla e si sa poco, "da una parte perché non fa parte delle categorie diagnostiche ufficiali, e quindi i professionisti non lo indagano in maniera diretta ma, piuttosto, lo colgono insieme ad altro; dall'altra perché chi soffre di questa modalità di dipendenza comportamentale si vergogna tantissimo perché non riesce a smettere. E la vergogna in sé è anche un trigger per attivarlo". Questo alimenta l'isolamento della persona. "Negli ultimi anni sono nati un consorzio internazionale e molti blog, anche italiani, per le persone che sospettano che la propria attività di fantasia non sia completamente regolare e a cui vengono proposti test online in varie lingue: sono state validate diverse scale diagnostiche - maladaptive daydreaming scale - per indicare quantità, qualità e livello di disadattamento che questo tipo di attività provoca nella vita perché, oltre ai sentimenti di inadeguatezza e vergogna, vi è proprio una dipendenza comportamentale".

Il daydreamer maladattivo "non è necessariamente psicotico, fa sicuramente fatica a gestire la realtà ma la percepisce, proprio per questo la sua attività rientra negli stati dissociativi: si crea una realtà parallela più gestibile". Le ricerche sono in corso e lo scenario ancora in fase di esplorazione e definizione ma, con quel che già si sa, è possibile individuare i primi passi da compiere a livello di intervento? "Lavorando sulla consapevolezza della persona rispetto ai trigger di attivazione e disattivazione, creando una rete che possa riportare alla realtà. C'è la possibilità di smettere, come per tutte le dipendenze comportamentali, ma ovviamente se vi è un origine traumatica bisognerà prima intervenire su quella. Poi verranno insegnate e apprese delle strategie alternative capaci di sostituire l'attività di MD in modo adattivo, allontanando modalità che sembrano di autocura ma non lo sono affatto". Per interrompere un circolo vizioso che lega MD, inadeguatezza e vergogna, "è importante ristabilire una rete di relazioni reali capaci di annullare l'isolamento sociale".


Nel 2017 è stata fondato il Consorzio internazionale per la ricerca sul maladaptive daydreaming (ICMDR), un gruppo di circa 35 ricercatori provenienti da Stati Uniti, Australia, Italia, Ungheria, Regno Unito, Polonia, Svizzera, Brasile, Israele e Grecia. La missione del consorzio è quella di promuovere la raccolta di informazioni scientifiche, favorendo gli studi sullo sviluppo delle traiettorie, la fenomenologia, la psicopatologia, il funzionamento cerebrale e il trattamento. In Italia, con obiettivi di divulgazione e promozione della ricerca, è nata nel 2020 l’associazione no profit Maladaptive daydreaming Italia.

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