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Malattie infettive. Quanto contano i fattori ambientali?

Nello studio delle malattie infettive, a partire da come nascono, si trasmettono e interferiscono con lo stato di benessere di chi viene contagiato, è importante fare attenzione ai fattori ambientali. Le condizioni geofisiche, biologiche, territoriali, ma anche determinate dall'azione umana, possono infatti causare o modificare le dinamiche di insorgenza e diffusione delle malattie.
Di questo abbiamo parlato con Fabio Zampieri, professore di storia della medicina all'università di Padova.

“In questo drammatico momento, che vede il diffondersi globale, quindi pandemico, del Codiv-19, la scienza sta discutendo ampiamente sulla relazione fra virus, fattori etnici e ambientali”, spiega il professore. “Per esempio, alcuni ricercatori stanno notando che il virus sembra colpire maggiormente le popolazioni asiatiche ed europee rispetto a quelle africane. Alcuni osservano che la pandemia ha una diffusione principale da est a ovest, ma in modo minore a sud. Stanno apparendo studi sul rapporto fra inquinamento, in particolare quello caratterizzato dalle cosiddette “polveri sottili” nell’ambiente, e diffusione dell’epidemia, che appunto sembra maggiore nelle zone più inquinate, come Wuhan in Cina e Lombardia in Italia. In quest’ultimo caso, si tratta di un fattore ambientale “antropico”, cioè determinato dall’uomo, come appunto l’inquinamento. Infine, un recente rapporto del WWF ha sottolineato un altro tipo di fattore ambientale di natura “antropica”, cioè la commercializzazione, legale o illegale, di animali selvatici vivi o di loro parti, favorendo il cosiddetto spillover, cioè il salto di un virus da una specie a un’altra.

Ebbene, la medicina occidentale si interroga sin dai suoi albori sulla relazione fra uomo, ambiente e malattie infettive. In particolare, lo scritto “Sulle arie, acque, luoghi” della scuola ippocratica (V sec. a.C.) mette in rapporto la salute e le malattie dell’uomo con l’influsso esercitato dal clima, dalle stagioni, dalle caratteristiche delle acque, dei venti e delle componenti geofisiche di un ambiente, riconducibili, per esempio, a quelle delle pianure, delle valli, delle colline, delle montagne e così via. Si discute, inoltre, delle differenze etnografiche fra popolazioni di varie regioni d’Europa e d’Asia. Si tengono presente, infine, le abitudini alimentari e gli stili di vita in relazione a salute e malattie di un popolo.
Il trattato ippocratico offriva delle spiegazioni in linea con le concezioni del tempo. L’aria, per esempio, era considerata come una vera e propria causa di quelle malattie che si diffondevano senza distinzioni fra popoli e individui diversi. Erano quindi presi in considerazione diversi 'tipi' di aria secondo delle qualità, cioè caldo, freddo, secco e umido. Per esempio, un vento particolarmente umido poteva avere un’influenza diversa rispetto a uno caldo, e così via”.

Nella storia della medicina sono molti gli esempi che spiegano l'importanza della relazione tra le malattie infettive e l'ambiente, tenendo presente che fu solo a partire dal 1800 che fu possibile scoprire gli agenti causali alla base di queste relazioni.

Come racconta il professor Zampieri, infatti, “la diffusione della peste fu spiegata, nel corso del medioevo, con la concezione ippocratica basata, come detto poco fa, sull’idea dell’aria come agente causale. Un’aria “appestata”, dunque, causava il diffondersi della malattia. Un primo passo in avanti fu reso possibile da Girolamo Fracastoro nel 1500, il quale, per spiegare la diffusione della sifilide, concepì l’esistenza di “seminaria” come agenti causali, cioè di particelle materiali, non viventi, che, trasportate dall’aria, potevano determinare il contagio fra individui diversi. Tornando alla peste, fu solo alla fine del 1800 che si comprese l’agente causale, cioè il batterio noto come Yersinia pestis, e la modalità di trasmissione, che avviene attraverso le pulci dei ratti. Tali pulci, infettate dal batterio, occasionalmente possono passare dal ratto all’uomo, mordendo il quale trasmettono la malattia. Fu finalmente chiaro, dunque, che le scarse condizioni igieniche che potevano favorire la diffusione dei ratti erano determinanti nella diffusione della peste. Lo spostamento di navi ed eserciti, inoltre, coi loro carichi che spesso ospitavano ratti, contribuirono senz’altro allo scoppio e alla diffusione delle epidemie di peste nel corso della storia”.

Per quanto riguarda la diffusione di malattie legata al secondo fattore ambientale individuato dalla scuola ippocratica, cioè l'acqua, le principali furono il colera e il tifo.

John Snow, medico britannico famoso al suo tempo soprattutto per le sue ricerche sull’anestesia chirurgica, riuscì a debellare un’epidemia di colera a Londra nel 1858 scoprendo che la malattia si diffondeva in particolare nel quartiere di Soho, in corrispondenza di una pompa d’acqua utilizzata dalla popolazione. Facendo chiudere la pompa, riuscì a interrompere la diffusione della malattia”, racconta il professor Zampieri.
“Il tifo addominale era una malattia piuttosto comune presso gli eserciti e nei luoghi dove le condizioni igienico-sanitarie erano scarse, in particolare dove non c’erano latrine e fognature adeguate. Anche in questo caso, fu solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento che si scoprono sia la modalità di diffusione (per via oro-fecale) e l’agente causale. Una curiosità: fra le mille ipotesi che sono state fatte sulle cause della morte di Alessandro Magno, una è anche quella del tifo addominale. (Da tener presente, comunque, che queste malattie si diffondono non solo con l’acqua “infetta”, ma anche col cibo)”.

“Sempre nel 1800, si scoprì che le acque stagnanti e paludose erano determinanti nella diffusione endemica della malaria, che infatti viene trasmessa da una specie di zanzara che si riproduce in questo tipo specifico di ambienti.
Infine, il Nobel della medicina nel 2015 fu dato a due medici, Satoshi Omura e William Campbell, per la scoperta di una nuova classe di farmaci particolarmente efficaci contro l’oncocercosi e la filariosi linfatica. L’oncocercosi è causata da un verme, Onchocerca volvolo, le cui larve sono trasmesse da moscerini che vivono vicino fiumi tropicali ed equatoriali. Può causare cecità e infatti la malattia è chiamata anche cecità dei fiumi”.

Infine, bisogna anche tenere conto dei fattori antropici, ovvero del modo in cui l'uomo interferisce con l'ambiente, creando ad esempio condizioni di scarsa igiene o adottando stili di vita che hanno come conseguenza una trasformazione dei luoghi in cui vivono e interagiscono.

“Risalendo sino ai tempi più antichi”, spiega il professor Zampieri, “si può dire che molte malattie infettive umane siano emerse quando la nostra specie cambiò stile di vita, passando dalla raccolta e caccia di cibo selvatico all’agricoltura e allevamento in comunità stanziali. Ciò comportò una stretta vicinanza fra uomo e animali che favorì lo spillover. Peste, vaiolo e tubercolosi probabilmente ebbero origine da questo fondamentale cambiamento di stile di vita.

La terra dei prati e dei luoghi aperti può essere fonte di molte malattie “parassitarie”, perché ricca delle uova di parassiti che possono essere incidentalmente ingerite dall’uomo. È il caso, ad esempio, della tenia, che causa il cosiddetto verme solitario".

“Infine, un cenno agli ospedali, i luoghi di cura per eccellenza. Paradossalmente, l’uso massiccio di antibiotici che si fa negli ospedali può determinare ciò che i biologi chiamano “pressione selettiva” nei confronti dei germi, favorendo l’evoluzione di ceppi antibiotico-resistenti. Le malattie antibiotico-resistenti, in primo luogo la tubercolosi, sono considerate dall’OMS fra le principali emergenze sanitarie del presente e del prossimo futuro. Un uso “improprio”, cioè eccessivo, di antibiotici, tuttavia, si verifica soprattutto negli allevamenti intensivi che hanno una ricaduta anche nell’uomo per via dell’utilizzo della carne proveniente da questi stessi allevamenti”, conclude il professor Zampieri.

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