SOCIETÀ

Manduria: esseri umani si diventa

Antonio Stano, pensionato di 66 anni con problemi psichici, era perseguitato da una banda di ragazzini a Manduria. L'uomo è morto il 23 aprile, dopo aver vissuto una lunga serie di pestaggi, sia in strada che nella sua abitazione, che venivano filmati e condivisi fra i partecipanti alla tortura. Com'è potuto accadere un fatto simile? Man mano che le indagini proseguono, la brutalità di quanto accaduto emerge con dettagli sempre più raccapriccianti e ci impone di interrogarci sul ruolo giocato dalla società in questa triste vicenda. Il Bo Live ha contattato la professoressa Anna Oliverio Ferraris, esperta di psicologia dello sviluppo, per capire meglio quale rapporto abbiano i giovani con la violenza

C'è un effettivo incremento di azioni violente che coinvolgono i giovani oppure queste vicende accadevano anche in passato, con le stesse modalità, ma oggi c'è una sovraesposizione mediatica?

È molto difficile da stabilire perché non ci sono delle statistiche. In passato, alcune volte, certi episodi non arrivavano ai media, perciò se ne aveva conoscenza in un ambito ristretto: quello del piccolo quartiere o della piccola città dove avvenivano. Certamente la violenza fa parte anche del passato, magari meno in ambito scolastico, perché c'era una disciplina molto più dura, semmai situazioni simili si presentavano fuori dalla scuola. I metodi educativi erano basati anche sulle punizioni fisiche, cosa che un po' contribuiva a incrementare queste forme di violenza. Oggi le cose sono cambiate: i ragazzi vedono la violenza sugli schermi. Questo accade sia nei documentari che nei telegiornali, nei film, saturi di violenza rispetto a quelli trasmessi un tempo, e nei videogiochi.

Inoltre si è diffusa la moda di considerare come un divertimento mettere in rete delle scene di violenza. Per esempio è accaduto con l'happy slapping, in italiano lo "schiaffo felice": si prende a pugni o si schiaffeggia una persona e un'altra persona filma l'atto. Un tempo queste pratiche non esistevano. Lo smartphone può amplificare queste violenze, permettendo di comparteciparle con altri come fossero una prodezza, qualcosa che dà popolarità in rete. Questo elemento è una novità. Addirittura, nel caso di Viterbo, i due arrestati hanno filmato la violenza contro una donna e questo video è diventato una prova contro di loro. Probabilmente l'hanno messo in rete per dare prova della propria virilità, magari hanno visto così tante scene di pornografia che, alla fine, pensano di potersene gloriare anche loro. C'è una grande confusione tra piani diversi: il mondo rappresentato e immateriale e quello reale e materiale.   

La leggerezza nel fare del male, quindi, è dovuta alla ricchezza di esempi nella sfera ricreativa che tendono a spersonalizzare l'altro?

Certo, è presente la spersonalizzazione dell'altro, anche con la facilitazione che comporta l'esperienza del mondo virtuale. Quando si ripetono alcune esperienze nel mondo reale, sembra di vivere un film: compi qualcosa di già visto e che ti ha divertito. Perciò spesso la violenza viene usata come divertimento. Gli stessi personaggi di Gomorra sono degli eroi negativi, però gli stessi attori fanno delle pubblicità e questo comporta una grande confusione. La stessa persona che nella finzione commette degli atti efferati, poi sponsorizza un prodotto innocuo, quindi diventa difficile stabilire dei confini. Ovviamente, chi è dotato di pensiero critico sa benissimo come farlo, ma ci sono diversi ragazzi superficiali, che non sono educati al pensiero razionale e si muovono sulla base di emozioni del momento e di impulsi disordinati. Rispondono a quello che hanno già visto sugli schermi e sono convinti di divertire i loro amici e compari, si sentono autorizzati ad avere una condotta violenta e a condividere le loro gesta con gli altri. 

Ci vuole più cultura, più riflessione, più educazione civica, più morale, più etica. Bisogna riflettere coi ragazzi su quali siano i valori irrinunciabili Anna Oliverio Ferraris

Questo significa che non dovremmo eliminare alcune dimensioni ricreative che sfruttano la violenza, quanto rileggerle, contestualizzarle e far sì che chi gioca a certi giochi o chi guarda certi film, sia razionale e sfrutti il pensiero critico?

Questo sicuramente, però anche l'abbondanza, o la sovrabbondanza, di passatempi violenti non ha molto senso. La violenza eccita, piace per questo e se ne fa un uso esagerato. Una volta nei film c'era un'unica scena violenta, magari verso la fine del film, e basta. Oggi, fin dall'inizio, i film rivolti ai ragazzi riportano scene violente ed esplosioni, il tutto per eccitarli e tenerli attaccati allo schermo. Spesso, queste scene violente sono anche ingiustificate ai fini del racconto, in un'opera d'arte come un filmato può esserci la violenza, se ha senso ai fini della trama. Bisogna che i ragazzi capiscano che l'eccesso di violenza in queste rappresentazioni è legato al mercato, si fa per vendere di più.

In Islanda i ragazzi bevevano troppo e si drogavano, tanto che per questa problematica il paese era il primo in Europa, mentre oggi risulta essere l'ultimo. Per ottenere questo risultato, è stato realizzato un progetto che prevedeva l'organizzazione di luoghi ricreativi in ogni quartiere, con attività strutturate, che permettevano loro di divertirsi in modo diverso e costruttivo. Anche a Trieste ci sono i ricreatori comunali dove i ragazzi si recano dopo scuola e possono giocare assieme, fare musica, praticare sport, fare i compiti coi propri compagni.

Naturalmente c'è una sorveglianza e tutto questo ha un costo a cui fa fronte il comune. I ragazzi non possono educarsi da soli, si perdono e si confondono, finiscono per consumare quello che gli passa il mercato, che vuole solo vendere e che non ha etica. I ragazzi si sentono autorizzati a compiere quello che vedono, soprattutto se sono prodotti che gli passano gli adulti. Fin da bambini vengono cresciuti circondati da queste immagini, per alcuni, quindi, possono diventare la normalità. Naturalmente esistono dei divari di intelligenza, di preparazione, e ci sono dei bambini più suggestionabili di altri, ma un certo numero viene sempre trascinato da queste dinamiche.   

Dal punto di vista psicologico, come spieghiamo il fatto che si continui a far del male agli altri, che mostrano di star soffrendo, senza averne pietà?

Si diventa esseri umani attraverso una formazione emotivo-sentimentale e razionale, attraverso la cultura, altrimenti si resta bloccati in uno stadio primordiale, dominato da dagli impulsi disordinati. Ci si inselvatichisce: questo tipo di emozioni danno un brivido e vengono messe in atto per “sentirsi vivi”, ma non sono elaborate dal sentimento, dalla compassione o dalla pietà. Queste ultime non sono innate, ma si acquisiscono nel rapporto con gli altri e attraverso l'educazione. I bambini, quando sono molto piccoli, hanno difficoltà nel mettersi nei panni altrui, possono ridere davanti al dolore altrui, possono intenderlo come un gioco o uno scherzo.

Per entrare in empatia con l'altro, comprendere la sua sofferenza, è necessario avere già un po' sofferto e poi riflettere su questo dolore con se stessi e con gli altri, guardando dentro di sé e sforzandosi di guardare dentro l'altro, per capirlo. È un processo che richiede tempo, crescita e maturazione. Io credo che molti dei ragazzi  che compiono violenze non abbiano fatto questo percorso, sono stati cresciuti nell'indifferenza delle proprie famiglie, magari in contesti in cui la violenza è considerata positivamente e in cui, quindi, osservare il dolore altrui, prenderne coscienza, non interessa. 

Io cito sempre il libro Il signore delle mosche, che racconta di un gruppo di ragazzini di 10/12 anni che atterra su un'isola deserta. I ragazzi, educati in un college inglese dove gli erano stati insegnati una serie di valori, si trovano da soli e regrediscono. Diventano dei selvaggi e compiono una serie di atti violenti che si concludono con l'uccisione di uno dei loro amici. Da un lato, perciò, c'è chi non riceve un'educazione che gli permetta di maturare e dall'altro si può sempre regredire. C'è la psicologia del branco, ciò significa che trascinati dal branco facciamo cose che singolarmente non faremmo, ci si fa valere dimostrando di essere più feroci degli altri, pur di sentirsi parte di qualcosa. 

Clip del film Il signore delle mosche

Una città deve offrire dei luoghi dove i giovani possano esprimersi costruttivamente, per accompagnarli nella crescita. Bisogna che si ritrovino per fare musica, teatro, sport, artigianato, tutta una serie di attività che li elevino, non bisogna lasciarli abbandonati a se stessi. Inoltre, bisogna che la comunità protegga le persone con difficoltà, come il signore che è stato perseguitato da quei giovani, in questa indifferenza vedo un degrado generale che poi si è concretizzato in dei giovani sbandati senza altro interesse o passatempo. 

L'educazione dei ragazzi inizia nei primi anni di vita, non nella adolescenza. È necessario esprimere a parole i propri stati d'animo, altrimenti viene fuori questa furia fisica. La società deve proporre dei modelli positivi  a cui potersi ispirare. La famiglia è importante, così come la scuola, poi c'è la comunità: un giovane se trova un modello valido lo segue. Se si alleano scuola e famiglia si può fare un bel percorso, in Islanda anche la comunità si è mobilitata facendo sì che le discoteche non chiudessero troppo tardi. C'è stato un senso di responsabilità da parte di tutti, anche dei commercianti che vendevano alcolici, per il bene della gioventù. Oggi gli islandesi sono quelli che bevono di meno, il numero è quasi vicino allo zero. In Calabria, il comune di Santa Severina, sta mettendo in pratica questo modello islandese, che poi è diventato un progetto europeo, Youth in Europe. Nei piccoli centri si potrebbero realizzare progetti simili, dando alternative interessanti ai ragazzi per il tempo libero.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012