Due figure, 1955, olio su tela (particolare)
“Pochi artisti del nostro secolo hanno identificato l’arte con l’architettura, come Sironi. Pochi ne hanno sentito come lui il fascino e il significato. Per Sironi l’architettura non è una forma d’arte, ma la definizione stessa d’arte. L’arte è sempre architettura, cioè forza costruttiva”. Così Elena Pontiggia, tra le massime studiose del pittore romano (benché nato a Sassari e molto legato a Milano). Sarà la superiorità della forma rispetto al colore che si riscontra nei suoi quadri, saranno anche gli studi in architettura: certamente a evidenziare il senso della costruzione dell’immagine e la monumentalità delle figurter sono state anche le grandi superfici affrescate e decorate dall’artista nel corso della sua carriera, come il palazzo di giustizia e il palazzo dell’informazione di Milano e parecchie università, a partire da Sapienza e Ca’ Foscari (mentre per Padova Sironi risultò perdente nel concorso lanciato per affrescare il Liviano, vinto dall’amico/rivale Massimo Campigli). Merito anche della famosa “legge del 2%”, che per ogni nuova opera pubblica prevedeva che una quota dell'importo dei lavori venisse destinata all'abbellimento dell’edificio con opere di artisti contemporanei.
Donna che si pettina, anni Trenta, tempera grassa su carta applicata su tela
Sta di fatto per Mario Sironi (1885-1961) la pittura è anche intrinsecamente legata alla politica. Interventista, volontario nella grande guerra nello stesso battaglione volontari ciclisti in cui militano anche Marinetti, Boccioni, Sant’Elia e Funi, in seguito aderisce al fascismo e diventa uno degli artisti più importanti del regime, che per l’appunto lo impiegherà in numerose importanti commesse. Un percorso umano e artistico recentemente ricostruito messo in evidenza dalla mostra appena aperta ad Abano Terme al Museo Villa Bassi Rathgeb: Mario Sironi. Un racconto dal grande collezionismo italiano, organizzata da CoopCulture e Comune di Abano Terme in collaborazione con la Galleria 56 di Bologna. Le oltre 70 opere provenienti da collezioni private, selezionate da Chiara Marangoni e Alan Serri con la collaborazione scientifica di Francesca Brandes, ricostruiscono in parte il cammino intellettuale e artistico di uno dei maggiori artisti italiani del Novecento: a partire dalle opere giovanili, influenzate dal divisionismo, fino ai famosi paesaggi urbani, in parte influenzati anche dalla pittura metafisica di De Chirico.
Composizione con figure e aquila, 1936, tecnica mista su carta da spolvero applicata su tela
Degni di nota le sezioni dedicate rispettivamente all’illustrazione e alla satira politica, con i manifesti e le vignette per riviste e giornali (l’artista fu per vent’anni il principale illustratore de Il Popolo d’Italia), e all’attività pittorica e alla decorazione, con gli enormi cartoni e gli studi preparatori per i grandi affreschi e mosaici. Qui Sironi – stimato personalmente da Mussolini e protetto da Margherita Sarfatti ma non sempre apprezzato dai gerarchi, che spesso trovano la sua arte troppo poco roboante per i loro gusti – più che alla celebrazione del regime sembra mirare al pieno recuperare della dimensione pubblica e popolare dell’arte, sull’esempio dell’opera dei pittori del Quattrocento nei palazzi principeschi e comunali. Arte che sicuramente guarda alla classicità, in linea con la sensibilità del tempo, ma anche al recupero di dimensioni e stilemi arcaici.
Idoli, 1950, olio su tela
Tutto crolla con la sconfitta militare e con la caduta del fascismo, che travolge anche Sironi dando inizio a quelli che la critica chiama “gli anni del silenzio”, ai quali è dedicata l’ultima sezione della mostra. Nell'ultimo tratto della sua vita il pittore, anche a causa della drammatica e prematura morte della figlia Rossana, vive ripiegato in se stesso evitando i riconoscimenti e rifiutando anche gli inviti alle manifestazioni più prestigiose: un periodo di solitudine e di depressione che però dal punto di vista artistico si rivela a tratti sorprendentemente generativo. Così proprio il recupero di quella dimensione intima e privata della creatività, a lungo messa da parte (almeno ufficialmente) durante gli anni del successo e dell’identificazione con il regime, dà luogo a meravigliosi dipinti come Il grande silenzio del 1953, dove il paesaggio da urbano si fa agreste e i caratteristici toni spenti si accendono d’oro, e le Due figure del 1955, tenue allegoria di come l’amore di coppia possa trascendere il dolore dell’esistenza e, forse, persino la morte.
Mario Sironi. Un racconto dal grande collezionismo italiano
a cura di Chiara Marangoni e Alan Serri, con la collaborazione scientifica di Francesca Brandesi
Museo Villa Bassi Rathgeb, Abano Terme, fino all'8 gennaio 2023