CULTURA

Matei Vișniec e il profumo della libertà contro l'autocensura

Mi sono chiesto perché Lo spettatore condannato a morte, scritto nel 1984 sotto un regime comunista, sia rappresentato nell’Italia di oggi. Quando l’ho chiesto al regista Beppe Rosso, che l’ha appena portato in scena a Torino, nel teatro di San Pietro in Vincoli, lui mi ha risposto che in questo testo si respira tantissima libertà”. 40 anni fa Matei Vișniec terminava la sua pièce in due atti (appena pubblicata in Italia da Cleup, con la traduzione dalla versione francese di Maria Emanuela Raffi e la preziosa prefazione di Lorenzo Renzi), sorta di commedia dell’assurdo in cui lo spettatore si ritrova imputato in un improbabile processo con tanto di giudice, pubblico ministero e testimoni, parodia della burocratica inesorabilità del sistema giudiziario ma anche dei meccanismi di controllo tipici del totalitarismo.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Barbara Paknazar

L’opera, come i lavori precedenti del drammaturgo, non fu pubblicata in Romania fino alla caduta del regime di Ceausescu:“Già il titolo suonava sospetto, quindi non ci autorizzarono a metterla in scena – ricorda Vișniec mentre presenta proprio Lo spettatore condannato a morte a Padova, presso la Libreria Zabarella –. Assieme ad altri amici e intellettuali la leggemmo dunque senza autorizzazione, con gli agenti in borghese e gli informatori della Securitate in mezzo al pubblico. È un testo che racconta come si possa perdere la liberta se non si resta vigili; quando chiedo agli attori cosa ci trovino oggi, mi rispondono che anche loro hanno il timore che la democrazia possa diventare una specie di vuota mascherata, come abbiamo visto e continuiamo a vedere in questi anni. Per me è poi importante soprattutto vedere le reazioni del pubblico: molti si divertono, altri però escono tristi”.


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“Il mio principale nemico in Romania non era la censura quanto l'autocensura – continua Vișniec –. Con la censura si può combattere, mentre l’autocensura è una sorta di autodistruzione culturale”.  Secondo lo scrittore, che è anche poeta, giornalista (ha collaborato per 32 anni con Radio France internationale) e romanziere (l’ultimo è Il venditore di incipit per romanzi, appena pubblicato da Voland), “anche nei Paesi democratici esiste oggi un pericolo di autocensura, e quando però un artista si autocensura si avverte subito nella sua opera”.

Anche per questo fin dall’inizio del suo percorso lo scrittore e intellettuale, tradotto in 20 lingue e tra gli autori contemporanei oggi più rappresentati, non ha paura di andare controcorrente: “Come intellettuale mi propongo di essere sempre lucido e come artista cerco di essere una sorta perturbatore professionista della normalità, della mediocrità, della banalità e della comodità”. Scomode appaiono ad esempio le posizioni di Vișniec, nato e cresciuto a 20 chilometri dal confine ucraina, sulla guerra di aggressione condotta da Vladimir Putin: nel recente Lisistrata, Mon amour (rappresentata appena uscita anche a Roma) riprende ad esempio da Aristofane il tema dello sciopero delle donne, che però stavolta chiedono ai loro compagni di tornare a difendere la libertà nella sfida alla democrazia lanciata dai totalitarismi.

Molti, soprattutto in Europa occidentale, sono abituati a pace e prosperità e dimenticano che la democrazia va anche difesa. L’aggressione all’Ucraina è un atto senza precedenti dalla seconda guerra mondiale: a est il pericolo è percepito con maggiore intensità perché sappiamo di cosa sono capaci i russi, così come sappiamo che con i carri armati arriva la perdita della libertà e i manuali che voglionoriscrivere la storia – aggiunge Vișniec, riportando alla mente 1984 di George Orwell –. Per momento sono stati fermati in Ucraina, ma sono già pronti per la Moldavia, la Polonia e i Paesi Baltici. Questo è il dramma dell’Europa, che pur avendo prodotto una cultura straordinaria nel secolo scorso non è riuscita a fermare barbarie, con due guerre mondiali e due ideologie tossiche”.

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