SOCIETÀ

Il Messico elegge la sua prima presidente, tra narcos e promesse mancate

Il Messico sta per regalarsi un passaggio che potrebbe essere epocale: perché il prossimo presidente della Repubblica federale sarà comunque una donna, e mai prima d’ora era successo in una nazione dove la “cultura machista”, chiamiamola così, resta profondamente radicata. A dire il vero sappiamo anche il nome della futura presidente, nonostante si debba ancora votare (domenica prossima), ma il vantaggio stimato dai sondaggisti è talmente ampio da lasciare quasi nessun margine a potenziali colpi di scena. Claudia Sheinbaum Pardo, 61 anni, ingegnera ambientale, scienziata, ricercatrice, ex sindaca di Città del Messico e fedelissima del presidente uscente Andrés Manuel López Obrador, proveniente dal suo stesso partito, Morena, populista e di sinistra, si avvia dunque a entrare con tutti gli onori al Palacio Nacional. La sua principale sfidante è Xóchitl Gálvez, 60 anni, di origini indigene, imprenditrice e ingegnera informatica, sostenuta da una coalizione di tre partiti assai distanti tra loro, tra i quali spicca però il Partito Rivoluzionario Istituzionale, che per 71 anni consecutivi, fino al 2000, al netto di vari scandali di corruzione) è stato la forza dominante della politica messicana. 

La sua campagna elettorale è stata aggressiva (ha più volte definito Sheinbaum “la candidata dei narcos”), ma secondo le ultime rilevazioni è troppo indietro per poter sperare in un exploit alle urne: 57% Sheinbaum, 30% Gálvez. L’ultimo candidato, Jorge Álvarez Máynez, del Movimiento Ciudadano (Movimento dei Cittadini, di centro-sinistra), sta recuperando consensi ma non sembra in grado di incidere sulla corsa (è stimato al 13%). Oltre al nuovo presidente, i quasi 100 milioni di votanti eleggeranno i nuovi rappresentanti alla Camera (500 seggi) e al Senato (128), oltre a circa ventimila rappresentanti delle istituzioni locali. Che sembrano, questi ultimi, un trascurabile contorno, ma così non è: perché i gruppi criminali, i cartelli dei narcos, stanno tentando di sfruttare le elezioni locali come un’opportunità per ampliare il loro potere. Soprattutto negli stati di Guerrero, Guanajuato, Oaxaca, Michoacán e giù a sud nel Chiapas, verso il confine con il Guatemala, dove appena pochi giorni fa una candidata sindaco, Lucero López Maza, e altre 5 persone, sono state uccise da un commando che ha aperto il fuoco sulla folla durante lo svolgimento di un comizio elettorale. «Una lista tossica di cartelli e bande si sta dando battaglia per il controllo del territorio», sintetizza l’Associated Press in un reportage. Secondo l’organizzazione Data Civica, che dedica una sezione del suo sito proprio al “voto tra i proiettili”, sono 26 finora i candidati a cariche politiche assassinati, ma sono 134 gli omicidi registrati quest’anno come conseguenza di “attacchi a sfondo politico”.

Violenza dei narcos e promesse mancate

E questa della violenza endemica, questione indubbiamente grave e di difficilissima soluzione, è soltanto una delle incognite che aspettano al varco la futura presidente messicana. Va detto subito: Claudia Sheinbaum non ha lo stesso carisma del suo mentore, López Obrador, più conosciuto come AMLO, acronimo che nasce dalle iniziali del suo nome, che lascia la presidenza dopo 6 anni controversi (e non può ricandidarsi: la Costituzione in vigore consente un solo mandato). Perché se da un lato è stato capace di dar voce alla parte più dimenticata ed emarginata del popolo messicano, la classe operaia e in generale i più poveri, portando la lotta alla corruzione al centro della sua azione politica, dall’altro si è mostrato intollerante alle critiche e, soprattutto, ai controlli “terzi”. L’opposizione non gli perdona i frequenti attacchi alla magistratura (che ha spesso bocciato le riforme proposte dal presidente), come anche l’aver consentito ai militari di assumere enormi responsabilità nella vita civile, denunciando una continua erosione degli spazi di democrazia. Aveva promesso di debellare il crimine, e i dati lo smentiscono. Di debellare la povertà (e effettivamente la riduzione c’è stata, più di 5 milioni di persone in meno), ma quella estrema non è migliorata, anzi. Di migliorare l’economia e l’occupazione, con risultati comunque al di sotto delle aspettative. «Il Messico nel 2024 sembra economicamente stagnante», riassume il Center for Strategic & International Studies. «La nazione è debole e debilitata nella sua lotta contro i cartelli criminali spietati; e zoppica più che correre, mentre le istituzioni democratiche continuano a subire attacchi debilitanti. Nel complesso, il Messico del 2024 appare molto più malconcio e ammaccato di quello di cui AMLO ha preso le redini nel 2018».

Ora la domanda è: riuscirà Sheinbaum, qualora eletta, a imprimere una sua personalità, a smarcarsi dall’ingombrante presenza, e vicinanza, di López Obrador? E su quale traiettoria potrebbe posizionare il Messico, che tra le grandi urgenze ha anche quella dell’immigrazione e dei rapporti non proprio morbidi con i vicini statunitensi (anche loro attesi alle urne, a novembre)? Le differenze ci sono, e non sono da poco: Sheinbaum è una scienziata specializzata in ingegneria energetica (e stata co-autrice del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change vincitore del premio Nobel nel 2007) e dunque è probabile che voglia spingere la nazione verso una maggiore attenzione sulla produzione di energie rinnovabili; mentre López Obrador ha continuato imperterrito in questi anni a investire pesantemente nel carbone e nel petrolio, arrivando a definire i parchi eolici “ventilatori che deturpano il paesaggio”. Di certo la nuova presidente vorrà combattere l’ancora altissimo tasso di violenza contro le donne (2500 uccise in Messico nel 2023, quasi 7 ogni giorno; nel 2022, secondo i dati dell'Ufficio del Procuratore Generale dello Stato, il reato di stupro ha raggiunto il picco nella fascia di età 10-14 anni). E probabilmente vorrà diminuire la “dipendenza” del governo dall’esercito sulle questioni civili e amministrative. Ma non subito, dal momento che il voto a suo favore dipende totalmente dalla sovrapposizione della sua figura su quella del presidente uscente. Dopo, a elezione conclamata, si vedrà.

Ma c’è comunque chi storce il naso. In un comizio tenuto lo scorso marzo a Città del Messico, Claudia Sheinbaum aveva promesso: «Renderemo il Messico una potenza scientifica e innovativa. Sosterremo le scienze di base, naturali, sociali e umanistiche. E li collegheremo con le aree e i settori prioritari del Paese».Eppure è proprio dal mondo accademico, e più in generale dalla comunità scientifica, che si alzano dubbi e perplessità sulla figura della nuova presidente, soprattutto dopo l’approvazione in Parlamento di un controverso disegno di legge, voluto dall’attuale governo, che riforma il sistema dei finanziamenti al mondo della scienza. La rivista Science ha dedicato all’argomento un lungo articolo, pubblicato pochi giorni fa: «Molti nella comunità scientifica messicana sono incerti sul fatto che Sheinbaum Pardo, che è sostenuta da una coalizione di partiti populisti di centrosinistra, riuscirà a realizzare ciò che ha promesso» - scrive Science. «È una protetta dell’attuale presidente populista, López Obrador, che ha perseguito politiche profondamente impopolari tra molti scienziati locali, tra cui tagli alla spesa per la ricerca, una controversa ristrutturazione della principale agenzia scientifica del Messico e progetti di sviluppo distruttivi per l’ambiente. E nonostante gli sforzi per rassicurare i ricercatori, che si consulterà con loro nel forgiare la politica scientifica, molti di loro temono che continuerà nel solco tracciato dal suo mentore nel tentativo di mantenere il sostegno delle sue legioni di seguaci».

Progetti faraonici e buco di bilancio

La strada, per la prossima presidente, sarà comunque in salita: perché si troverà ad affrontare le varie emergenze con le armi spuntate, perché non ci sono più soldi, a meno di proporre impopolari aumenti delle tasse. Il Messico deve fare i conti con il più grande deficit di bilancio degli ultimi 40 anni, conseguenza diretta degli enormi investimenti nei quali López Obrador ha deciso di tuffarsi (“con arroganza e spavalderia”, secondo i suoi detrattori), come l’acquisto di una raffineria di petrolio in Texas, attraverso la traballante compagnia messicana Pemex (Petroleos Mexicanos), al prezzo di 596 milioni di dollari; ma soprattutto il mega progetto turistico del Tren Maya, definito dallo stesso AMLO “il più grande progetto di costruzione del mondo”: un percorso ferroviario di 1.500 km attraverso le foreste dello Yucatán (la costruzione è gestita dai militari) che, quando sarà completato, collegherà il sito archeologico di Palenque, nello stato del Chiapas, alla città di Chetumal, al confine con il Belize. La spesa per la realizzazione dell’opera, finora, ammonta a quasi 30 miliardi di dollari (il triplo rispetto al budget iniziale), ma il costo ambientale è incalcolabile: disboscamenti selvaggi, specie animali a rischio d’estinzione, villaggi tagliati in due, terreni espropriati, popolazioni sfollate, enormi rischi ambientali in siti particolarmente delicati, come la riserva della biosfera di Calakmul, patrimonio mondiale dell’Unesco. Decine di denunce sono state presentate dai legali delle popolazioni che vivono lungo il percorso, ma senza alcun risultato. Inizialmente AMLO aveva promesso che nessun albero sarebbe stato abbattuto: poi il governo ha ammesso di averne “rimossi” più di 3,4 milioni per far spazio alle rotaie. Sara López González, membro del Consiglio Regionale Indigeno e Popolare, ha commentato così: «Dicevano che il Tren Maya avrebbe portato sviluppo, ma sarà esattamente l’opposto. È un megaprogetto di morte. È un ecocidio».

Il voto di domenica sarà inoltre indispensabile per comprendere quale sarà la reale composizione del Congresso: se il partito Morena, al di là dell’elezione della presidente, avrà o meno una maggioranza forte per imporre la sua agenda nei tre temi decisivi: economia, sicurezza, migrazioni. Oltre naturalmente alla lotta al cambiamento climatico, che peraltro sta provocando non pochi problemi, con vaste aree colpite da ondate di calore che hanno provocato una severa siccità. Elezioni che saranno osservate con estrema attenzione anche negli Stati Uniti, vicino a volte ingombrante, spesso indispensabile, con il quale i rapporti restano complessi. Comunque nazioni legate a doppio filo: lo scorso anno il Messico è diventato il principale esportatore di merci negli Usa (superando la Cina), con l’invio di merci per un valore di 475,6 miliardi di dollari. «Il Messico ha smesso di essere considerato un paese “lontano e strano” per diventare un paese vicino, anche a causa del fatto che ci sono sempre più latinos negli Stati Uniti», ha spiegato alla Cnn Rafael Fernandez de Castro Medina, direttore del Center for US-Mexico Studies presso l’Università della California, a San Diego. «Sono finiti gli anni in cui tutto ciò che gli Stati Uniti volevano era un Messico sicuro e stabile. Ora è nel suo interesse che sia anche un paese con una buona politica pubblica. Inoltre, ha bisogno di molto dal Messico, e questo è più evidente che mai». Ma per capire come andrà a finire questa storia, e con quali punti d’equilibrio (le questioni aperte sono innumerevoli: dalla politica energetica nazionalizzata da AMLO allecontinue denunce per violazione dei diritti umani) bisognerà aspettare l’esito delle elezioni statunitensi del prossimo 5 novembre. Come rimarca El Heraldo de Chihuahua: «La simultaneità delle elezioni in Messico e negli Stati Uniti nel 2024 non è solo una coincidenza nel calendario, ma un evento che merita un’analisi approfondita data la sua rilevanza nel panorama internazionale. L’influenza delle decisioni politiche prese in entrambi i paesi può avere riflessi a livello globale e determinare la direzione della regione nei prossimi anni».

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012