Si chiama Global Compact for Migration ed è un accordo intergovernativo in vigore dal 19 dicembre 2018. Dopo due anni di negoziati, l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato, per la prima volta nella storia, un patto globale per rendere le migrazioni il più possibile ordinate, regolari e sicure. L’accordo non ha valore giuridicamente vincolante per i singoli Stati, non comporta dunque alcuna ingerenza, ma vale come consenso formale internazionale su ciò che bisogna fare per governare un fenomeno planetario - le migrazioni umane nelle loro molteplici forme - che diventerà sempre più massiccio e pervasivo nei prossimi anni, per forza di cose, che lo si voglia o no. Basterebbe questo per salutarlo con favore.
In realtà gli accordi approvati sono due, come spiega con cura e competenza Valerio Calzolaio in Migrazioni. La rivoluzione dei Global Compact (Doppiavoce, Napoli, 2019). Il primo si chiama Global Compact on Refugees e aggiorna la convenzione internazionale sui rifugiati già in vigore dal 1951 e resa vincolante nel 1967. L’Articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani garantisce infatti a ogni essere umano, in quanto appartenente alla specie umana senza ulteriori specificazioni, il diritto di asilo.
Il secondo accordo riguarda invece i migranti cosiddetti “non di necessità”, cioè quelli che decidono di spostarsi e di cambiare stabilmente residenza attraversando un confine di Stato sulla base di una (presunta) libera scelta. Calzolaio mostra efficacemente come in realtà tale scelta raramente sia davvero libera, essendo condizionata sovente da situazioni di bisogno e da forti disagi, e propone giustamente di considerare una scala di “gradi di libertà” nella decisione di migrare.
Comunque sia, se poco o molto libero, lo spostamento di gruppi umani è sempre destabilizzante, spesso pericoloso e svolto in carenza di mezzi, implica ovviamente diritti di accoglienza ma anche doveri di integrazione, va commisurato alle libertà e ai diritti di chi vive nel territorio di arrivo. Insomma, va regolato saggiamente. Per gli Stati e per la comunità internazionale è un dovere farlo, poiché l’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani sancisce la libertà di movimento per ogni essere umano, in quanto appartenente alla specie umana senza ulteriori specificazioni. Ecco dunque le ragioni stringenti per un Global Compact for Migration. Non approvarlo significherebbe andare contro un’intera architettura di normative internazionali consolidate.
Il testo degli accordi, facilmente leggibile da chiunque in rete, è improntato a realismo, ragionevolezza e senso di responsabilità, il tutto entro la cornice dei principi di civiltà che reggono la convivenza umana. Non è un libro dei sogni, non è una forzatura ideologica, non è “buonismo”, non dice che bisogna accogliere tutti e basta, non equipara affatto i rifugiati al resto dei migranti, non viola le sovranità nazionali. Non dice nemmeno che migrare è un diritto assoluto, ma una libertà individuale che va messa in relazione con le libertà degli altri e con le norme del paese di accoglienza. Il vero diritto, come sottolinea Calzolaio, è semmai quello di restare nella propria terra. Peccato che tale diritto sia ovunque calpestato, con il risultato che la grande maggioranza delle migrazioni è, in vario grado, forzata. Si lascia il proprio luogo d’origine, con tanta sofferenza e altrettanto rischio, perché mancano acqua, suolo fertile, lavoro, prospettive di vita.
Il fulcro realistico del Global Compact ruota attorno ai tre aggettivi da cui siamo partiti: migrazioni ordinate, regolarie sicure. Si tratta di tre delle quattro caratteristiche suggerite dal decimo obiettivo (ridurre le disuguaglianze all’interno e tra le nazioni) dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, approvata dall’ONU nel 2015, che al settimo punto chiede politiche mirate per rendere le migrazioni, appunto,ordinate, regolari, sicure e anche responsabili.
In astratto, la condizione ideale per raggiungere questo obiettivo sarebbe che non vi fossero per niente rifugiati né migranti forzati, cioè che a nessuno al mondo venisse negato il diritto di restare nel luogo in cui è nato e di vivere con piena dignità nella propria terra. La brutale realtà contemporanea è invece quella di un pianeta scosso da una moltitudine di fattori che obbligano le persone a spostarsi: cause politiche e sociali come guerre, conflitti interni, discriminazioni, diseguaglianze, carestie, crescite demografiche squilibrate; e cause ambientali, come desertificazione, fenomeni atmosferici estremi, disastri naturali, inondazioni, che si intrecciano con le prime e le aggravano. Una regolamentazione è dunque inevitabile, per dare più sicurezza a tutti, e non approvarla sarebbe assurdo, oltre che incomprensibile.
Calzolaio fa notare che si tratta di un testo non solo non vincolante ma anche assai moderato, che si prefigge obiettivi informativi (raccogliere dati sul fenomeno migratorio per capirlo meglio), preventivi (ridurre il più possibile le cause strutturali di migrazioni forzate), repressivi (contro ogni traffico di esseri umani), amministrativi (cioè politiche lungimiranti e sensate su visti, permessi di soggiorno, permessi temporanei per ricerca di lavoro, corridoi umanitari, accordi multilaterali, etc.), lavorativi (diritti e doveri dei migranti), formativi, e infine emergenziali (allorché tutto quanto sopra non abbia funzionato, salvare comunque le vite umane in pericolo). Sono insomma indicazioni di buon senso e di civiltà, a tutela di tutti. Sarebbe folle non approvarle.
Il Global Compact è inaggirabile anche perché si basa su evidenze empiriche consolidate, divulgate ormai in tutte le salse e tuttavia incapaci di fare presa sull’opinione pubblica. Calzolaio le snocciola una dopo l’altra, partendo da quelle evoluzionistiche: migrare è una strategia vitale fondamentale per gli esseri viventi; noi umani siamo tali in quanto migranti, da sempre, cioè da almeno due milioni di anni, da quando iniziarono le espansioni di popolazioni del genere Homo fuori dall’Africa; Homo sapiens è una specie meticcia, sia perché si è ibridata con almeno altre due forme umane sia perché deve il suo successo alla diversificazione e alla commistione, sia biologica sia culturale, tra popolazioni; siamo tutti africani, tutti parenti, tutti differenti individualmente e tutti figli di precedenti migrazioni; nelle complesse stratificazioni migratorie umane, basta grattare un po’ nel tempo profondo e si trova sempre qualcuno che è più autoctono di noi.
Calzolaio è molto interessato all’evoluzione del fenomeno migratorio e auspica la realizzazione di un grande atlante storico e geografico delle migrazioni umane, che permetta di inquadrare questo fenomeno globale con un’opportuna larghezza di sguardo, nel tempo e nello spazio. Ma è anche uno dei massimi esperti a livello internazionale di migranti ambientali ed ecoprofughi. Conosce le statistiche delle migrazioni e nell’agile libriccino (quarto titolo della nuova collana “La parola alle parole” curata da Ugo Leone) ricorda tra l’altro che: storicamente la percentuale di chi emigra era e resta bassa (meno del 3% dei residenti, di cui solo un decimo sono rifugiati), il che significa che potendo si resta dove si è nati; ma la mobilità e la libertà di movimento sono in aumento, con effetti positivi in termini di ricchezza culturale ed economica (sia per i paesi di arrivo sia per i paesi di origine) e di vitalità demografica; somma ingiustizia è che in alcuni paesi si può avere un passaporto per viaggiare e stabilirsi dove si vuole, in altri è impossibile; gran parte degli spostamenti di persone resta all’interno degli Stati di origine; la principale spinta al migrare (per il 65%) risiede nelle oscillazioni del mercato del lavoro globale; solo il 34% delle migrazioni internazionali in atto proviene da paesi in via di sviluppo.
L’autore ricorda il recente report dell’autorevole rivista medica Lancet (non propriamente una testata di militanza terzomondista) che ha mostrato dati alla mano come l’arrivo di stranieri comporti un beneficio per i sistemi sanitari nazionali dei paesi ospitanti, come l’immigrazione riguardi tendenzialmente soggetti giovani e sani, come i flussi migratori siano un veicolo marginale di diffusione di malattie rispetto a commerci e turismo, e come il tasso di fertilità degli immigrati non sia affatto superiore a quello della popolazione locale. Quindi i nudi fatti attestano che non è in atto alcun piano di sostituzione demografica e men che meno etnica.
Si potrebbe aggiungere che - tra colonialismo, sfere di influenza, guerre per procura, emissione di gas serra, depredazione delle risorse - i paesi più industrializzati hanno contribuito alle principali cause profonde delle attuali migrazioni forzate. Non fosse altro che per senso di colpa, il Global Compact andrebbe firmato senza esitazioni. Ma ci fermiamo, tanto pare che oggi i fatti contino meno del “percepito”.
Veniamo a noi. I dati sull’Italia, riportati da Calzolaio, sono impietosi. Noi dovremmo essere i primi a sottoscrivere entusiasticamente il Global Compact, infatti: siamo quelli con la minor percentuale di rifugiati e di immigrati fra quasi tutti i paesi europei; gli arrivi hanno migliorato i conti pubblici e previdenziali nazionali; gli italiani emigrati e residenti all’estero negli ultimi anni equivalgono o superano gli immigrati fin qui accolti; nel 2018 gli emigranti italiani sono stati più degli immigrati. Quindi non c’è alcuna invasione. Quanto alla storia, dall’Unità d’Italia ad oggi noi abbiamo diffuso nel mondo ben 19 milioni di emigranti, e tra questi molti furono forzati dalla necessità. Nel 2018 gli italiani residenti stabilmente all’estero erano più di 5 milioni, in aumento. Quindi dal punto di vista del mondo, e non del nostro ombelico, noi siamo un paese che esporta migranti più di quanti ne importa. Il Global Compact tutela un sacco di italiani.
Ecco dunque i numeri delle votazioni riportati da Calzolaio. Il Global Compact on Refugees è stato approvato con 181 voti favorevoli (tra cui l’Italia), due Stati contrari, tre astenuti e sette non votanti (la categoria più incomprensibile). Il Global Compact per migrazioni ordinate, regolari e sicure è stato approvato da 152 Stati, con 5 contrari (gli Stati Uniti di Trump, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Israele), 12 astenuti e 24 non votanti. L’Italia ha partecipato al negoziato, ma poi si è sottratta al voto. Non abbiamo messo il nostro sì su questo patto internazionale.
Si capisce. Volere migrazioni disordinate, irregolari e insicure, lucrare sulle paure (quelle debite, quelle indebite e quelle indotte), guardare solo l’ultimo miglio di un processo complesso e cercare invano di tamponare i flussi, dare la falsa idea di trovarsi in una condizione di emergenza permanente, invocare invasioni inesistenti, chiudere i canali regolari di immigrazione e poi bloccare le traversate, criminalizzare chi salva vite in mare, garantisce di questi tempi sondaggi radiosi e trionfi elettorali. Poi un giorno la bolla mediatica esploderà, ci sveglieremo di soprassalto in una realtà antipatica, il fenomeno migratorio si sarà allargato ancor di più, capiremo di non aver fatto abbastanza per prevenirlo e regolarlo, e come al solito daremo la colpa a qualcun altro.