CULTURA

I nomi epiceni, intervista ad Amélie Nothomb

Ben Jonson contemporaneo di Shakespeare scrisse un’opera intitolata Epicene, o la donna silenziosa ed “epiceni” si definiscono quei nomi ambigenere, che possono essere attribuiti sia a uomini che a donne. I nomi epiceni, poi, è il titolo dell’ultimo romanzo della prolifica scrittrice belga (ma che ha vissuto in moltissime parti del mondo, celebri i suoi romanzi autobiografici ambientati in Giappone) Amélie Nothomb.

Nota al pubblico di tutto il globo, e non solo per la sua scrittura mirabile ma anche per l’apparente eccentricità (palastrani neri e tuba nera, rossetto rosso fuoco su una carnagione avorio) Nothomb non lascia mai aspettare i suoi lettori più effezionati per più di un anno e ha quindi al suo attivo un numero esorbitante di opere, (quasi) tutte perfette.

Da poco in libreria, il suo ultimo romanzo, è, come i precedenti ‒ ma ogni volta in modo nuovo ‒ grottesco, sagace, intelligente, profondo e… Brevissimo. Frutto probabilmente di un maniacale  lavoro di labor limae l’autrice riesce anche stavolta a mettere insieme una storia spiazzante che indaga i sentimenti più profondi, e talvolta indicibili, dell'animo umano. Si tratta della (infelice) storia d'amore tra Claude e Dominique, una seduzione immediata e poi all'occorrenza rinnovata negli anni, da cui è venuta al mondo Epicene, figlia che non ama suo padre, dal quale si sente ignorata: " ‒ Non voglio mai avere undici anni ‒ , pensò" si legge nel romanzo, "ne aveva nove. Il tempo dell'infanzia obbedisce ad altre leggi. La sua densità è pari solo al senso del tragico" e ancora: "‒  Non voglio bene a papà. ‒ Persino il suono grottesco ‒ apapà ‒ determinava l'enormità della constatazione".

Ma l'autrice si spinge oltre, con graffiante delicatezza: nel romanzo tutto è come non dovrebbe essere così il lettore finisce col chiedersi cosa in realtà siano quei sentimenti che innervano le nostre vite e il cui senso ultimo diamo spesso per scontato. Non mancano i colpi di scena, e renderli credibili in 108 pagine è talento da veri maestri della penna. Abbiamo avuto la fortuna di intervistare Amélie Nothomb, in Italia per un breve tour di presentazioni.

I tuoi romanzi, essenziali, toccano temi profondissimi. Quanta è la ricerca stilistica per riuscire a penetrare la materia umana così a fondo e condensarla in poche pagine, in cui nulla manca e nulla è di troppo?

Bisogna raggiungere i nervi del linguaggio per trovare questo stile.

L’amore, l’odio, l’abbandono. Temi vecchi come il mondo rinascono ne “I nomi epiceni” con tanta grazia, dolore e graffiante seduzione, e diventano nuovi. Cosa volevi trasmettere, sotto ad una storia all’apparenza folle e disgraziata?

Volevo, e voglio, mostrare l'arte di sopravvivere che hanno certi esseri umani.

Scrivi nell’incipit: “È difficile che la collera passi. Esiste il verbo incollerire, far montare dentro di sé la collera, ma non il suo contrario. Perché? Perché la collera è preziosa, protegge dalla disperazione”. E, poi, diverse pagine dopo: “Sii fiera di aver amato. La persona che ama è sempre la più forte”. Dove sta la verità (se mai ce ne sia una)?

Queste due verità non sono in contraddizione. Sì, la collera può proteggere, ma l'amore dà una forza più grande della collera.

A metà della storia “Épicène scoprì che si poteva morire per non aver pronunciato in tempo una parola salvifica”. È questa la funzione delle parole, dei romanzi, dei narratori? Salvarci?

Sì, la salvezza a volte si può trovare solo nell'arte di raccontare una storia terribile.

Una curiosità: sei un’autrice estremamente prolifica, scrivi sostanzialmente un libro all’anno (e chissà quanti sono nel tuo cassetto). Da dove origina la tua fantasia, che sembra, a volte, il potere prodigioso che tutti abbiamo da bambini e poi inesorabilmente perdiamo? Come la hai mantenuta viva?

Ho trovato il segreto dell'ispirazione: esso consiste nel non fermarsi mai. L'ispirazione è come una ferita, se non si permette che cicatrizzi, il sangue può colare continuamente, come l'inchiostro.

Infine: Perché nomi “epiceni”? Se i protagonisti avessero avuto nomi “normali” sarebbe cambiato qualcosa?

Pare che quando una ragazza non è amata dal proprio padre non arrivi a identificarsi e a capire del tutto se è una donna o un uomo. Da qui secondo me la necessità di dare a questo personaggio il più epiceno fra i nomi epiceni: Epicèn

La salvezza a volte si può trovare solo nell'arte di raccontare una storia terribile

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