SOCIETÀ

Non è il fuoco della rabbia, è (solo) il prurito della nostra irritazione

Mi fa venire l'orticariami fa saltare i nervi. Associando una reazione fisica al cambiamento del nostro stato d'animo, quante volte l'abbiamo detto, o anche solo pensato, riferendoci a una persona che non ci piace o a una situazione seccante? Quella che stiamo provando non è esattamente rabbia, è (solo) irritazione: un sentimento “ordinario e trascurabile”, senza “fascino né radicalismo”, privo di appeal, consistenza, giustificazione e soluzioni e per questo incapace di suscitare una riflessione critica? Non proprio.

"È come se l'irritazione sospettasse sempre di essere ridicola e dovesse evitare di guardarsi troppo da vicino per non essere infastidita dalla propria speciosità", eppure si tratta di un sentimento quotidiano, che di solito preferiamo mantenere privato: ci sentiamo spesso irritati da qualcosa o da qualcuno, anche se tendiamo a non ammetterlo, liquidando in fretta la questione quando veniamo interrogati. Le cose cambiano quando quell'irritazione diventa qualcosa di condiviso, quando il 'prurito' attraversa anche la pelle di qualcun altro: ve ne siete mai accorti? Al primo 'anche a me questa cosa indispettisce molto', si superano i semplici sospiri, non ci si limita più a sbuffare, il fiume rompe gli argini e a quel punto viene tutto fuori, non smettiamo più di raccontare, precisare, lamentarci: forse perché quando non ci sentiamo più i soli a provare quel fastidio, smettiamo anche di sentirci ridicoli? Che se ne parli o meno, la verità è che in fondo amiamo quanto quel sentimento "ci fa sentire odiosi" perché, a differenza della rabbia, "non lo prendiamo troppo sul serio". E poi, diciamocelo, quanto è (s)piacevole grattare forte quel prurito che non ci dà pace? Assomiglia a un piccolo dolore, eppure non riusciamo a smettere.

Un articolo pubblicato recentemente su Aeon approfondisce l'argomento, rivelando intenzioni e punti di vista sin dal titolo In praise of irritation, elogio dell'irritazione. "L'esperienza quotidiana dell'irritazione nasconde un paradosso - si legge -. Praticamente qualsiasi cosa può provocarlo: un telefono lasciato squillare o una telefonata ricevuta, persone che camminano troppo lentamente o guidano troppo velocemente. Arrivare in ritardo è irritante, ma lo è anche arrivare in anticipo. L'impudenza è irritante, ma l'obbedienza ancora di più. Eppure, per quanto vari siano i suoi stimoli, l'irritazione è anche un sentimento vuoto e tautologico […] Apparentemente per ogni piccola cosa e anche per niente, l'irritazione è un sentimento in cerca di cause: esce nel mondo e le trova".

L'irritazione che proviamo dice molto su di noi, in particolare sul periodo che stiamo vivendo. Rabbia, tristezza, frustrazione sono sentimenti potenti e prestigiosi, più alti e apparentemente più interessanti da esplorare. L'irritazione resta defilata, non esplode e all'esterno manda piccoli segnali, quasi impercettibili: ci fa sbuffare, ballare un occhio, battere ossessivamente il piede a terra, mordere le labbra, digrignare i denti senza farci notare, alzare gli occhi al cielo. Muove qualcosa dentro di noi, ma senza fare (troppo) rumore fuori

Panoramica e al tempo stesso piccolissima, non è rabbia che brucia e poi esplode, non ci abbatte come la tristezza, non cerca ostinatamente soddisfazione altrove, come invece prova a fare la nostra frustrazione. A uno sguardo attento, l’irritazione si svela nelle trasformazioni minime del nostro volto. Al tempo stesso, sceglie le parole giuste per presentare la sostanza di qualcosa che si distribuisce sulla pelle ma non divampa e per descrivere le caratteristiche di un esercito di nervosetti, brontoloni, suscettibili, lamentosi (siamo tanti, sì).

"Sono molte le cose, le persone, gli aspetti, i costumi che, da sempre, mi hanno irritato e mi irritano. Da parte del prossimo, e anche da parte di me stesso", scriveva Gillo Dorfles in Irritazioni, libro in cui, senza censure né imbarazzi, sceglieva di confessare le sue insofferenze nei confronti del "costume contemporaneo", assegnando all’irritazione un ruolo preciso nella sua vita e nella storia collettiva.

Torniamo all'articolo di Aeon, l'autore Will Rees si interroga: By attending to the profundity of this superficial feeling, might we open our eyes to what is hiding in plain sight? Dunque, possiamo occuparci della profondità di un sentimento superficiale? Nell'Etica nicomachea, spiega, Aristotele offre un identikit delle persone che chiamiamo irritabili, [ovvero] quelle che si irritano per le cose sbagliate, più gravemente e più a lungo di quanto sia giusto. Mentre la rabbia è considerata da Aristotele potenzialmente utile come motore di trasformazione sociale, purché ci si arrabbi per le cose giuste, con le persone giuste e anche nel modo giusto, al momento giusto e per il tempo giusto, l'irritazione sembra incapace di compiere il passaggio necessario per elevarsi, per raggiungere uno scopo politico e sociale. Questo è sicuramente il motivo per cui raramente si ammette di essere irritati: "L'irritazione è uno dei sentimenti più privati, non perché abbia un segreto da custodire, ma perché non lo ha [...] è un circuito chiuso” che ci porta a conversare con noi stessi. In Ugly Feelings Sianne Ngai associa l'irritazione all'invidia e alla paranoia, "stati emotivi non catartici, associati a situazioni in cui l'azione è bloccata o sospesa [...] in contrasto con emozioni negative potenti e dinamiche come la rabbia", e sottolinea la facilità con cui l'irritazione "minaccia sempre di scivolare fuori dal regno dell'esperienza emotiva al regno delle sensazioni fisiche o epidermiche". A partire dalla posizione del filosofo tedesco Martin Heidegger si aprono altre vie. L'irritazione può essere considerata uno "stato d'animo fondamentale che riguarda tutto e niente. O, in altre parole, che non riguarda qualcosa nel mondo ma il mondo stesso".

Ma allora cosa ce ne facciamo di tutta questa stizza, di questo epidermico fastidio? Possiamo davvero ridefinire il ruolo dell'irritazione oggi? "Le nostre esperienze di irritazione superficiali e fluttuanti possono fornire una forma speciale di intuizione, una sorta di consapevolezza ambientale (heideggeriana)? - ci chiede Rees - L'irritazione potrebbe avere un effetto politicizzato in un'epoca di emergenza climatica, in cui un senso di crisi permea l'atmosfera stessa ma, in gran parte del mondo, non riesce a manifestarsi concretamente? Quando qualcosa, tutto, è chiaramente sbagliato e tuttavia nulla interrompe totalmente il flusso costante dell'ordinarietà?". E ancora: "Restare con la propria irritazione e accettare che non sempre si sa perché ci si sente così, potrebbe offrirci la possibilità di imparare a raccontare nuove storie sul mondo e su noi stessi. Forse l'irritazione, vaga e non focalizzata, ci invita a riflettere sulla natura atmosferica, sovradeterminata e interconnessa dei danni politici contemporanei e sui costi psichici e somatici che comporta il vivere in tali condizioni".

"È Nietzsche a offrire la visione più completa dell'ambiguità che sta alla base dell'irritazione - si legge su Aeon -. Nei suoi momenti più arrabbiati e meno interessanti deplora l'irritabilità definendola sintomo di un'epoca viziata e decadente: in un aforisma de La gaia scienza, scrive che coloro che tentano di praticare l'autocontrollo sono afflitti da una malattia particolare; vale a dire, una costante irritabilità di fronte a tutti i moti e le inclinazioni naturali - per così dire, una sorta di prurito. Tuttavia, successivamente, respinge i tentativi di superare questa sensibilità corporea e suggerisce invece di selezionare le situazioni, le persone e persino gli eventi che si adattano alla propria natura intellettuale estremamente irritabile". Di più, egli sostiene che "abbracciare la propria irritabilità sia una condizione necessaria per la creatività: è, scrive, ciò che hanno sempre fatto tutti coloro il cui lavoro è dello spirito. Per questo tipo di persone sarebbe una perdita essere privati della loro sottile irritabilità [...] Con queste parole, presuppone che l'irritabilità sia al tempo stesso un trampolino di lancio e un ostacolo per la produzione artistica [...] Potremmo immaginare che l'irritazione assomigli alla capacità negativa di Keats o all'attenzione fluttuante uniforme di Freud: un allentamento della pretesa di conoscere già la differenza tra ciò che è importante e ciò che è banale. L'irritazione potrebbe diventare una forma di sintonia generalizzata, persino di curiosità, in cui la chiusura è solo un'opzione”.

Quali vie può aprire questa inedita riflessione? Non è necessario essere allineati: del resto, restando sempre ai margini del dibattito, l'irritazione è argomento nuovo che non consente l’elaborazione immediata di una chiara e solida opinione, tuttavia risulta interessante iniziare a ragionare attorno a uno stato d'animo a fior di pelle, certamente diffuso nella società contemporanea, ma ancora poco (forse, per nulla) esplorato.

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