SCIENZA E RICERCA

Da pandemico a endemico: quale futuro per Sars-Cov-2

Nel corso dell'ultimo anno ci siamo domandati spesso quando finirà. Il desiderio di tutti è poterci riappropriare il prima possibile della nostra vita precedente, ricominciare a viaggiare e muoverci liberamente, abbracciare i propri cari, assistere a un concerto, tornare al cinema, coltivare le proprie passioni, che siano lezioni di lingue o un corso di yoga, senza l'intermediazione di un computer. E poi l'istruzione e le attività economiche, settori colpiti pesantemente dalle misure di contenimento dei contagi. 

Naturalmente anche gli scienziati si sono chiesti quale sarà il futuro di SARS-CoV-2 e se il patogeno che ha messo in ginocchio il mondo possa essere eliminato o ridotto a qualche caso sporadico non più in grado di riaccendersi in cluster di contagio. Lo scenario ritenuto più probabile può spaventare perché prevede che il virus responsabile della prima pandemia del mondo globalizzato resterà con noi a lungo. Ma c'è anche un  elemento di forte rassicurazione: secondo la maggioranza degli esperti nel corso del tempo SARS-CoV-2 perderà di aggressività e si trasformerà in una minaccia molto meno temibile che non renderà più necessarie quelle limitazioni che oggi ben conosciamo. 

Il suo destino potrebbe infatti essere quello di unirsi agli altri quattro coronavirus del raffreddore che si ritiene siano diventati pressoché innocui per l’uomo proprio attraverso una lunga convivenza con l'ospite, in un progressivo adattamento che ha fortemente ridotto la loro capacità di provocare sintomi di rilievo. Naso chiuso, qualche starnuto, irritazione alla gola e un po' di spossatezza. Un'esperienza che viviamo abbastanza frequentemente, soprattutto nella stagione invernale, ma che non lascia alcuna grave conseguenza. 

Un’evoluzione che non ha invece caratterizzato gli altri due coronavirus di interesse umano, SARS e MERS, dotati di una patogenicità molto più elevata ma fortunatamente anche da una minore trasmissibilità. Quello che attualmente contraddistingue SARS-CoV-2 è invece proprio un unione tra i tratti distintivi delle due tipologie di patogeni che fanno parte della stessa più ampia famiglia: in comune con i coronavirus del raffreddore ha un’alta capacità infettante ma oltre a replicarsi molto efficacemente nelle vie aeree superiori è in grado di farlo anche nei polmoni ed è responsabile di un'infezione che, in alcuni casi, arriva a colpire diversi organi e dà origine a una pericolosa infiammazione sistemica. È bene precisare che i virus della SARS e quello della MERS, con un tasso di letalità che è rispettivamente di circa il 10% e il 30%, sono capaci di provocare una malattia che evolve in forme gravi con una probabilità molto superiore rispetto a quanto non accada nel caso di contagio con SARS-CoV-2. Tuttavia proprio questo ne ha limitato la diffusione, mentre il nuovo coronavirus ha trovato negli asintomatici e nei paucisintomatici una formidabile occasione per propagarsi da una persona all'altra. Senza poi dimenticare che, trattandosi di un patogeno nuovo, all'inizio ha trovato le condizioni ideali per espandersi: a livello potenziale quasi otto miliardi di ospiti privi di difese specifiche.

Da qualche mese si parla della possibilità che in futuro SARS-CoV-2 diventi un virus endemico, diffuso cioè in modo esteso tra la popolazione e con focolai ampi e ricorrenti che ricalcano le dinamiche stagionali dei virus dell’influenza. E' questa la direzione già suggerita da un articolo pubblicato nel novembre scorso su Science: lo studio realizzato dai ricercatori Jeffrey Shaman e Marta Galanti della Columbia Mailman School concludeva ritenendo probabile che Covid-19 possa manifestarsi annualmente con focolai diffusi tra la popolazione, oppure possa presentarsi a intervalli di tempo più lunghi senza però mai scomparire del tutto. Gli autori erano giunti a questo risultato analizzando l’interazione tra fattori come la durata dell’immunità, le condizioni ambientali e le misure di controllo.

Nel frattempo l’arrivo dei primi vaccini ha iniziato a fornire un importante strumento di contrasto alla pandemia ma parallelamente, quasi in una sorta di reciproca lotta per la sopravvivenza, il patogeno ha cominciato a manifestarsi attraverso varianti virali che preoccupano per la loro maggiore contagiosità e per il rischio che riescano ad eludere il sistema immunitario. Il futuro di SARS-CoV-2 dipenderà quindi anche dall’efficacia della protezione offerta dai vaccini e dalla sua durata nel tempo. Sarà inoltre fondamentale capire se i sieri sviluppati dalle aziende siano capaci o meno di bloccare anche il contagio, oltre a evitare che la malattia evolva in forme gravi. Limitare il più possibile il propagarsi delle infezioni significa anche ridurre le occasioni di mutazione da parte del patogeno che replicandosi compie degli errori di copiatura del suo genoma e tende a mantenere e a far diventare dominanti quelle che gli risultano favorevoli.

Più recentemente un altro articolo pubblicato su Science ha provato a prevedere quale possa essere la più probabile evoluzione di SARS-CoV-2 nel corso del prossimi anni. Jennie S. Lavine e Rustom Antia della Emory University di Atlanta e Ottar N. Bjornstad della Pennsylvania State University hanno elaborato un modello teorico che conferma l’ipotesi che il nuovo coronavirus assumerà carattere endemico e la sua letalità finirà per attestarsi intorno allo 0,1%, un livello inferiore a quello dell’influenza stagionale.

Gli studiosi sono arrivati a questa conclusione prendendo come riferimento il comportamento e le caratteristiche dei quattro coronavirus del raffreddore comune (229E, OC43, NL63 e AKU1).

Una volta diventato endemico, e gli autori ritengono che questo percorso richiederà circa un decennio, SARS-CoV-2 tenderebbe a colpire per la prima volta i bambini tra i 3 e i 5 anni causando sintomi lievi e permettendo lo sviluppo di una risposta immunitaria che, pur non mettendo al riparo da successive reinfezioni, eviterebbe ripercussioni gravi sull'organismo.

I meccanismi e la durata dell'immunità a SARS-CoV-2, sia conseguente alle vaccinazioni, sia sviluppata dalle persone che hanno incontrato il patogeno, richiedono ulteriori approfondimenti ma sappiamo che, sebbene il titolo anticorpale tenda a diminuire abbastanza rapidamente, le cellule della memoria persistono più a lungo e sono in grado di riattivare la produzione di specifici anticorpi neutralizzanti in caso di successiva necessità. Nel frattempo i dati che arrivano da Israele, il Paese che è più avanti di tutti con la somministrazione dei vaccini ai propri abitanti, sono incoraggianti e mostrano un consistente calo nel numero dei contagi e dei ricoveri in ospedale. La diminuzione delle infezioni rafforza l'ipotesi che il vaccino riesca anche ad abbattere la trasmissione del virus, oltre ad impedire lo sviluppo di sintomi gravi. 

Su questo aspetto occorrono però maggiori certezze e infatti un'altra implicazione dello studio è che durante la transizione verso l'endemicità sarà importante evitare una strategia di sorveglianza che si basi esclusivamente sul monitoraggio dei casi sintomatici perché questo potrebbe rendere molto più difficile limitare la diffusione del virus. Pertanto, sottolineano gli autori, per proteggere le popolazioni più vulnerabili è fondamentale che durante tutta la campagna di vaccinazione non diminuisca l'impegno sul fronte dei test diagnostici. 

Nei giorni scorsi anche la rivista Nature ha approfondito questo argomento intervistando oltre 119 scienziati, tra immunologi, ricercatori di malattie infettive e virologi che lavorano su SARS-CoV-2, e domandando loro quale sarà il futuro della pandemia. Quasi il 90% degli esperti ha risposto di aspettarsi che il nuovo coronavirus passerà dalla fase pandemica a quella endemica, con un progressivo minore impatto sull'organismo delle persone contagiate. In particolare, il 60% ritiene questa ipotesi "molto probabile" e il 29% la considera "probabile". 

L'ipotesi che si possa eliminare SARS-CoV-2 da alcune regioni del mondo è ritenuta probabile o molto probabile da oltre un terzo degli esperti intervistati sebbene, come afferma l'epidemiologo dell'università di Oxford Christopher Dye, permarrebbe "un rischio continuo (e forse stagionale) di reintroduzione da luoghi in cui la copertura vaccinale e le misure di salute pubblica non sono state abbastanza buone". E se non ci sarà un reale sforzo per non lasciare indietro le aree del mondo in via di sviluppo si rischierà "di avere delle riaccensioni che provengono dai Paesi in cui la vaccinazione non è stata condotta", come ricorda Gavino Maciocco, esperto di politiche sanitarie e salute globale. 

Il futuro, sottolinea l'articolo di Nature, dipenderà in larga misura dal tipo di immunità che le persone acquisiranno attraverso il superamento dell'infezione o la vaccinazione e dal modo in cui il virus si evolve. Anche l'influenza e i quattro coronavirus umani che causano il raffreddore comune sono endemici ma una combinazione di vaccini annuali e immunità acquisita porta le società a tollerare un certo numero di morti stagionali (che per l'influenza arriva a 650 mila ogni anno su scala globale) senza richiedere misure restrittive, uso delle mascherine e distanziamento sociale.

Tra gli scienziati intervistati c'è anche Jennie Lavine, ricercatrice di malattie infettive presso la Emory University di Atlanta e tra le autrici dell'articolo di Science, citato in precedenza, i cui risultati prevedono che SARS-CoV-2 acquisisca carattere endemico nell'arco dei prossimi dieci anni. Il virus, spiega Lavine, diventerebbe un nemico incontrato per la prima volta durante infanzia e da quel contatto iniziale deriverebbe una protezione in grado di evitare che le esposizioni in età adulta evolvano in forme gravi di malattia. Per i bambini il nuovo coronavirus tende a non rappresentare un rischio, se si escludono i casi di sindrome iperinfiammatoria che comunque rispondono bene alle cure. Tra i fattori che possono spiegare la minore suscettibilità dei più piccoli ai sintomi della Covid-19 c'è proprio la loro frequente esposizione ai coronavirus del comune raffreddore che, seguendo i meccanismi della cross-reattività, porterebbe a stimolare lo sviluppo di anticorpi utili anche contro SARS-CoV-2. 

Finora non è chiaro se l'immunità a SARS-CoV-2 si comporterà allo stesso modo: i casi documentati di reinfezione sono ancora in un numero troppo limitato e non permettono di avere certezze sul modo in cui il nostro organismo risponde a un secondo attacco del patogeno.

C'è poi il nodo varianti e al riguardo più del 70% dei ricercatori intervistati da Nature ritiene che la fuga immunitaria sarà un altro fattore che faciliterà la circolazione del virus e che potrebbe rendere necessario un aggiornamento periodico dei vaccini. Uno studio pubblicato in preprint ha mostrato in laboratorio che gli anticorpi neutralizzanti presenti nel sangue di persone che sono state contagiate da SARS-CoV-2 sono meno capaci di riconoscere la variante virale identificata per la prima volta in Sud Africa (chiamata 501Y.V2), rispetto a quelle che circolavano in precedenza. Più in generale alcune mutazioni dei ceppi virali emergenti creano preoccupazione perché potrebbero rendere il virus meno facilmente identificabile dai nostri anticorpi e di conseguenza la protezione immunitaria indotta da alcuni vaccini potrebbe risultare minore. 

Ma se vogliamo evitare che SARS-CoV-2 riesca a circolare ampiamente e abbia continue occasioni per mutare dobbiamo impedire che si stabilisca in una popolazione di animali selvatici. Diverse malattie tenute sotto controllo, ricorda l'articolo di Nature, persistono perché i serbatoi animali offrono la possibilità agli agenti patogeni di riversarsi nelle persone. Alcuni esempi riguardano la febbre gialla, l'ebola e il virus della chikungunya. Sappiamo che il nuovo coronavirus può infettare facilmente molti specie animali e nei mesi scorsi è passato anche tra i visoni e le persone. "Non c'è malattia nella storia dell'umanità che sia scomparsa dalla faccia della Terra quando la componente zoonotica era una parte così importante o ha svolto un ruolo nella trasmissione", ha commentato Michael Osterholm, epidemiologo dell'università del Minnesota. 

Il percorso che SARS-CoV-2 potrebbe intraprendere per diventare un virus endemico è difficile da prevedere, ma abbiamo un certo margine di controllo su molti fattori che possono condizionarlo. Come ha sottolineato Telmo Pievani su questo giornale "l’agente patogeno fa della rapidità della mutazione una sua arma" e quindi "è necessario sorvegliare le varianti, avere dati epidemiologici in diretta e condivisi rapidamente". Però "non dobbiamo solo lavorare su farmaci e vaccini, ma anche sugli elementi ecologici di contesto per ridurre il rischio di nuove pandemie", il che significa interrompere la distruzione dell'ambiente e il commercio illegale di animali e le occasioni di contatto con le specie portatrici di questi virus. 

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