Sarà Onde la parola chiave della 18° edizione del Festival della Scienza di Genova, uno dei più grandi eventi di divulgazione della cultura scientifica al mondo che si terrà dal 22 ottobre al 1 novembre. All’interno del festival Il Bo Live, con il coordinamento scientifico di Antonella Viola, curerà il ciclo di conferenze in presenza dedicato ai temi della pandemia: “L'onda Covid: capire per reagire”.
Nel corso di questo mese e mezzo circa che ci separa dall’inizio del festival, Il Bo Live curerà una serie di interviste di avvicinamento al festival: “Aspettando Genova – L'onda Covid: capire per reagire”. Avremo un ospite a settimana, con cui analizzeremo gli aspetti scientifici dell’impatto che la pandemia ha avuto sulla società.
Con Walter Ricciardi, parleremo della gestione di una pandemia; con Maria Rescigno della Fondazione Humanitas di Milano parleremo dell’immunità a Sars-CoV-2; con Paolo Rossi dell’ospedale Bambin Gesù di Roma parleremo dell’effetto di CoVid-19 sui bambini; con il virologo Giorgio Palù parleremo della storia evolutiva dei coronavirus; con Giuseppe Ippolito dello Spallanzani di Roma faremo il punto sulle cure contro CoVid-19; e infine con Andrea Crisanti torneremo sul modello di Vo’ Euganeo.
L’ospite del nostro primo appuntamento invece è l’epidemiologo Paolo Vineis, professore di epidemiologia ambientale all'Imperial College di Londra, visiting professor all’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova e vice presidente del Consiglio superiore di sanità. Si è occupato degli effetti del cambiamento climatico sulla diffusione di malattie, dell'epidemiologia del cancro e delle cause ambientali delle malattie. È un epidemiologo dallo sguardo ampio, che tiene insieme i temi della salute, dell’economia e delle disuguaglianze sociali. Ha scritto a questo riguardo un libro nel 2014, Salute Senza Confini per Codice Edizioni, che è stato ripubblicato in un’edizione aggiornata a maggio 2020, con aggiornamenti su CoVid-19.
E proprio da questo aspetto siamo partiti nell’intervista a Paolo Vineis: CoVid-19 è la prima pandemia del mondo pienamente globalizzato. Il virus quando ancora era silente si è spostato in aereo e ha raggiunto in modo relativamente veloce tutti i continenti. “Tutti ormai sanno che i pipistrelli sono un serbatoio naturale di coronavirus. Possiamo partire da qui nella ricostruzione della catena causale degli eventi” racconta Paolo Vineis nell’intervista realizzata per Il Bo Live in collaborazione con il festival della scienza di Genova.
Intervista a Paolo Vinies, professore di epidemiologia ambientale all'Imperial College di Londra. Montaggio di Francesca Bastianon
Il rapporto tra uomo e ambiente
“Sembra che in alcune caverne cinesi il 20% dei pipistrelli sia serbatoio di coronavirus. Vi sono villaggi in prossimità di queste caverne e vi sono persone che utilizzano queste caverne ad esempio per raccogliere il guano. Attraverso la globalizzazione e un uso intensivo del territorio c’è una sempre maggiore vicinanza tra la società umana e la wilderness, la natura selvatica. Allo stesso tempo i cambiamenti dell’ambiente, il cambiamento climatico, l’agricoltura intensiva ed estensiva fanno sì che gli stessi animali selvatici abbiano difficoltà a mantenere il loro habitat. Tutto questo facilita il salto di specie. Abitualmente ci sono delle specie intermedie, si suppone il pangolino nel caso di Sars-CoV-2.”
Nella catena causale, che come sottolinea Vineis è ancora solo indiziaria, una volta infettati i primi soggetti umani il passo successivo è la diffusione del virus. “In questo caso la globalizzazione intesa in senso economico ha giocato un ruolo importante, nei termini di accelerato scambio di persone e di beni. Dal 2003, quando abbiamo avuto l’epidemia di Sars, il numero di passeggeri di voli aerei è raddoppiato, quindi ci sono molte più opportunità di trasmissione. Quando l’Oms ha dichiarato lo stato di emergenza di sanità pubblica il 30 gennaio c’erano già stati apparentemente 10.000 casi di infezione in 20 Paesi diversi a causa di questi rapporti ravvicinati tra Paesi”.
L’epidemiologia prende elementi dalla sociologia, demografia e strumenti matematici e biologia molecolare, o virologia e immunologia. Lo scopo è stabilire nessi causali, capire cosa causa la malattia.
“Quando l’epidemiologia studiava le cause delle malattie negli anni ‘50 si concentrava su agenti causali individuali, come il fumo di tabacco o l’esposizione a determinate sostanze chimiche. Ci si è concentrati sulle cause prossimali. Negli ultimi decenni lo sguardo si è ampliato, si è capito che la catena causale è più complessa e include anche i determinanti sociali delle malattie: se ci atteniamo ai comportamenti, il consumo di alcol o tabacco è diverso nelle diverse classi sociali. Ma lo sguardo si è ampliato soprattutto perché abbiamo constatato che ciò che causa la distribuzione delle malattie a livello geografico e temporale sono fenomeni complessi che riguardano il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Di qui si è passati dal prossimale al distale.
Un mio ex collega, Chris Murray, ora all’università di Washington di Seattle, ha studiato il rapporto che c’è tra biodiversità, trasformazioni del suolo, deforestazione, rapporto tra società umane e wilderness, e ha trovato che uno dei maggiori determinanti per la diffusione di nuove malattie infettive è la riduzione della biodiversità. Sono stati condotti altri studi sulla relazione tra i commerci internazionali, l’utilizzo intensivo dei terreni in Paesi a basso reddito e la frequenza di zoonosi. In parole povere, i commerci internazionali di cibo e altri beni, come la gomma, incrementano il rischio di zoonosi. Più del 50% delle zoonosi sono attribuibili all’intervento umano sul territorio, con agricolture intensive e monocolture”.
I 9 limiti planetari. https://www.stockholmresilience.org/research/planetary-boundaries.html
Uno schema sui cosiddetti limiti planetari (planet boundaries) realizzato da Johan Rockstrom dello Stockholm Resilience Center è molto utile per capire il rapporto tra l’uomo e il suo pianeta: “ci stiamo avvicinando o abbiamo superato quei limiti planetari superati i quali rischiamo un degrado irreversibile per alcuni settori del pianeta. Questi 9 limiti includono i cicli dell’azoto e del fosforo, per i quali abbiamo già superato la zona rossa, il cambiamento climatico, per il quale siamo nella zona gialla, e la biodiversità, in zona rossa. La riduzione della biodiversità è l’aspetto più pertinente per quanto riguarda l’emergere di zoonosi”.
Cosa sappiamo sugli asintomatici
Ad agosto i contagi in Italia sono tornati a superare le 1000 infezioni al giorno, un dato che in Italia non si vedeva da maggio. L’età media si è abbassata quasi a 30 anni ed è aumentata la percentuale di asintomatici.
“La proporzione di asintomatici è variata a seconda delle stime tra il 50% e l’80%. Addirittura in una serie di prigioni negli Stati Uniti questo valore è salito fino al 96%”. Per capire la trasmissione della malattia forse l’esempio più interessante è quello della nave da crociera Diamond Princess sostiene Vinies. “Si tratta di una sorta di esperimento naturale, isolato. Gli asintomatici erano poco meno del 50% e sono stati una fonte di infezione importante, per il 69% dei casi. Gli asintomatici diffondono l’infezione, questo si è visto anche in altri casi, però la carica virale apparentemente è inferiore. Questo aspetto della carica virale forse non è stato ancora sufficientemente indagato. È molto probabile che le persone con sintomi molto evidenti trasmettono una carica virale molto alta e i casi secondari che da essi derivano hanno più probabilità di avere un’infezione sintomatica. Ma naturalmente è tutto da indagare meglio”.
A inizio agosto è stata pubblicata in Italia un’indagine di sieroprevalenza dell’Istat che ha trovato che circa 1 milione e mezzo di persone sono risultate positive agli anticorpi, quando ricordiamo le persone che sono ufficialmente risultate positive al tampone in Italia oggi sono all’incirca 270.000.
“L’indagine dell’Istat è arrivata alla conclusione che circa il 2,5% della popolazione italiana ha sviluppato anticorpi (IgG o IgM), però con una grande eterogeneità geografica: questa prevalenza era inferiore all’1% al sud e arrivava al 7,5% in Lombardia, con livelli ancora superiori nel bergamasco. E poi era diversificata per categorie professionali, con livelli più alti tra il personale sanitario”.
Per quanto riguarda il calcolo della letalità, torna la questione della morte ‘per’ o ‘con’ coronavirus. “La letalità dipende da quanto grande è il denominatore, ovvero il numero dei contagiati. Al numeratore ci vanno le morti attribuite al CoVid, ma sappiamo che anche questa attribuzione non è del tutto chiara. Il rapporto dell’Istat e dell’Istituto Superiore di Sanità del 16 luglio riportava che l’89% delle morti attribuite a CoVid era dovuto direttamente a CoVid, le altre morti erano indirette”. Di conseguenza le stime sulla letalità variano dal 10%-12% (molto alte) al 2,5%.
“ Il diritto alla salute sul territorio italiano dovrebbe essere lo stesso per tutti
Il rapporto tra scienza e politica
La stessa indagine di siero prevalenza dell’Istat ha certificato che il virus ha colpito in modo differenziato le singole Regioni, le quali hanno messo in campo strategie di risposta diverse. Spesso è stato sottolineato che nel Rapporto Stato-Regioni è mancata una cabina di regia unica: ad esempio il Governo non ha indicato un numero standard di tamponi giornalieri da fare.
“Complessivamente credo che la reazione del governo centrale sia stata buona e condivisibile, quanto meno tempestiva, rispetto a Paesi come l’Inghilterra. Ci sono stati però anche Paesi più virtuosi, come la Nuova Zelanda, che ha avuto una gestione molto buona dell’epidemia, per motivi che è anche difficile capire. Per me il punto critico in Italia che CoVid ha rivelato è l’autonomia delle Regioni che, così com’è, non funziona, cioè c’è troppa autonomia. Non parlo come vice presidente del Consiglio superiore di sanità ma a titolo personale. Le prove scientifiche sono le stesse per tutti. Le misure che siamo in grado di adottare dal punto di vista tecnico sono le stesse per tutti. Il diritto alla salute sul territorio italiano dovrebbe essere lo stesso per tutti. È giusto che ci siano adattamenti locali ma le linee guida dovrebbero essere le stesse per tutti. I contrasti che ci sono stati tra governo centrale e Regioni, per responsabilità delle Regioni secondo me, non sono giustificabili e hanno probabilmente nociuto alla gestione dell’epidemia”.
Ampliando lo sguardo al di fuori dell’Italia secondo Vineis molti Paesi hanno avuto un andamento simile dell’epidemia: “Spagna, Francia, Inghilterra e Italia hanno avuto andamento e gestione simili. Alcuni Paesi sono andati peggio, come gli Usa, altri meglio, come la Nuova Zelanda. Non sempre è possibile individuare i motivi di questi andamenti ma in larga parte sono ascrivibili alla politica e alle incertezze con cui la politica ha gestito l’epidemia. Gli Usa sono un esempio evidente”.
La Lombardia è stata la prima Regione ad essere colpita insieme al Veneto. “Un determinante della gravità dell’epidemia è certamente la mobilità e per la struttura produttiva la Lombardia ha un’elevata mobilità. A questa si sono sommati determinanti politiche e l’organizzazione del servizio sanitario, più territoriale quella del Veneto e con forse un’eccessiva enfasi posta sulle strutture ospedaliere quella della Lombardia”.
Nel corso di questa pandemia abbiamo anche imparato che la scienza opera in condizioni di incertezza e spesso in assenza di dati, mentre la politica vorrebbe che la comunità scientifica si pronunciasse con dei sì o con dei no, con certezze inconfutabili. I modelli matematici epidemiologici servono a ridurre l’incertezza, ma non possono farlo fino al grado di precisione che vorrebbe la politica. In Italia questo rapporto è forse diverso rispetto ad altri Paesi come l’Inghilterra. “La mia sensazione è che in Inghilterra ci sia una maggiore tradizione di rapporti tra scienza, media e politica, anche di maggiore educazione dell’opinione pubblica. In genere i giornalisti inglesi sono più descrittivi, non cercano il sensazionalismo o allusioni alla politica. In Inghilterra forse c’è maggiore consuetudine ad accettare i limiti della scienza, incluse le sue incertezze. A questo l’opinione pubblica dovrebbe abituarsi, all’incertezza, che si riduce mano a mano che ampliamo le nostre conoscenze, ma le informazioni non sono disponibili immediatamente”.
Riguardo al rapporto tra scienza e politica Covid è stato un terreno sperimentale, ha accelerato problemi che erano cronici, sostiene Vineis. “In situazioni di emergenza io credo sia giusto la politica si affidi interamente alle indicazioni tecniche. Quando l’emergenza cessa la politica deve però riassumere il proprio ruolo e esplicitare i valori cui fa riferimento. Anzi credo sia rischioso affidarsi solo alla scienza e alla tecnica, perché in condizioni in cui l’epidemia è meno rampante bisogna esplicitare i valori, come la solidarietà intergenerazionale, pensiamo al dibattito che è in corso sulla scuola. Gli interessi dei giovani (la formazione) devono essere tutelati così come quelli degli anziani (non infettarsi). È normale che in politica, e direi più in generale in etica, ci siano contrasti e conflitti, ma questo va esplicitato, non possono essere risolti solo con la scienza e la tecnica. Max Weber nelle sue famose conferenze sulla scienza come professione e sulla politica come professione diceva esattamente questo. O forse non esattamente questo, ma comunque può essere una fonte di ispirazione”.