SCIENZA E RICERCA

Passato, presente e futuro della clonazione animale: dalla pecora Dolly ai giorni nostri

Il 22 febbraio di 25 anni fa i giornali annunciarono l’esistenza del primo mammifero ottenuto per mezzo della clonazione. Si tratta, naturalmente, della famosissima pecora Dolly, che era venuta al mondo circa sette mesi prima e che, fino a quel momento, era rimasta un segreto.

Era il 1996 quando gli scienziati del Rosalin Institute di Edimburgo fecondarono una cellula uovo appartenente a una pecora di razza Scottish Blackface privata del suo DNA con il nucleo di una cellula adulta proveniente da una pecora di razza Finn Dorset. Dopo molti tentativi falliti, nel mese di luglio nacque un agnello sano in grado di sorreggersi sulle sue zampe ed esattamente uguale alla sua madre genetica di razza Finn Dorset. La pecora clonata fu battezzata dall’anestesista John Bracken in onore della cantante Dolly Parton.

Prima di quel momento, la clonazione aveva già funzionato per esemplari di altre specie animali, come insetti e rane, ma la nascita di un mammifero sano fu una notizia per certi versi scioccante, che ebbe una risonanza mediatica enorme e che accese un dibattito etico sui limiti dell’azione umana e sul rischio che, in futuro, sarebbe stato possibile clonare anche gli esseri umani.

Non era certo questo lo scopo degli scienziati del Rosalin Institute che avevano dato vita a Dolly, ma sta di fatto che questo traguardo segnò una tappa fondamentale nella storia della biomedicina e rivoluzionò le tecniche di miglioramento genetico nelle fattorie di ricerca. Negli ultimi 25 anni, infatti, sono venuti al mondo molti altri mammiferi che non hanno goduto della stessa fama di Dolly.

“La nascita di Dolly ha rappresentato un vero e proprio cambio di paradigma”, commenta il professor Luca Bargelloni, docente di genetica applicata al dipartimento di biomedicina comparata e alimentazione dell’università di Padova. “Prima di quel momento si pensava che fosse impossibile ripristinare le caratteristiche tipiche di una cellula allo stadio embrionale in una cellula adulta di mammifero.

Infatti, è bene chiarire che una cellula adulta – quindi completamente differenziata – contiene la stessa informazione genetica (a livello di sequenza di nucleotidi) contenuta in una cellula allo stadio embrionale. La differenza è che in una cellula adulta sono avvenute delle modificazioni che l’hanno riprogrammata per diventare un determinato tipo cellulare, appartenente quindi a uno specifico tessuto (cutaneo, muscolare, connettivo, etc.). Il suo destino, quindi, è per certi versi “già segnato”. La differenziazione delle cellule nei vari tipi cellulari permette lo sviluppo di un organismo complesso, i cui organi sono composti da tessuti diversi. Una cellula che si trova allo stadio embrionale, invece, possiede in potenza la capacità di evolversi in qualunque tipo cellulare: il suo destino, in altre parole, non è ancora stabilito”.

Il primo scienziato che riuscì a clonare con successo un animale fu il britannico John Gurdon, che negli anni Settanta impiantò nell’ovocita enucleato di una rana il nucleo tratto da una cellula embrionale di girino, riuscendo così a ottenere, dopo diversi tentativi, delle rane con lo stesso patrimonio genetico del girino a cui era stato prelevato il materiale genetico. Sembrava però impensabile riuscire a ottenere lo stesso risultato con dei mammiferi e replicare quindi artificialmente quel complesso processo di sviluppo che va dall’embrione al feto e poi a un organismo completo adatto per la vita al di fuori del grembo materno”.

Il processo di clonazione nei mammiferi è infatti molto delicato. “Funziona in questo modo”, spiega Bargelloni: “nella cellula uovo enucleata (prelevata da un esemplare di sesso femminile) viene introdotto il nucleo di una cellula adulta proveniente da un altro esemplare (nel caso di Dolly è stata utilizzata una cellula di ghiandola mammaria di una pecora Finn Dorset che, come abbiamo detto, è a tutti gli effetti la madre genetica della famosissima pecora). A questo punto è fondamentale riprogrammare il nucleo della cellula adulta impiantato per “riportarlo indietro nel tempo” e fargli riacquistare le sue caratteristiche embrionali, ovvero quella capacità di differenziarsi in qualunque tipo cellulare.

Se il procedimento va a buon fine, inizia il processo di replicazione: da una cellula se ne formano due, poi quattro, poi otto, e così via. Quando si è sviluppato un ammasso cellulare di una certa dimensione, chiamato blastocisti, questo viene impiantato in una madre surrogata che porterà avanti la gravidanza. Nel caso dei mammiferi, infatti, non esiste una tecnologia in grado di completare lo sviluppo di un feto al di fuori dal grembo materno.

La nascita di Dolly ha dimostrato che questo processo difficilissimo era possibile. Infatti, dopo molti tentativi falliti, gli scienziati del Rosalin erano riusciti a individuare le condizioni ideali perché la riprogrammazione delle cellule adulte funzionasse e la gravidanza andasse a buon fine.

Questo traguardo ha avuto delle ricadute importantissime sulla ricerca biomedica, aprendo la strada agli studi sulle cellule staminali che valsero allo scienziato giapponese Shinya Yamanaka il premio Nobel per la medicina nel 2012. Infatti, le cellule staminali sono proprio cellule adulte che sono state riprogrammate e hanno riacquisito la capacità di potersi differenziare in qualunque tipo cellulare”.

La possibilità di clonare animali sembrava poi particolarmente vantaggiosa per quei ricercatori che, da decenni, si occupavano di miglioramento genetico degli animali domestici e da fattoria. “Il modo classico in cui gli allevatori di animali di razza (in primis, i cavalli da corsa) ricercano questo miglioramento genetico è facendo accoppiare tra di loro gli esemplari migliori: quelli più resistenti, forti o veloci”, spiega Bargelloni. “Eppure, non è scontato, per quanto verosimile, che la loro progenie sia altrettanto performante, poiché il rimescolamento delle varianti genetiche del padre e della madre non è prevedibile con esattezza.

Al contrario, se si è conservato del DNA appartenente, ad esempio, a un inimitabile cavallo da corsa, si può ricorrere alla clonazione e, se il processo va a buon fine, il cavallo che nascerà sarà assolutamente identico al primo. La prima cavalla clonale, Prometea, nacque proprio in Italia nel 2003 come risultato degli studi condotti dal professor Cesare Galli”.

Questo filone di ricerca ha aperto la strada anche alla possibilità di produrre organismi geneticamente modificati, come maiali o vacche. “Basta seguire lo stesso processo utilizzato per la clonazione, con la differenza che il materiale genetico contenuto nella cellula adulta da cui si parte viene manipolato in coltura prima di essere impiantato nell’ovocita enucleato”, specifica il professor Bargelloni. “In questo modo è possibile far nascere animali transgenici dotati delle caratteristiche desiderate dagli allevatori e dai compratori. In realtà, questa tecnica è ormai sorpassata. Oggi per ottenere organismi geneticamente modificati si ricorre al genome editing. In questo caso la manipolazione genetica viene fatta su un normale embrione che viene espiantato e poi reimpiantato nella madre, con probabilità di successo decisamente più alte”.

Negli ultimi tempi, alcuni scienziati si stanno interrogando anche sull’utilità della clonazione finalizzata alla conservazione delle specie animali. È questa la speranza dei ricercatori dell’organizzazione statunitense Fish and Wildlife Service che cercano di salvare dall’estinzione la specie nordamericana dei furetti dai piedi neri, che al momento è minacciata perché i membri dell’unica colonia rimasta discendono dagli stessi 7 esemplari.

Poco più di un anno fa è nata Elizabeth Ann, il primo furetto dai piedi neri ottenuto con la clonazione. La madre genetica di Elizabeth Ann è un furetto morto nel 1998, il cui DNA, che è stato conservato durante tutti questi anni, contiene molte differenze rispetto a quello dei furetti attualmente in circolazione. Per questo motivo, far accoppiare Elizabeth Ann con un esemplare di sesso maschile potrebbe introdurre nuovi elementi di diversità genetica nella colonia.

La clonazione potrebbe dunque rivelarsi la strategia vincente per salvare molti animali dal rischio di estinzione?

“Per quanto dal 1996 ad oggi sia aumentata la comprensione dei meccanismi coinvolti nel processo di riprogrammazione delle cellule adulte, quello che ha dato vita a Dolly è un processo estremamente complesso, seppur standardizzato, che ha una probabilità di successo ancora piuttosto bassa”, riflette Bargelloni.

“Nonostante ciò, il limite di questo approccio è più pratico che tecnico. Infatti, per decidere se abbia senso o no usare la clonazione per salvare una specie dal rischio di estinzione bisognerebbe capire se il materiale genetico adeguatamente conservato e da cui bisogna far partire tutto il procedimento è sufficiente per rimpolpare la popolazione di quella specie in modo considerevole. Questo rimane un limite difficilmente sormontabile se non hanno a disposizione abbastanza cellule di individui per aumentare sensibilmente il numero di esemplari.

Inoltre, va considerato che la scienza che si occupa della conservazione animale ha cambiato il suo paradigma di riferimento negli ultimi anni: l’obiettivo non è più quello di difendere dall’estinzione le singole specie, bensì cercare di salvare gli ecosistemi interi. Spesso è necessario un percorso di recupero molto lungo per rendere di nuovo un ambiente adatto alla vita di alcuni animali. Non basta, quindi, aumentare il numero di esemplari se non ci si domanda di cosa hanno bisogno per la sopravvivenza e come preservare l’ecosistema in cui vivono.

Il tentativo di salvare i furetti dai piedi neri ha senza dubbio un obiettivo virtuoso, perché una maggiore diversità genetica permette agli animali di evolvere e affrontare le sfide che aspettano qualunque specie in un ambiente che cambia, come ad esempio la comparsa di nuovi virus o l’arrivo di eventi metereologici estremi. Ma forse, prima di agire in questo senso, bisognerebbe domandarsi perché l’ambiente è cambiato ed è diventato inadatto alla sopravvivenza di una determinata specie”.

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