CULTURA

Paul Ginsborg, la forza della mitezza

Il più italiano degli storici inglesi, il più britannico degli attivisti italiani. Serio ma appassionato, mite e radicale, solare nel sorriso e al tempo stesso rigoroso nelle argomentazioni e moralmente inflessibile. Soprattutto però Paul Anthony Ginsborg è stato uno dei più importanti e influenti studiosi di storia dell’Italia contemporanea, che con il suo particolare sguardo di straniero innamorato del nostro Paese ha contribuito in maniera determinante ad approfondire e a sprovincializzare. Ginsborg, nato a Londra il 18 luglio 1945, se n’è andato l’11 maggio nella sua Firenze, la città che aveva scelto 30 anni fa dopo aver insegnato per anni all'università di Cambridge, dove si era laureato. 

Fin dagli esordi inglesi della sua carriera accademica Ginsborg era stato attratto dall’Italia, occupandosi in particolare del Risorgimento in Veneto; in seguito aveva orientato le sue ricerche soprattutto verso la società italiana nel secondo dopoguerra, collocandola in una dimensione europea e globale. Il riferimento è alla celeberrima Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, pubblicata per la prima volta da Einaudi nel 1989: uno studio ricco e poderoso che, seguendo la formazione e la sensibilità dell’autore, tende a valorizzare la dimensione della società civile, recuperando in chiave positiva anche l’istituto della famiglia, spesso vittima di un pregiudizio negativo consolidatosi in seguito ai noti studi di Edward Banfield sul “familismo amorale”. Uno spunto poi sviluppato in diverse opere successive, in particolare Famiglia Novecento. Vita familiare, rivoluzione e dittature 1900-1950 (Einaudi, 2013), che allarga la prospettiva a livello internazionale e lungo l'intero secolo per soffermarsi sulla resilienza e sull’importanza fondamentale di questa cellula fondamentale della società, capace di resistere nei contesti più difficili e di incrinare e superare persino i totalitarismi.

“Paul Ginsborg ha avuto la straordinaria capacità di rileggere e reinterpretare l’Italia repubblicana con lenti nuove, secondo una visione dal basso dei rapporti tra società e potere che ha cambiato il modo di considerare quella che fino ad allora era stata trattata soprattutto come una storia politica, incentrata soprattutto sui partiti – è l’analisi di Filippo Focardi, docente di storia contemporanea all’università di Padova e direttore del Casrec –. Al contrario Ginsborg ha posto al centro dell’attenzione anche i consumi, i valori, la mentalità collettiva, portando una ventata d’aria fresca nel panorama storiografico italiano. Una visione poi riemersa anche negli anni del suo impegno civile”.

Paul Ginsborg intervistato da Il Bo Live nel 2018

Tutta una generazione si è formata su quel canone, si trattava di studi apripista fondamentali

La Storia d'italia di Ginsborg, adottata come libro di testo in diversi corsi universitari, ha contribuito anche a formare una generazione di giovani studiosi e continua tutt’oggi ad essere, dopo oltre 30 anni, uno dei volumi più diffusi e letti sul tema. “Il libro anticipa e per molti versi si inserisce in un filone di storie d'Italia uscite negli anni Novanta, che riflettono sugli effetti del '89 e della caduta del muro: Lanaro, Lepre ma anche Crainz, il più esplicito sul tema delle occasioni mancate e dell'insufficienza della politica italiana nel governare le trasformazioni dagli anni Sessanta in avanti”, spiega a Il Bo Live Alessandro Santagata, ricercatore presso il dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali (SPGI) dell’università di Padova. “La mia generazione si è formata sui libri di Ginsborg – continua il giovane studioso –, da lui abbiamo appreso molto anche perché i suoi erano studi apripista fondamentali, soprattutto per noi che uscivamo dal liceo senza aver mai studiato le vicende repubblicane”.

La notorietà dello studioso inglese, che diversi anni fa e ben prima della Brexit aveva deciso di prendere la cittadinanza italiana, non si ferma però all’ambito accademico. Soprattutto dopo le elezioni del 2001, che avevano visto per la seconda volta l’affermazione del centrodestra guidato da Berlusconi, Paul Ginsborg divenne familiare anche al grande pubblico come uno dei protagonisti dell’opposizione civile al nuovo governo, incarnata nel cosiddetto ‘movimento dei girotondi’, a detta del sociologo e politologo Fabrizio Tonello “una forma di azione politica allo stesso tempo allegra e radicale, non violenta e innovativa”. Il 24 gennaio 2002 si tenne a Firenze la "marcia dei professori" guidata da Francesco “Pancho” Pardi, professore di urbanistica, e dallo stesso Ginsborg, allora ordinario di storia contemporanea all'Università di Firenze: un corteo di 12-15.000 persone sfilò nella città per la democrazia e per protestare contro i tentativi di ingerenza dell’esecutivo nell’esercizio della funzione giudiziaria. Fedele alle concezioni dei corpi intermedi come spazio di libertà e della società civile come parte sana e potenzialmente salvifica del Paese, l’italiano d’adozione Ginsborg ritenne sua responsabilità impegnarsi in prima persona per dare voce a un "ceto medio riflessivo" (suo il copyright dell’espressione) che al momento non si sentiva sufficientemente rappresentato da alcuna forza politica. 

Sempre nell’ottica dell’impegno politico e sociale come responsabilità e dovere civico nel 2002 fu anche tra i fondatori dell'associazione di cultura politica Libertà e Giustizia, che in seguito avrebbe presieduto. "Il percorso di Ginsborg s’intreccia con quello di LeG fin dalla nascita dell’Associazione – scrive in un comunicato il presidente Sergio Labate – […] Tutti quelli che l’hanno conosciuto ricorderanno che questa rigorosa immagine di intellettuale pubblico si accompagnava con la mitezza e l’ironia di un uomo che, contrariamente a molti altri intellettuali della sua epoca, non aveva troppo tempo per essere preso da se stesso. Pungente, curioso, sorridente, mite ma sempre in grado di esprimere le proprie ragioni con radicalità e fermezza. Così ha vissuto Paul Ginsborg: un uomo appassionato e lucido, mite e radicale”.

“Ginsborg portava con sé quello che Hannah Arendt ha definito Amor mundi – conclude Fabrizio Tonello –, l’amore del mondo per quello che è, con tutte le sue bruttezze, i crimini e le tragedie, ma che ciononostante è il nostro e ci comprende tutti al di là dei confini e delle appartenenze”.

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