SOCIETÀ

Pensioni e disoccupazione: l'Italia non è un paese per giovani

In Grecia quasi un giovane su due non ha il lavoro. Un’analisi dell’economista Andrea Gaiardoni ha messo in luce come la situazione lavorativa ellenica sia la cartina tornasole di uno Stato che fatica ad uscire da una crisi che dura ormai da diversi anni. Certo questo non può essere l’unico parametro per sentenziare la salute di un paese, ma la disoccupazione giovanile è senza dubbio un dato che deve far riflettere anche in Italia.

La situazione greca insegna che un paese in cui i giovani non lavorano, o quantomeno fanno fatica ad entrare nel mercato del lavoro, rischia di vedere il futuro avvolto in una coltre di nebbia. L’Italia ad oggi ha un tasso di disoccupazione dell’11%, contro una media europea del 7%. Per fare un paragone con paesi a noi “vicini”, possiamo notare come la Spagna sia al 17%, dopo aver avuto un picco del 26% nel 2013, la Francia sia al 9% mentre la più virtuosa Germania al 3%.

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Quello che desta più preoccupazione però è l’analisi del tasso di disoccupazione dei giovani sotto i 25 anni. Mentre Grecia e Spagna sono sempre i due Stati membri più problematici, rispettivamente con 43% e 38%, in Italia invece il tasso di disoccupazione è del 31%.

In un paese in cui nascono meno bambini (dal 2008 al 2016 si stimano 100mila nati in meno), e quindi presumibilmente ci sarà meno forza lavoro “autoctona” (senza prendere in considerazione i flussi migratori regolari che ci sono e fortunatamente ci saranno), semplificando di molto possiamo dire che il paese invecchia, i giovani non lavorano e quindi la questione delle spese pensionistiche diventa cruciale per il sistema-paese.

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Un’analisi effettuata dall’Unione Europea ha messo in luce come l’Italia sia uno degli stati in cui c’è la più bassa aspettativa di anni di lavoro. Prendendo in esame un ragazzo di 15 anni infatti, la statistica stima come in Italia questa persona abbia 31 anni e 6 mesi di lavoro nel suo futuro. Analizzando i paesi del nord Europa, cioè quelli con un welfare più virtuoso, notiamo come in Norvegia un ragazzo si aspetta di lavorare per 39 anni e due mesi, mentre in Svezia addirittura per 41 anni e sette mesi. Lavorare meno anni però significa anche pagare meno contributi, sia per le proprie pensioni future che per “pagare” quelle in essere.

 

Il sistema pensionistico italiano quindi, vive in un costante equilibrio. Come dichiarato dal presidente dell’Inps Tito Boeri: “Se si dovessero attuare le misure pensionistiche dichiarate (cioè la famosa “quota 100”, che significa che possono andare in pensione coloro che vantano un’anzianità lavorativa che, sommata all’età anagrafica, risulti 100.  Ad esempio chi ha 65 anni d’età e 35 di contributi ndr) nei prossimi tre anni potrebbe costare un punto di Pil ed in prospettiva un aumento del debito pensionistico di 100 miliardi”.

Il governo attuale però avrebbe anche auspicato un cambiamento uno a uno, cioè una sostituzione di una persona che va in pensione con un nuovo ingresso nel mercato del lavoro di un giovane. Sostituzione però che per ora sembra di difficile attuazione guardando le statistiche degli ultimi anni.

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