SOCIETÀ

Medio Oriente, il piano di pace tra Israele e Palestina non convince

Gerusalemme capitale d’Israele, compresa la zona Ovest e la città vecchia. Quella dello Stato palestinese nella periferia Est (riutilizzando il nome arabo di Gerusalemme, Al-Quds, dove gli Stati Uniti aprirebbero però un’ambasciata). A Israele il riconoscimento degli insediamenti e l’annessione della Valle del Giordano. Alla Palestina il restante 70% della Cisgiordania e territori “di compensazione” alla frontiera con l’Egitto. E la promessa di 50 miliardi di dollari d’investimenti, a patto che arrivi il riconoscimento ufficiale dello Stato d’Israele, che il nuovo Stato di Palestina venga smilitarizzato (dunque privo di qualsiasi esercito) e che rinunci esplicitamente alla via del terrorismo. I palestinesi non avranno alcun diritto al ritorno in Israele, né il controllo dei luoghi santi. Il piano proposto dovrebbe essere attuato in un periodo di quattro anni. Ma se l’Autorità palestinese non dovesse accettarlo, gli Stati Uniti sosterranno Israele nel procedere all’annessione unilaterale dei territori. È questa l’essenza del tanto atteso “Accordo del secolo”, elaborato dal presidente americano Donald Trump (e dai suoi più stretti consiglieri) per gettare le basi di un accordo e per raggiungere finalmente una pace nel conflitto israeliano-palestinese. Ma difficilmente ci riuscirà.

Per la presentazione del piano, racchiuso in un documento di 181 pagine intitolato “Peace to prosperity”, Trump ha invitato alla Casa Bianca sia il premier uscente israeliano, Benjamin Netanyahu, sia il suo rivale, il generale Benny Gantz, leader del partito Blu-Bianco (il prossimo 2 marzo in Israele si terranno di nuovo le elezioni nella speranza, dopo un’interminabile impasse, di trovare una maggioranza in grado di governare il paese). Nessun funzionario palestinese ha partecipato all'evento della Casa Bianca. Erano presenti gli ambasciatori dell’Oman, del Bahrain e degli Emirati Arabi Uniti. Ma pesano le assenze di Giordania, dell’Arabia Saudita e soprattutto dell’Egitto. «E’ giunto il momento per una svolta storica», ha dichiarato Trump. «Oggi Israele sta facendo un passo gigantesco verso la pace, un passo storico e coraggioso senza precedenti. Gli Stati Uniti riconosceranno lo Stato di Palestina ma non chiederanno mai a Israele di rinunciare alla propria sicurezza». E Netanyahu: «Se i palestinesi accettano, siamo pronti alla pace subito».

«Gerusalemme non è in vendita»

La risposta del presidente palestinese Abu Mazen, che ha rifiutato qualsiasi colloquio in merito con il presidente Trump, è stata sprezzante: «Gerusalemme non è in vendita e i nostri diritti non si barattano. L’Accordo del secolo non passerà». Lo stesso Abu Mazen ha convocato una riunione d’emergenza, invitando a partecipare anche alcuni dirigenti di Hamas (nonostante le tensioni e le divisioni), per esaminare i contraccolpi che la presentazione del piano Trump inevitabilmente produrrà. A Gaza e in Cisgiordania sono state indette “Giornate di collera popolare” per manifestare contro l’Accordo del secolo: la più importante dovrebbe tenersi venerdì prossimo, al termine delle preghiere nelle moschee. Uno dei nodi principali è Gerusalemme, città santa anche per i musulmani. «Gerusalemme sarà sempre una terra per i palestinesi. I palestinesi fronteggeranno questo piano e Gerusalemme resterà sempre terra palestinese. Il piano di Trump è aggressivo e provocherà molta ira», ha reagito il portavoce di Hamas.

Un piano che gran parte degli analisti giudicano “sbilanciato” a favore d’Israele. Secondo il New York Times, «il presidente Trump ha svelato il suo tanto atteso piano di pace in Medio Oriente, delineando una proposta che avrebbe dato a Israele la maggior parte di ciò che ha cercato in decenni di conflitto, creando quello che ha chiamato uno stato palestinese con sovranità limitata».  Spiega Il Post:  «Le uniche concessioni che Israele dovrebbe fare ai palestinesi sono la costruzione di un tunnel che colleghi la Striscia di Gaza con la Cisgiordania – oggi è difficilissimo spostarsi fra i due territori – e il ritiro dei propri civili e militari da Gerusalemme est (una zona che comunque la comunità internazionale ha assegnato al popolo palestinese e che invece Israele occupa dal 1967). Inoltre ai palestinesi verrebbe garantito un territorio al confine con l’Egitto come compensazione per le concessioni fatte a Israele». Incalza Vox: «Essenzialmente Trump ignora tutti i desideri dei palestinesi, poiché il piano è stato redatto senza input da parte palestinese. È piuttosto difficile fare un accordo storico quando una parte non fa parte dei negoziati».

Il doppio gioco di Trump e Netanyahu

La storia dei negoziati tra Israele e Palestina è delle più dolorose spine del Medio Oriente. Non è tuttavia da escludere che il vero obiettivo del piano presentato dal presidente americano (in questo caso volutamente e platealmente sbilanciato) sia quello di ricevere un netto “no” palestinese e consentire così a Israele (e Stati Uniti) di procedere unilateralmente all’annessione dei territori occupati, come già aveva annunciato Bibi Netanyahu nella sua ultima campagna elettorale. Netanyahu che proprio ieri ha annunciato il ritiro della richiesta d’immunità (in quanto premier uscente e di fatto ancora in carica) in merito alle inchieste che lo vedono imputato per corruzione e abuso d’ufficio. La Procura ha immediatamente presentato l’atto di incriminazione. «Ci sarà tempo più avanti per mandare in frantumi tutte queste accuse sproporzionate fatte dai miei detrattori», ha scritto Netanyahu in un post su Facebook. «Ma adesso non permetterò ai miei rivali politici di usare questa faccenda per ostacolare l’opportunità storica che sto conducendo», riferendosi, appunto, alla presentazione del “piano di pace”. Come scrive la rivista online The Intercept: «Come hanno notato molti osservatori politici israeliani, il momento dell'annuncio sembrava uno sforzo per aumentare l'offerta del primo ministro di vincere la rielezione a marzo, la sua migliore speranza per evitare la prigione». Trump e Netanyahu, l’uno sotto impeachment, l’altro sotto triplice inchiesta: un abbraccio politico che potrebbe trasformarsi per entrambi in una scialuppa di salvataggio. Come ha detto proprio ieri Trump, usando toni da campagna elettorale: «Non sono stato eletto per fare piccole cose, ma per risolvere grandi problemi».

 

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