SOCIETÀ

Più di 1.000 miliardi di sussidi pubblici ai combustibili fossili nel 2022

La principale richiesta che muove le dimostrazioni non violente dei gruppi ambientalisti nazionali e internazionali, come Ultima Generazione o Just Stop Oil, è la fine dei sussidi pubblici alle compagnie di combustibili fossili.

Secondo un rapporto della IEA (Agenzia Internazionale dell’Energia) pubblicato a febbraio di quest’anno, nel 2022 hanno superato per la prima volta i 1.000 miliardi di dollari a livello mondiale, un valore pari a circa la metà dell’intero PIL italiano. Alla produzione di elettricità generata dalla combustione di idrocarburi sono andati 399 miliardi di dollari, al petrolio 343 miliardi, al gas 346 miliardi, poco meno di 10 al carbone.

Esistono diversi metodi per calcolare i sussidi ai combustibili fossili così come esistono diverse tipologie di sussidi (alla produzione, al consumo, alla ricerca e sviluppo). La IEA si concentra sui sussidi al consumo individuando le differenze tra i prezzi pagati dai consumatori e il costo di mercato dei beni energetici: là dove i primi sono più bassi dei secondi significa che c’è stato un aiuto pubblico.

Tali sussidi assumono forme diverse in diversi Paesi del mondo (come esenzioni fiscali o tetti ai prezzi), ma la loro logica è sostanzialmente quella di tutelare i consumatori da prezzi di mercato volatili e insostenibili, che si sono presentati nel corso di tutto il 2022. “Una serie di interventi di gestione politica ha protetto i consumatori da prezzi gonfiati, generando però l’effetto avverso di mantenere i combustibili fossili artificialmente competitivi rispetto alle alternative a basse emissioni” sottolinea la IEA.

Per fare un confronto, nel 2022 il mondo ha speso circa 1.300 miliardi di dollari in investimenti utili alla transizione verso fonti energetiche a basse emissioni. Tuttavia per rispettare gli impegni di decarbonizzazione compatibili con un contenimento del riscaldamento globale al di sotto dei 2°C (e possibilmente al di sotto di 1,5 °C), si dovrebbe arrivare a spenderne il triplo entro il 2030: circa 5.000 miliardi di dollari, secondo IRENA (International Renewable Energy Agency). Entro il 2050 questa sarà all’incirca la stessa cirfa, 5.300 miliardi di dollari, che la sola Europa dovrà spendere ogni anno in solare, eolico e idrogeno, secondo un’analisi di BloombergNEF.

Il 2022 è stato anche l'anno dei profitti record delle grandi aziende dell'Oil&Gas: le 5 più grandi al mondo (Exxon, Chevron, Shell, BP e TotalEnergies) hanno totalizzato quasi 200 miliardi di dollari. L'italiana Eni ha riportato più di 13 miliardi di euro (oltre 14 miliardi di dollari), ben 9 miliardi di euro in più rispetto al 2021.

Ma torniamo ai sussidi ai combustibili fossili, il cui aumento nel 2022 è stato senza precedenti e causato dai prezzi altissimi che si sono registrati nei mercati energetici dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. I sussidi per il consumo di gas naturale ed elettricità sono più che raddoppiati rispetto al 2021, mentre quelli per il petrolio sono aumentati dell’85%.

Oltre ai 1.000 e più miliardi in sussidi di vario tipo, la IEA tiene in una categoria separata altri 500 miliardi di dollari spesi dai governi, soprattutto delle economie avanzate, per aiutare i consumatori a sostenere i costi delle bollette. Questo perché ad esempio “in Europa, l’analisi mostra che i prezzi medi per il consumatore finale erano in alcuni casi vicini ai valori di riferimento di mercato”. Solo in Europa sono stati spesi 350 miliardi di dollari a questo fine.

“Spendere per abbassare le bollette energetiche rappresenta un onere fiscale significativo per i governi e, come spesso accade con queste misure, tali interventi molte volte non sono stati ben indirizzati” rimarca la IEA. “Rischiano inoltre di diminuire l’incentivo a un uso efficiente dell’energia o a passare a fonti più pulite”.

A novembre 2021 alla fine della COP26 è stato firmato il Patto Climatico di Glasgow, che tra le altre cose conteneva l’impegno dei Paesi dell’Onu a dismettere i sussidi inefficienti alle fonti fossili. Nel corso dell’ultimo anno sono state intraprese molte misure per impedire che i prezzi alti dell’energia impattassero sui consumatori. “Alcune di queste misure possono essere difese come necessità politiche o sociali, date le difficoltà che la piena esposizione ai prezzi di mercato avrebbe potuto generare. Ma la scala di questi interventi è un segnale preoccupante per la transizione energetica” avverte la IEA. “Mentre molte altre misure prese dai governi sono servite ad accelerare la transizione, questi interventi hanno lavorato nella direzione opposta continuando a favorire i combustibili fossili”.

In sintesi, di fronte alla crisi energetica i governi hanno dato priorità alla difesa dei consumatori mettendo in secondo piano gli impegni a ridurre i sussidi fossili. “Questo ha tolto risorse finanziarie pubbliche che sarebbero potute essere spese in altri settori e nella transizione verso energie pulite”. Secondo la IEA da questa fase storica si possono trarre alcune lezioni importanti.

La prima è che giocare con i soli prezzi dei combustibili fossili non è la via migliore per guidare la transizione energetica: “prezzi alti dei combustibili fossili non sono buoni sostituti delle politiche climatiche”. Non solo, possono addirittura far aumentare il ricorso a fonti più inquinanti, come è accaduto nel 2022 con i prezzi del gas alle stelle che hanno spinto a un ritorno, seppur temporaneo, al carbone.

La seconda è che prezzi alti dei combustibili fossili colpiscono più duramente i poveri. I sussidi infatti molto raramente sono indirizzati a proteggere i gruppi vulnerabili, mentre tendono a recar beneficio ai segmenti più avvantaggiati della popolazione. “Questo di nuovo è stato dimostrato nel 2022, dato che la priorità politica di rispondere velocemente spesso ha sostituito il compito più gravoso di indirizzare il supporto là dove ce n’era più bisogno. Un indirizzamento efficiente necessita di investimenti in sistemi di raccolta dati migliori e in meccanismi efficaci di trasferimento dei fondi”.

La terza lezione da ricordare è che è meglio spendere in cambiamenti strutturali piuttosto che in sollievi emergenziali. “Le risorse migliori sono quelle spese nella promozione di un cambiamento che fornisca una protezione duratura nei confronti di prezzi volatili dei combustibili. Questo significa ancorarsi a prezzi di mercato con un ampio pacchetto di politiche e misure che consentano scelte più pulite per le abitazioni e le industrie. Significa rendere prontamente accessibili soluzioni ad alta efficienza energetica e a basse emissioni e aiutare i consumatori più poveri a gestire i costi iniziali di questi investimenti”.

In altri termini, la strada indicata dal Patto Climatico di Glasgow è quella giusta: ridurre i sussidi ai combustibili fossili e investire nella transizione energetica, quindi in fonti rinnovabili come eolico e solare i cui prezzi sono i più vantaggiosi sul mercato. I governi hanno però scelto nel 2022 di percorrerne un’altra.

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