Il polpo californiano (Octopus bimaculoides). Foto: Robin Gwen Agarwal/Flickr
È ormai assodato che l’uomo non sia l’unico animale sul pianeta dotato di ‘intelligenza superiore’: sono molti, infatti, i viventi che presentano eccezionali capacità intellettive. La maggior parte dei casi noti di intelligenza, tuttavia, si trova all’interno della classe dei mammiferi: si tratta dunque di animali che hanno una parentela piuttosto stretta con la nostra specie.
Fa parte a sé, invece, il polpo: in questo variegato genere (Octopus) di molluschi cefalopodi, infatti, troviamo gli invertebrati con il sistema nervoso più esteso e complesso, che presentano una tale intelligenza, varietà e plasticità di comportamenti da renderli, per alcuni aspetti, più simili ai mammiferi che ad altri organismi a loro filogeneticamente più vicini.
L’indagine delle ragioni evolutive alla base di questa inaspettata somiglianza funzionale occupa numerosi ricercatori. Recentemente, un gruppo di ricerca internazionale coordinato dalla SISSA di Trieste, dalla Stazione Zoologica di Napoli e dall’Istituto Italiano di Tecnologia ha presentato i risultati di uno studio, pubblicato sulla rivista BMC Biology, che sembra evidenziare l’esistenza di una convergenza evolutiva tra il cervello umano e quello del polpo.
The octopus’ brain and the human brain share the same 'jumping genes' 🐙
— SISSA (@Sissaschool) June 24, 2022
A new study in @BMCBiology has identified an important molecular analogy that could explain the remarkable intelligence of these invertebrates.
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L’evoluzione agisce in molti modi sui genomi degli organismi viventi, i quali non sono statici e immutabili, come si credeva un tempo, ma altamente variabili, e soggetti a continui cambiamenti. Mutazioni e variazioni si verificano a livello individuale attraverso diversi meccanismi. Uno di questi è la trasposizione, fenomeno molecolare che consiste nello spostamento di particolari elementi mobili – definiti, appunto, trasponibili – in regioni del genoma diverse dalla loro collocazione originaria. La trasposizione, dunque, modifica il DNA: questo processo può rendere uno specifico gene inattivo, variarne l’espressione, alterarne le funzioni.
Gli elementi mobili coinvolti nella trasposizione sono estremamente diffusi nel mondo vivente, e sono presenti sia in organismi procarioti che eucarioti. Considerata la loro importanza nel generare innovazione all’interno del genoma, essi sono da tempo oggetto di numerose ricerche: in particolare, gli studiosi cercano di comprendere a quali funzioni siano associate le regioni interessate da eventi di trasposizione. Sembra, infatti, che trasposoni e retrotrasposoni, frammenti di DNA in grado di ‘saltare’ da una regione genica all’altra, contribuiscano ad aumentare la variabilità genetica sia nelle linee somatiche che nella linea germinale, e che possano generare lunghe catene di RNA non codificante (long non-coding RNA, lncRNA).
Tali fenomeni sono stati associati «all’evoluzione, alle funzionalità e alla complessità del sistema nervoso» – ricordano gli autori della ricerca – tanto che l’inserimento in linee somatiche di retrotrasposoni (elementi trasponibili che vengono prima tradotti in RNA e poi nuovamente codificati in DNA nella regione di destinazione) del tipo LINE (long interspersed nuclear elements) sembra avere un legame con lo sviluppo della cognizione negli esseri umani, il cui genoma è particolarmente ricco di elementi trasponibili e, in generale, di regioni non codificanti.
A suggerire un parallelismo tra il cervello umano e quello del polpo è proprio la presenza di retrotrasposoni LINE in alcune aree chiave del sistema nervoso di questi molluschi. I ricercatori hanno eseguito un sequenziamento completo del trascrittoma (l’insieme dell’espressione dei geni in sequenze di RNA) del sistema nervoso del polpo comune (Octopus vulgaris) e hanno analizzato il trascrittoma (già sequenziato) del polpo californiano (Octopus bimaculoides), mostrando come, in entrambe queste specie, il trascrittoma neurale sia caratterizzato dalla presenza di elementi LINE espressi soprattutto nelle cellule del lobo verticale, un’area del cervello, corrispondente all’ippocampo dell’encefalo umano, che è associata a diverse forme di plasticità, incluso l’apprendimento; inoltre, l’analisi genetica ha evidenziato la presenza di migliaia di elementi trasponibili in aree codificanti e non codificanti del trascrittoma neurale in entrambe le specie considerate.
Tali dati rappresentano una sorprendente analogia con il cervello umano: come affermano gli autori nel discutere i risultati, «dall’analisi delle aree codificanti del genoma di O. bimaculoides emergono parallelismi interessanti con l’espressione genica mediante trascrizione osservata nel genoma dei mammiferi. I risultati relativi a O. vulgaris supportano ed ampliano questa prospettiva, indicando che l'organizzazione molecolare del trascrittoma neurale del polpo ricorda quello dei mammiferi anche per via della trascrizione di migliaia di lncRNA, per il loro contenuto di elementi trasponibili e per la trascrizione di retrotrasposoni». Sembra, dunque, che una buona parte del trascrittoma del polpo (più del 10%) sia composto da lncRNA, e che più del 35% di parti del DNA trascritte contengano almeno un frammento derivato da un elemento trasponibile.
Pur non essendo codificanti, i retrotrasposoni LINE – presenti nel cervello umano e concentrati soprattutto nell’ippocampo – sono collegati, secondo molti studiosi, a facoltà cognitive come apprendimento e memoria. Il fatto che siano stati rintracciati gli stessi elementi (per di più molto conservati, cioè ripetutamente mantenuti dalla selezione naturale) anche nel cervello del polpo, e per di più proprio in una zona che sembra detenere funzioni paragonabili a quelle dell’ippocampo umano, sembra confermare il ruolo da essi svolto nella cognizione.
Secondo gli autori, questa somiglianza anatomica non sarebbe frutto del caso, quanto piuttosto un perfetto esempio di evoluzione convergente: di fronte a pressioni evolutive simili, i meccanismi della selezione naturale ‘prediligono’ soluzioni simili anche in specie filogeneticamente molto distanti tra loro. La scoperta apre, dunque, alla promettente possibilità di approfondire le nostre conoscenze circa l’evoluzione dell’intelligenza (nelle sue molteplici forme) nel mondo della vita.