CULTURA

La preistoria è donna. Alla riscoperta della metà "invisibile" del genere umano

La vita, nella preistoria, era una faccenda da uomini. Oppure no?

Sono ancora molti gli stereotipi di genere che contraddistinguono il mondo preistorico nell’immaginario collettivo. D’altronde, se ci riflettiamo, quanto spesso abbiamo sentito (e magari persino utilizzato) l’espressione “uomini delle caverne” senza chiederci cosa facessero allora le donne, mentre i maschi preistorici cacciavano, combattevano, lavoravano la pietra e dipingevano le pareti delle grotte? La maggior parte dei cliché più radicati riguardo alla vita delle donne nella preistoria sono nati in seno all’archeologia ottocentesca e di inizio Novecento, senza mai essere messi in discussione, né tantomeno approfonditi con metodo scientifico, fino alla metà del secolo scorso.

Come scrive la storica francese Marylène Patou-Mathis in La preistoria è donna (pubblicato in italiano da Giunti Editore con la traduzione di Bérénice Capatti) “gli studi condotti nell’ambito dell’antropologia, della preistoria e dell’archeologia possono definirsi androcentrici, perché i rapporti sociali che implicano le donne sono considerati di rado”. Spesso, infatti, tendiamo a dare per scontato che i più antichi cacciatori, inventori, artigiani e artisti della storia umana fossero uomini. Eppure, i dati archeologici non bastano a sostenere questa tesi, poiché, nella maggior parte dei casi, è impossibile attribuire con sicurezza un’interpretazione di genere ai gesti, ai comportamenti o alle abitudini dei nostri più antichi antenati.

Nonostante questo, per lungo tempo è stato dato per scontato che il contributo delle donne all’evoluzione umana dal punto di vista sia tecnico che culturale sia stato minimo e che fosse l’uomo il “catalizzatore essenziale dell’ominazione, o perfino dell’umanizzazione”. Le donne preistoriche sono state inquadrate, fin troppo spesso, solo in alcuni ruoli prestabiliti e immaginate indifese e spaventate nelle caverne a occuparsi dei figli aspettando che gli uomini tornassero dalla caccia. Appiattire le donne preistoriche sulla loro funzione meramente riproduttiva, nonché sempre succubi alle voglie sessuali incontrollate e violente degli uomini è, secondo Patou-Mathis, la trasposizione in chiave preistorica della famiglia occidentale ottocentesca: nucleare, patriarcale e monogama.

Escludendo la metà del genere umano, abbiamo avuto una visione falsata dei comportamenti nelle società preistoriche per oltre un secolo e mezzo Marylène Patou-Mathis, “La preistoria è donna”. Giunti editore 2021

Le discipline archeologiche, antropologiche ed evoluzioniste nacquero nel corso dell’Ottocento e, figlie del loro tempo, furono influenzate fin da subito dall’ideologia di allora, basata sull’esistenza di una naturale gerarchia tra esseri umani in base alla razza e al genere. In quell’epoca, inoltre, il modello patriarcale della divisione dei ruoli attribuiva a ognuno dei due sessi determinati compiti, comportamenti e capacità mentali e ha rappresentato, per le scienze archeologiche e antropologiche, una lente deformata attraverso la quale guardare al passato.

L’ideologia sessista ha continuato a orientare lo studio della preistoria almeno fino alla metà nel Novecento, quando le prime archeologhe e antropologhe iniziarono a farsi largo in un campo in cui fino ad allora avevano lavorato soltanto gli uomini. Furono studiose come Joan Wallach Scott, con il libro Gender and the politics of history del 1988 e Danielle Léveillé con il saggio del 1989 L'androcentrisme en anthropologie: un exemple, les femmes inuit che, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, misero per la prima volta in discussione l’androcentrismo su cui si basava la ricerca, contestando la condizione subordinata della donna e l’idea del predominio maschile sulle invenzioni, l’arte e il progresso culturale e tecnologico della società preistorica.

Le donne preistoriche sono diventate oggetto di studio a pieno titolo e cominciano infine a uscire dall’invisibilità nella quale erano tenute. Restituire loro il ruolo esatto che hanno avuto nell’evoluzione umana è il nostro obiettivo Marylène Patou-Mathis, “La preistoria è donna”. Giunti editore 2021

In La preistoria è donna, Patou-Mathis ripercorre questa storia passo dopo passo e racconta come il progresso tecnologico e il cambiamento culturale promosso dall’archeologia di genere abbiano dato una svolta allo studio dell’umanità e abbiano permesso di ricostruire con una maggiore oggettività il ruolo economico e culturale delle donne nelle comunità preistoriche. Oggi si ha la possibilità di indagare in modo più approfondito come fossero divisi i compiti tra uomini e donne nelle società antiche, a chi spettasse dividere il cibo, chi si occupasse di lavorare le materie prime e quali aspetti caratterizzassero il ruolo socioeconomico delle donne nella società e la loro condizione man mano che i secoli passavano e l’organizzazione sociale mutava.

I dati archeologici dimostrano infatti l’esistenza di donne artiste, artigiane, cacciatrici, instancabili camminatrici e “interlocutrici di altre tradizioni culturali” nei periodi in cui erano loro a lasciare la loro comunità di appartenenza per unirsi ad altri gruppi a scopo riproduttivo. E poi, si può davvero escludere l’idea che esistessero società matriarcali o matrilineari?

Sono molti gli stereotipi di genere che Patou-Mathis affronta tra le pagine del libro. Ad esempio, oggi sappiamo che la cultura dello stupro sistematico associata al mondo preistorico, espressione con cui si intende la violenza sessuale come unica modalità di accoppiamento, non è supportata dai dati archeologici. Piuttosto, come osserva l’autrice del libro, aver scartato a priori l’idea che già molti millenni fa anche le donne scegliessero i loro partner sessuali è stato un ottimo pretesto per giustificare secoli di tolleranza verso la violenza sessuale contro le donne.

Un altro luogo comune associato al mondo preistorico che viene combattuto nel libro riguarda l’assenza di donne artiste. Anche questo cliché è legato a un’ideologia ottocentesca secondo la quale le donne fossero, per loro natura, prive di potenza creativa e incapaci di espressività ed espressione simbolica. La verità è che la maggior parte delle opere parietali e mobiliari ritrovate oggi risalgono a epoche così remote che è impossibile accertare di che sesso fossero gli autori o le autrici. Tuttavia, alcuni studi recenti hanno dimostrato che ben otto grotte tra Francia e Spagna sono state decorate circa 25.000 anni fa da alcune donne con la tecnica delle mani negative (che consisteva nel dipingere con sostanze pigmentate e usare le mani come stencil, lasciando quindi un’impronta “in negativo” all’interno dell’area colorata). Lo stesso vale per la grotta di Cosquer alle Bocche del Rodano, dove c’è una maggiore quantità di impronte femminili rispetto a quelle maschili e per la grotta di Gua Masri, nel Borneo, a cui hanno partecipato sia uomini che donne. Non ci sono motivi, quindi, per ritenere che l’arte preistorica fosse appannaggio solo degli uomini e che alcune tra le pitture e sculture più famose del paleolitico non possano essere state realizzate da donne.

“Decostruire gli argomenti sessisti, più ideologici che scientifici, è il compito che si è data in particolare l’archeologia di genere, che è solo ai suoi primi vagiti. La breccia è aperta e non si richiuderà prima che la donna abbia trovato il giusto posto nella storia. La scienza preistorica gioca un ruolo fondamentale in questa lotta, perché sonda gli abissi del tempo, giungendo laddove il patriarcato dovrebbe trovare la propria giustificazione originaria”, riflette Patou-Mathis tra le pagine conclusive dell’opera. Il suo scopo, ovvero quello di dimostrare che il patriarcato non riflette un ordine naturale, bensì un’ideologia colma di pregiudizi che mira a imporre il controllo maschile sulle vite e i corpi delle donne, è stato pienamente raggiunto. Per questo motivo, continua l’autrice, è fondamentale che i futuri sviluppi della ricerca storica, filosofica, antropologica e sociologica procedano lungo questa strada per favorire un cambiamento culturale a beneficio dell’umanità intera.

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