CULTURA

La prima battaglia di Imera fu vinta anche grazie ai mercenari

Nella necropoli del sito archeologico di Imera, nei pressi di Termini Imerese, in provincia di Palermo, riposano i resti dei soldati che perirono durante le due battaglie di Imera, avvenute nel V secolo tra i greci delle colonie siciliane e i cartaginesi. La polis di Imera, fondata nel VII secolo, era la colonia greca più a ovest della Sicilia settentrionale, a poca distanza dagli insediamenti dei fenici e degli indigeni siciliani. La prima battaglia di Imera fu combattuta nel 480 a.C. e si concluse con la vittoria dell’esercito greco, condotto da Gelone di Siracusa. Circa 70 anni dopo, nel 409 a.C., la città-stato ospitò anche un secondo conflitto in cui però, stavolta, ebbero la meglio i cartaginesi, che distrussero la colonia.

Un gruppo internazionale di bioarcheologi, genetisti e antropologi sono riusciti ad analizzare il DNA tratto dai resti di 54 persone seppellite nella necropoli di Imera. Da questo lavoro di ricerca, raccontato in uno studio pubblicato su PNAS, è emerso che nella prima di queste battaglie, a fianco dei greci, combatterono anche alcuni mercenari che arrivarono da molto lontano, addirittura dal Nord Europa e dal Caucaso.

Si tratta di un risultato sorprendente perché Erodoto e Diodoro Siculo, i cui resoconti dettagliati delle battaglie di Imera costituiscono le principali fonti scritte a riguardo, non menzionano affatto la presenza di mercenari. I due storici raccontano, infatti, solo della partecipazione di alcuni alleati che accorsero in aiuto degli imeresi da altre colonie greche nell’area di Siracusa e Agrigento. La figura del mercenario, d’altronde, non era vista di buon occhio nel mondo greco, dove questi guerrieri stipendiati godevano di un rango sociale inferiore rispetto agli opliti, ovvero i privati cittadini che scendevano in battaglia autofinanziati per difendere la loro polis. Se i primi combattevano per denaro, infatti, i secondi si battevano per l’amore per la libertà e per l’orgoglio greco.

David Caramelli, professore di antropologia molecolare al dipartimento di biologia dell’università di Firenze è tra gli studiosi che hanno coordinato questo lavoro di ricerca. A lui abbiamo chiesto di raccontarci i dettagli dello studio e l’importanza dei risultati raggiunti.

“Durante gli scavi nel sito archeologico di Imera furono rinvenute delle fosse comuni che contenevano numerosi reperti scheletrici attribuibili a guerrieri che avevano preso parte alle battaglie che si svolsero in questo luogo tra i greci e i fenici”, racconta il professore. “Le modalità in cui questi uomini erano stati seppelliti lasciava presuppore che si trattasse di mercenari o, comunque, di soldati stranieri. Infatti, essi erano stati sepolti in modo “scomposto”, come se fossero stati gettati all’interno della fossa senza troppo riguardo. Eppure, le antiche fonti storiche considerano la vittoria della prima battaglia di Imera come una dimostrazione della forza, dell’orgoglio e dell’unità delle popolazioni greche, ideali talmente profondi da sconfiggere persino un esercito forte come quello cartaginese. Non viene insomma menzionata la presenza di guerrieri non greci”.

Dei 54 genomi analizzati dagli autori, 16 appartengono a uomini che parteciparono alla prima battaglia (quella del 480 a.C.), altri 5 a soldati che parteciparono alla seconda (che si svolse nel 409 a.C.), 12 a uomini e donne che facevano parte della popolazione civile di Imera, mentre gli altri 21 dai sicani, una popolazione indigena della Sicilia che abitava l’isola da prima dell’arrivo dei greci e che viveva in alcuni insediamenti nelle vicinanze. Sono stati inoltre considerati anche i genomi di 96 italiani, greci e cretesi contemporanei.

I risultati delle analisi genomiche suggeriscono che i soldati che parteciparono alla prima battaglia di Imera avessero origini diverse rispetto agli individui della popolazione civile, che erano quasi tutti greci. “La maggior parte dei resti ritrovati nelle fosse comuni risalenti al 480 a.C., non apparteneva a soldati greci, bensì a persone provenienti dalle aree dell’Europa centrale e settentrionale, delle steppe e dell’Armenia”, precisa Caramelli. “Al contrario, tutti i soldati seppelliti nelle fosse comuni risalenti al 409 a.C. provenivano dalle colonie greche”. Questo dato suggerisce che alla seconda battaglia di Imera, quella che fu persa, parteciparono molti meno mercenari rispetto alla prima (questa ipotesi, però, si basa sull’analisi del genoma di soli cinque individui, perciò bisognerà raccogliere e analizzare altri genomi per ottenere un campione statisticamente significativo).

I soldati rinvenuti nelle fosse comuni sono stati sottoposti anche ad alcune analisi in grado di misurare la concentrazione degli isotopi di stronzio e ossigeno nei resti dentali e ossei e di identificare il tipo di ambiente in cui viveva un individuo nel periodo in cui si era formato il dente o l’osso in questione. I risultati di questi esami, incrociati con quelli dei test genetici, hanno confermato che la maggior parte degli individui sepolti alla fine della prima battaglia di Imera fossero cresciuti in luoghi dove il clima era molto più simile a quello dell’Europa nordorientale che a quello caratteristico dell’area dell’Egeo.

Gli autori dello studio hanno inoltre considerato le modalità di sepoltura dei corpi, che riflettono tradizioni funerarie diverse riservate agli individui locali e a quelli stranieri. Le analisi genetiche e isotopiche hanno permesso infatti di appurare che i soldati stranieri avevano maggiori probabilità di finire in fosse comuni più grandi e meno prestigiose, invece che in quelle più piccole destinate ai greci e al cui interno i cadaveri non sembrano essere stati trascinati frettolosamente, bensì trasportati con un certo riguardo. L’ipotesi degli autori è che queste seconde fosse, più piccole e piuttosto lontane da quelle dove si trova la maggior parte degli ipotetici mercenari, fossero destinate a persone più anziane che godevano di posizioni sociali più prestigiose. In alcune di queste fosse, inoltre, è stata scoperta la presenza di corredi funerari. Anche i mercenari sono stati distribuiti nelle diverse fosse in base alla loro ascendenza genetica; i soldati che provenivano dallo stesso luogo venivano sepolti insieme. Insomma, pare che i criteri utilizzati dai sopravvissuti per scegliere i trattamenti funerari da destinare ai morti tenessero conto dell’identità, della provenienza, e del rango sociale di questi ultimi.

Lo studio è anche un’ulteriore prova del fatto che i conflitti armati, nell’antichità, favorivano la mobilità umana su diverse scale, da quella locale a quella continentale, e rappresentavano un catalizzatore del contatto culturale tra popoli diversi. “I risultati di questo studio, il primo effettuato sul materiale genetico rinvenuto in una fossa comune così antica, confermano che già nel mondo classico esistevano persone che viaggiavano da un lato all’altro del Mediterraneo per partecipare alle guerre, oltre che per commerciare e colonizzare nuovi territori”, continua Caramelli. “Queste antichissime dinamiche demografiche favorivano lo scambio non solo di tradizioni culturali, ma anche di geni tra popolazioni diverse”.

Insomma, l’incrocio del dato archeologico con quello storico e genetico ha permesso di trarre nuove informazioni non solo sulla composizione degli eserciti greci che parteciparono alle battaglie di Imera, ma anche sulle tradizioni funerarie e sulle occasioni di contatto tra popoli diversi nel Mediterraneo.

“L’integrazione del dato genetico e molecolare con quello archeologico è senz’altro fondamentale negli studi sulle popolazioni antiche”, commenta il professor Caramelli. “Questa complementarità tra studi storici e scientifici è fondamentale, innanzitutto, perché non sempre le fonti scritte sono del tutto affidabili. Esse talvolta riportano informazioni lacunose o inesatte che possono essere completate o contraddette dalle evidenze scientifiche. Ma non solo. Lo studio storico e archeologico è imprescindibile, a sua volta, per contestualizzare e comprendere i dati scientifici tratti dalle analisi genetiche e biochimiche”.

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