SOCIETÀ

Quando Gran Bretagna e Italia erano i malati d’Europa

A prima vista, pochi Paesi sembrano più diversi di Gran Bretagna e l’Italia: una la culla della democrazia e un modello per la maggior parte degli altri sistemi parlamentari; l’altra una nazione giovane e l’essenza dell’instabilità politica. Tuttavia, nonostante le differenze, dalla metà degli anni Settanta Londra e Roma hanno condiviso un destino comune di lotta contro la crisi che le ha portate a un nuovo Rinascimento all’inizio degli anni Ottanta. Nel più ampio contesto della crisi europea e internazionale della “golden age” della crescita economica negli anni Settanta, i malesseri italiani e britannici sembravano più acuti di quelli di altri Paesi occidentali: il Regno Unito e l’Italia erano percepiti come i due “grandi malati” d’Europa.

Il “caso italiano” preoccupava tutte le maggiori potenze occidentali: a partire dalla metà degli anni Settanta, l’Italia era generalmente percepita come il “grande malato” d’Europa e la sua stessa solidità democratica sembrava essere messa in discussione, mentre apparentemente minacciava la stabilità del continente e l’equilibrio di potere tra Est e Ovest. Eppure, c’era un altro “malato” nel Vecchio Continente: in quegli anni, la Gran Bretagna doveva affrontare una grave crisi economica e monetaria che indeboliva la sua posizione internazionale e la costringeva a svolgere il doppio ruolo di “dottore” della malattia italiana pur essendo al contempo una “paziente” affetta da una patologia molto simile, caratterizzata da una profonda crisi economica e da una sorprendente – quanto meno per Londra – instabilità politica.

Nel 1979 il prestito del FMI mise un sigillo ufficiale sul declino economico del Regno Unito

Tra il 1976 e il 1983, è possibile identificare tre punti di svolta per le scene politiche ed economiche britannica e italiana. Il primo spartiacque è il 1976. Per entrambi i Paesi, quell’anno simboleggiò la debolezza del loro sistema economico e l’incapacità dei governi di Londra e Roma di affrontare gli effetti di una crisi che aveva colpito l’Occidente nel suo insieme. In Italia, le tensioni economiche e politiche si mescolarono: il 1976 vide le elezioni politiche più controverse in Italia dalla fondazione della Repubblica, quando il “sorpasso” comunista sembrò una possibilità concreta e temuta. Fu anche il momento in cui le potenze occidentali cercarono di elaborare una strategia comune per contrastare la “minaccia” comunista italiana, risolvere l’instabilità politica endemica del paese e gettare le basi per un’adeguata ripresa economica. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, il 1976 segnò la fine di un’illusione. Il prestito del Fondo Monetario Internazionale (il più grande mai richiesto fino ad allora) mise un sigillo ufficiale al declino economico del Paese, che era già emerso negli anni precedenti. Nel frattempo, la scena politica interna britannica, segnata da forti divisioni all’interno del partito laburista al governo, privò il Paese dell’unità necessaria per far fronte all’emergenza finanziaria e sociale. Nel dibattito internazionale, cominciò a paventarsi l’idea della fine della democrazia nel Regno Unito.

Il secondo momento decisivo è il 1979, sebbene con risultati diversi per l’Italia e il Regno Unito. L’“inverno del malcontento” – un’eccezionale convergenza di difficili situazioni meteorologiche e scioperi a tappeto nei servizi pubblici cruciali contro le politiche sul reddito del governo laburista – riportò alla ribalta la questione del declino britannico e sembrò mostrare che il Paese era ormai ingovernabile. Le immagini dei marciapiedi strapieni di immondizia e delle bare accatastate nei cimiteri in attesa di sepoltura sono ancora oggi indelebilmente impresse nella memoria collettiva del Regno Unito. In questo scenario, le elezioni politiche del maggio 1979 videro la vittoria del Partito conservatore sotto la guida di Margaret Thatcher; il nuovo corso del thatcherismo avrebbe segnato la storia britannica per i successivi diciotto anni, sebbene i primi anni del governo Thatcher non si dimostrarono efficaci e il Regno Unito lottò per ricostruire una forte immagine internazionale. Al contrario, l’Italia optò per il pieno riallineamento con le maggiori potenze occidentali. L’ingresso immediato nello Sistema Monetario Europeo fu un segnale fondamentale che la fedeltà all’ideale integrazionista non era mai stata in discussione, indipendentemente dalla precaria situazione economica del Paese e dalle divisioni interne che poteva creare; d’altra parte, accettando il dispiegamento degli “euromissili”, l’Italia confermò la sua lealtà verso l’Alleanza Atlantica. Inoltre, le elezioni del 1979 segnarono la fine della solidarietà nazionale e aprirono la strada alla nuova formula politica del “pentapartito”.

Infine, l’ultimo punto di svolta – e la conclusione ideale di questa analisi – è il 1983. In Gran Bretagna, la vittoria nella guerra delle Falkland dell’anno precedente diede una nuova voce alle ambizioni britanniche e spazzò via le incertezze sul futuro politico di Thatcher. Nel 1982 i sondaggi indicavano come la “iron lady” fosse il Primo Ministro più impopolare di sempre, ma “l’effetto Falklands” le diede una nuova immagine. Nelle elezioni generali del giugno 1983, il Partito conservatore ebbe la sua vittoria più decisiva, un successo che sarebbe stato inconcepibile solo 14 mesi prima. Questo trionfo elettorale diede al governo Tory un nuovo slancio per perseguire le caratteristiche più distintive della politica della Thatcher. Per quanto riguarda l’Italia, le elezioni del 1983 portarono per la prima volta dalla fondazione della Repubblica un socialista a Palazzo Chigi. Bettino Craxi avrebbe segnato l’intero decennio con la sua ferma leadership, le aspirazioni per le riforme interne e l’enfasi sul ruolo internazionale dell’Italia.

Nel 1983 la svolta: la guerra delle Falkland e l'arrivo di Bettino Craxi a Palazzo Chigi

Nel 1983, pertanto, i due “grandi malati” d’Europa sembravano essere sulla buona strada per il recupero. Sebbene la “guarigione” dovesse ancora essere completata, le prospettive erano incoraggianti. In Gran Bretagna, con una maggioranza parlamentare sicura, i Tories continuarono un programma di riforme radicali, tanto che il periodo 1983-1984 può essere considerato l’apice del potere di Thatcher, tanto in politica interna quanto nelle relazioni internazionali. Nel frattempo l’immagine di una nuova Italia, attiva e dinamica, iniziò a diffondersi dopo l’arrivo al potere di Craxi nel 1983: il Paese sembrava aver superato i bui anni Settanta e si stava rapidamente modernizzando, adottando una politica estera più efficace in Europa, nel Mediterraneo e verso gli Stati Uniti. Nel 1987, Craxi potè affermare che l’Italia aveva superato la Gran Bretagna in termini di PIL nominale: un “sorpasso” meno temuto di quello comunista nel 1976, ma con un impatto più profondo sull’orgoglio nazionale britannico.

Ovviamente, non tutto “nel giardino italiano [era] piacevole”, per citare le parole dell’ambasciatore britannico Alan Campbell. Le inefficienze del sistema politico e dell’amministrazione pubblica continuavano, l’arretratezza del Mezzogiorno persisteva, mentre il diffuso sistema di corruzione avrebbe portato allo scandalo di Tangentopoli e alla fine della cosiddetta “Prima Repubblica” all’inizio degli anni Novanta. Per quanto riguarda il Regno Unito, mentre la “rivoluzione Thatcher” mostrava i primi segni di cedimento (il “Black Monday” nell’ottobre 1987 vide la più grande caduta dei prezzi del mercato azionario mai registrata), la leadership del Primo Ministro cominciava a vacillare. Ma nonostante gli inconvenienti, la Gran Bretagna e l’Italia non erano più i due “grandi malati” d’Europa e il 1983 sembrava l’inizio di un nuovo Rinascimento per entrambi - o, per lo meno, l’immagine di una nuova rinascita.

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