Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo nell’accumulare in una persona sola l’infinite richezze de’ suoi tesori e tutte quelle grazie e’ più rari doni che in lungo spazio di tempo suol compartire fra molti individui, chiaramente poté vedersi nel non meno eccellente che grazioso Raffael Sanzio da Urbino …
… coloro che sono possessori di tante rare doti, quante si videro in Raffaello da Urbino, sian non uomini semplicemente, ma, se è lecito dire, dèi mortali.
Così scrive nel 1568 Giorgio Vasari, considerato il primo critico e storico dell’arte italiano, in Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri. Raffaello Sanzio da Urbino era morto giovane, ad appena 37 anni, poco meno di mezzo secolo prima: nel 1520, il 6 aprile per la precisione. Or sono, dunque, cinquecento anni esatti
Ma la sua fama era ancora intatta. Giorgio Vasari è nato ad Arezzo, ma poi ha vissuto a Firenze, dove ha fondato con la benedizione e i finanziamenti di Cosimo de’ Medici, la prima accademia artistica del mondo: l’Accademia delle Arti del Disegno, il cui logo è stato disegnato da Michelangelo Buonarroti e che sarà frequentata, tra gli altri, da Galileo Galilei.
Questa connessione, che di primo acchito, potrebbe sembrare un po’ tirata per i capelli tra Raffaello, Michelangelo e Galileo ha invece una ragion d’essere. E neppure troppo labile.
Perché il “divino”, come veniva definito già ai suoi tempi, Raffaello ha rapporti culturali molto stretti con Michelangelo (e Leonardo, morto un anno prima di lui, nel 1519) e anche con la scienza, di cui Galileo è considerata una stella di prima grandezza. E questi rapporti culturali si intrecciano in una città relativamente piccola ma straordinaria, Firenze.
Raffaello Sanzio, figlio del pittore Giovanni Santi, nasce a Urbino, nel 1483. La sua formazione avviene dapprima in casa, col padre, ma poi si sviluppa alla scuola del Perugino, che è uno degli allievi del Verrocchio. Ovvero di quel maestro di cui Leonardo è allievo diretto, così come il Ghirlandaio, che è il maestro di Michelangelo. Ora si dà il caso che i tre – Raffaello, Michelangelo e Leonardo – sono considerati da Giorgio Vasari i protagonisti assoluti della “terza maniera”, ovvero di quella fase in cui, grazie a loro, la pittura raggiunge la perfezione assoluta. Che non potrà mai più essere né raggiunta né tantomeno superata.
Non è, dunque, una mera coincidenza se i tre grandissimi siano tutti rami diretti o secondari dell’albero del Verrocchio, il più bello e frondoso piantato a Firenze (e dunque in Italia e in Europa) nel Rinascimento.
Sì, anche Raffaello ha una parentesi fiorentina importante e, per molti versi, decisiva. Il pittore marchigiano arriva sulle rive dell’Arno nel 1504: ha ventuno anni, è già piuttosto noto e ha in grande considerazione i suoi mezzi. Non nasconde di volersi confrontare con Leonardo e Michelangelo, reputati già allora giganti insuperabili. Insuperabili forse no, ma almeno eguagliabili pensa (di sé) Raffaello. Resta pertanto deluso quando vede che i due titani ottengono a Firenze quelle commesse pubbliche che a lui invece vengono negate.
Ma Raffaello non è tipo da arrendersi così facilmente. Anzi, accetta dei lavori in apparenza minori e si cimenta nella realizzazione di opere di piccolo formato che gli commissionano i privati e nella fattispecie le ricche famiglie borghesi di Firenze. Ma, soprattutto, non smette di studiare, lasciandosi largamente influenzare dai tanti maestri antichi e da quelli moderni che risalgono, quasi tutti, al Verrocchio: in primis Leonardo e Michelangelo. Ma restituiamo la parola a Giorgio Vasari:
studiando le pitture de’ maestri vecchi e quelle de’ moderni, [Raffaello arricchisce] l’arte della pittura di quella intera perfezione che ebbero le figure di Apelle e di Zeusi e più […] Laonda la natura restò vinta dai suoi colori …
Insomma, Raffaello raggiunge la perfezione dei suoi principali punti di riferimento, Leonardo e Michelangelo. E facendo questo, sostiene sempre Vasari, la sua pittura supera per realismo e bellezza la natura stessa.
Strana coincidenza: in quei mesi a Firenze risiedono tutti i tre “pittori della perfezione”: Leonardo, Michelangelo e appunto Raffaello. Non è un caso. Da un secolo almeno nella piccola (cinquantamila abitanti o giù di lì) città toscana ha lavorato almeno la metà degli artisti/scienziati di tutta Europa. Come sia possibile, è un piccolo mistero. L’idea di chi si occupa di origine e sviluppo delle città creative è che quasi in ogni luogo al mondo esiste un “potenziale di creatività” che può essere anche esteso e che si realizza raramente perché per manifestarsi ha bisogno del giusto contesto. Nella intraprendente città toscana del Quattrocento esiste, evidentemente, un formidabile “potenziale di creatività” che trova le migliori condizioni al contorno. Per fortuna nostra e anche di Raffaello.
Il periodo fiorentino dell’urbinate è breve, quattro anni, ma davvero fruttuoso per la maturazione di un giovane che è e sa di essere un fuoriclasse. In città Raffaello realizza, tra l’altro, la Madonna del Baldacchino.
Nel 1508 l’urbinate lascia Firenze e, su raccomandazione di Donato Bramante, raggiunge Roma per aggregarsi di fatto alla nuova corte di artisti che Giulio II sta organizzando intorno nella città santa. Il papa, al secolo Giuliano della Rovere, è davvero colpito dalla bravura di quel pittore che è poco più di un ragazzo e gli lascia carta bianca, lì al secondo piano del palazzo Vaticano.
Fermiamoci su un particolare. A Roma, lì in Vaticano, Raffaello dipinge la celeberrima Scuola di Atene: un inno alla conoscenza. Dove si celebra la verità terrena, la filosofia, al centro ci sono Aristotele e Platone (quest’ultimo con il volto di Leonardo), ma anche la scienza. Nel quadro si possono notare Eraclito (con il volto di Michelangelo) ed Euclide (con il volto di Bramante). Raffaello immortala anche sé stesso. È una limpida dimostrazione di come Raffaello conosca molto bene i grandi della cultura, anche scientifica, del passato e riconosca il ruolo che ha la geometria nel definire la grandezza di quel passato. Ma è ben chiaro chi sono i grandi del presente. E sa che lui è parte di quest’ultima comunità.
Non possiamo fermarci più di tanto sul periodo romano di Raffaello. Diciamo solo che in quei mesi è a Roma anche Michelangelo, impegnato ad affrescare il soffitto della Cappella Sistina: ne sortirà il Giudizio Universale. Non è un confronto che lo intimidisca. Raffaello sa bene che tutti ormai, a iniziare dal papa, ritengono che sia pari di Michelangelo.
Alla morte di Giulio II, sopravvenuta nel 1513, e con l’elezione di Leone X Roma diventa più che mai centro di produzione artistica. E il nuovo papa – un fiorentino che appartiene alla famiglia de’ Medici –, non ha difficoltà a eleggere Raffaello a leader virtuale della corte artistica romana, visto anche che Michelangelo è ritornato sull’Arno. Ora più che mai il giovane urbinate può contare su una propria bottega ricca di talenti e capace di soddisfare le commesse che giungono copiose da ogni parte d’Europa.
Purtroppo non possiamo soffermarci più di tanto sulla grandezza artistica di Raffaello. Sottolineando il fatto, però, che lui è figlio di quel periodo storico che possiamo definire della “scienza visuale”, iniziata nei primi anni del Quattrocento a Firenze nelle botteghe di Filippo Brunelleschi, del Masaccio e di Donatello. Tutti artisti che inaugurano la “seconda maniera” e che hanno riscoperto e utilizzato nelle loro rappresentazioni artistiche la prospettiva fondata su rigorose basi geometriche.
Espressioni altissime dell’arte che si fonde con e si fonda sulla matematica sono, anche dal punto di vista teorico, Leon Battista Alberti e poi anche (e soprattutto) Piero della Francesca, straordinario pittore riconosciuto da Giorgio Vasari come dagli storici della scienza nostri contemporanei (Morris Kline, per esempio) il “maggior geometra del suo tempo”.
Raffaello fa parte – proprio come Leonardo e Michelangelo, Piero della Francesca e Masaccio e tantissimi altri – della storia della “scienza visuale”. Dunque della storia della scienza tout court.
Perché la sua è la cultura degli artisti/scienziati. E non in maniera generica. In Raffaello non c’è solo il riconoscimento del ruolo della geometria nella rappresentazione del mondo, ma c’è una ricerca (anche nella sua accezione scientifica) più estesa: in termini di filosofia naturale e in particolare dell’anatomia. Giovanni Sassu ha scritto che nella giovane e densissima vita di Raffaello: «La ricerca anatomica ed emotiva prosegue toccando vertici naturalistici che fissano i parametri di una nuova classicità».
Come abbiamo detto Raffaello muore, ancora giovanissimo, cinquecento anni fa: nel 1520. Appena un anno dopo Leonardo. A Roma dove risiede (ma non solo) lo piangono come fosse un dio. Definizione che, come abbiamo ricordato è fatta propria da Giorgio Vasari, che mezzo secolo dopo chioserà:
Egli insomma non visse da pittore, ma da principe. Per il che, o Arte della pittura, tu pure ti potevi allora stimare felicissima, avendo un tuo artefice che di virtù e di costumi t’alzava sopra il cielo!
Tra quelle virtù ci sono anche la conoscenza e la curiosità scientifiche.