CULTURA

“Il romanzo di una valle”: Sebastiano Vassalli sulle Dolomiti

A Forno di Zoldo (Belluno) è appena stata inaugurata una mostra documentaria sul romanzo Marco e Mattio (prima edizione Einaudi, 1992) di Sebastiano Vassalli, vincitore del Premio Strega (e del premio Napoli e del Premio Selezione Campiello) nel 1990 con La chimera. La ragione è presto spiegata. Come scrive l’autore nella Premessa, infatti, “questo libro racconta la vicenda terrestre di Mattio Lovat, nato a Casal di Zoldo il 12 settembre 1761 e morto a Venezia l’8 aprile 1806: per alcuni suoi comportamenti – diciamo così – inconsueti, e per fatti strani e gravi che precedettero la sua fine venne considerato uno dei primi “casi clinici” della psichiatria moderna”.

Si tratta di una vicenda realmente accaduta quindi, con cui l’autore prosegue nel filone del romanzo storico inaugurato con La chimera, la storia della “diabolica” trovatella del paese di Zardino a sud del Monte Rosa, che tanto piacque a Natalia Ginzburg (e Federico Zevi, che insieme a lei lo candidò al Premio della Fondazione Bellonci) e che è forse l’esempio più eclatante di long seller (viene letto nelle scuole quasi alla pari di Manzoni!). A colpire l’immaginazione dell’autore questa seconda volta fu la vicenda del calzolaio zoldano di cui lesse in un resoconto medico del 1814 di Cesare Ruggeri, mostratogli da un amico antiquario e che Vassalli fotocopiò: Storia della crocifissione di Mattio Lovat da se stesso eseguita. “La storia mi interessava” ha spiegato Vassalli ad Angelo Santin di Stile zoldano “ma stentavo ad ambientarla, perché c’era scritto Mattio Lovat da “Soldo”, con la esse: Soldo non c’era su nessuna enciclopedia. Poi mi sono detto: sta’ a vedere che i Veneti con la loro parlata hanno reso più dolce un suono più aspro. E grazie a questo sono andato a guardare alla “zeta”: e qui Zoldo c’era, c’era Casal e quindi i conti sono tornati…”

Ed ecco che lo scrittore salì per la prima volta di molte, block notes alla mano, nei luoghi da dove la storia del ciabattino era iniziata: la val di Zoldo. Lì consultò i registri dei vivi e dei morti alla ricerca di Mattio, disegnò schizzi geografici con i nomi dei monti, stilò l’elenco dei proverbi dialettali della zona, collezionò cartoline su cui segnare i nomi delle cime, si appuntò le diciture precise dei capi di abbigliamento delle donne bellunesi, fece ricerche bibliografiche cui risalire nell’immediatezza tramite sigle sciolte in una legenda trascritta sul retro di uno dei due quadernetti di appunti.

Tutti questi documenti sono esposti nella mostra presso il municipio di Forno di Zoldo, che sarà poi a Longarone, Belluno e Venezia sull’isola di San Servolo, secondo l’itinerario che fu anche di Mattio Lovat, il quale sull’isola dei matti ci finì per essersi evirato e aver tentato di crocifiggersi in una calle di Venezia, in un sacrificio individuale che doveva salvare l’umanità dall’Anticristo (Napoleone?). L'esposizione probabilmente arriverà infine alla Kasa dei libri a Milano, roccaforte del bibliofilo Andrea Kerbaker che fu “il primo biografo” di Vassalli per la rivista Belfagor nel 2004 e che firma la presentazione del catalogo della mostra (a cura di Roberto Cicala e Valentina Giusti, edito dalla casa editrice dell’Università Cattolica di Milano).

Vassalli si è laureato con Cesare Musatti discutendo una tesi in cui psicanalisi e arte sono intrecciate, e forse non è un caso che subisca la fascinazione di personaggi che in qualche modo sfiorano la follia o che in questo modo sono percepiti: come Antonia, la “strega” di Zarlino, come Mattio, che però pazzo non era, ma ammalato di pellagra, e come Dino Campana, il suo amato “babbo matto”, la cui storia racconta ne La notte della cometa del 1984 e di cui dice: “Anche se Dino non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest’uomo meraviglioso e “mostruoso”, ne sono assolutamente certo. L’avrei inventato così”.

Questa è forse la prima vera incursione nella Storia di Sebastiano Vassalli che da La chimera in poi fa invece del romanzo storico la sua forma espressiva prediletta, ricercando però nelle vicende che racconta una sorta di presente storico: le forme (attuali) del “carattere nazionale degli italiani”, cioè ancora: “Le grandi storie che ci aiutano a capire frammenti minimi di realtà”.

Disse anche: “Ho capito che nel presente non c’è niente che meriti di essere raccontato. Il presente è rumore: milioni, miliardi di voci che gridano, tutte insieme e in tutte le lingue, e cercando di sopraffarsi l’una con l’altra”.

Neoavanguardista della prima ora (fece parte del Gruppo 63 che avversava il romanzo neorealista), Vassalli all’uscita Marco e Mattio venne accusato da Renato Barilli, anche lui ex membro della neoavanguardia, in una lettera sul giornale indirizzata ad Angelo Guglielmi – fondatore, insieme ad altri, del Gruppo 63 e che per La Stampa aveva recensito il romanzo –, di aver messo sulla pagina “l’eterno compianto al pauperismo”.

Dalle missive pubbliche, sui giornali, a quelle private, Vassalli venne raggiunto dalle solerti segnalazioni dei lettori sulla data del disastro del Vajont, erroneamente anticipata nel romanzo all’aprile anziché ad ottobre del ’63, e questi furono così numerosi da spingerlo a preparare un modulo indirizzato al “ennesimo” (aveva lasciato i puntini da completare) lettore che “comunica per lettera l’errore di pag. 72 di Marco e Mattio”. Oltre a spiegare la genesi del refuso, in un post scriptum specifica: “Nel caso la Sua protesta si fosse estesa anche al “cedimento” della diga, Le faccio notare che, lì, non c’è nessun errore, perché cedimento non significa che la diga si sia rotta. La montagna è caduta, la diga è intera ma ha ceduto, perché il compito delle dighe non è quello di salvare sé stesse, ma di trattenere le acque alla giusta quota”.

Amore per le storie dunque, e per la Storia attraverso la quale prende forma la Verità, quello di Sebastiano Vassalli. E in giorni in cui si discute, anche sul nostro giornale, di quale sia il valore dell’arte, compresa quella letteraria (Paul Auster l’ha definita inutile), vale la pena citare ancora Vassalli quando dice: “L’unico miracolo che si compie dai tempi di Omero e da prima ancora, e che non può essere dimenticato o messo in dubbio perché chiunque può farlo rivivere con la lettura, è quello delle parole che trattengono la vita”.


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Abbiamo intervistato Valentina Giusti, co-curatrice della mostra insieme a Roberto Cicala:

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