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In Salute. Xenotrapianto: una prospettiva per il futuro, ma il presente restano le donazioni

Nei mesi scorsi si è molto parlato del primo trapianto di cuore di un maiale geneticamente modificato in un paziente statunitense. L’intervento è stato eseguito il 7 gennaio dai medici della University of Maryland Medical Center, negli Stati Uniti, su un uomo di 57 anni con una malattia cardiaca terminale. Il paziente da mesi era sottoposto a circolazione extracorporea per rimanere in vita e, a causa della sua complessa situazione clinica, nessuna struttura sanitaria lo aveva ritenuto idoneo a un trapianto di cuore convenzionale. Per questo, a dicembre del 2021 la Food and Drug Administration aveva concesso l’autorizzazione di emergenza a uso compassionevole per un intervento di xenotrapianto, che viene eseguito utilizzando organi, cellule o tessuti prelevati da esseri viventi di una specie diversa da quella del ricevente. In questo caso, un cuore di maiale geneticamente modificato. Il paziente è vissuto due mesi dopo l’intervento, fino all’8 marzo.   

“Dopo 30 anni di studi preclinici, in cui gli organi di maiale sono stati utilizzati non nell’uomo, ma nel primate non umano, questa è la vera prova per dimostrare che tutto quello che è stato investito è stato investito nella direzione giusta. E la sopravvivenza del paziente, seppur limitata a soli due mesi, è stata un grande successo. Non ce l’aspettavamo. Certamente i risultati dovranno essere migliorati, ma si parte sotto auspici molto favorevoli”. A commentare l’intervento eseguito negli Stati Uniti è Emanuele Cozzi, immunologo clinico del dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e sanità Pubblica dell’università di Padova, presidente del Comitato europeo per i trapianti d’organo presso il consiglio d’Europa a Strasburgo e negli scorsi anni dell’International Xenotransplantation Association. Con il docente, nell’ambito del ciclo di approfondimenti che Il Bo Live ha dedicato alle donazioni e ai trapianti di organi, tessuti e cellule, abbiamo cercato di capire a che punto siano le ricerche sullo xenotrapianto e, in futuro, se e quali possibilità potrà offrire questo tipo di intervento chirurgico a pazienti in attesa di trapianto, senza altre opzioni terapeutiche.   


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Alla base degli studi sullo xenotrapianto

“Gli studi sullo xenotrapianto risalgono a parecchio tempo fa. Io stesso ho iniziato a occuparmene 30 anni or sono quando ero in Inghilterra. Lì, il motivo alla base di questo filone di ricerca era la carenza di organi per i malati in insufficienza d’organo terminali”. Solo alcuni di questi in attesa di trapianto, possono essere mantenuti in vita: chi soffre di insufficienza renale, per esempio, viene sottoposto a dialisi, ma per molti altri questa possibilità non esiste. “Allora come oggi, gli organi non bastano per tutti i nostri pazienti e negli ultimi anni la lista d’attesa si è allungata sia in Italia che all’estero. L’idea, dunque, era di cercare una fonte alternativa di organi, cellule, tessuti per i nostri malati. Lo xenotrapianto ha avuto una battuta d’arresto verso la fine degli anni Novanta, perché è stata avviata la ricerca sulle cellule staminali. Ora però, davanti alla mancanza di risultati per lo meno immediati in questo settore, si sta assistendo a una rinascita delle ricerche sullo xenotrapianto”. Cozzi tiene a sottolineare tuttavia che oggi, e per i prossimi anni, l’organo su cui si può contare è quello umano e dunque è fondamentale contribuire alle donazioni.

I primi tentativi

In passato sono stati numerosi i tentativi di sopperire all’esigenza di un organo umano per salvare una vita attraverso lo xenotrapianto. Si ricorda, per esempio, nel 1984 il caso di Baby Fae, una bambina di 12 giorni nata prematuramente con la sindrome del cuore sinistro ipoplasico, cioè con uno sviluppo anomalo delle strutture cardiache sinistre: il 26 ottobre al Loma Linda University Medical Center in California, Leonard L. Bailey e la sua équipe trapiantarono il cuore di un babbuino nella neonata che visse circa 21 giorni dopo il trapianto, quando il suo corpo rigettò il cuore. Ancora, nel 1964 James Hardy, chirurgo dell’università del Mississippi, trapiantò il cuore di uno scimpanzé in un uomo di 68 anni, che morì meno di due ore dopo. Altri chirurghi avevano trapiantato reni di scimpanzé in esseri umani, con uno dei riceventi che sopravvisse nove mesi.

“Quando ho cominciato a fare ricerca in questo settore, all’inizio degli anni Novanta, si è capito subito che per trapiantare nell’uomo, c’era bisogno di una grande quantità di donatori e che le specie di primate più vicino all’uomo, in particolare il gorilla, l’orango e lo scimpanzé, erano tutte e tre specie protette e non sarebbero state in grado di fornire un numero sufficiente di organi per le esigenze cliniche. Per questo si è deciso di passare alla specie suina”. Il maiale, infatti, possiede caratteristiche che lo rendono la specie maggiormente adatta alla sperimentazione: si riproduce facilmente, ha una velocità di crescita maggiore rispetto a quella di un primate non umano, e l’idea di impiegare la specie suina a fini clinici potrebbe essere meglio accettata dal punto di vista etico, se si considera per esempio che solo negli Stati Uniti ogni anno vengono abbattuti più di 50 milioni di maiali per scopi alimentari. “Tutte le équipe che si occupano di xenotrapianto negli ultimi 30 anni hanno convertito la loro ricerca verso il maiale quale donatore, dato che offre vantaggi anche dal punto di vista dell’ingegneria genetica”.

Intervista completa a Emanuele Cozzi, presidente del Comitato europeo per i trapianti d’organo. Montaggio di Elisa Speronello

Xenotrapianto e gene editing

Lo xenotrapianto ha visto progressi significativi negli ultimi anni, da quando l’editing genomico (anche attraverso la tecnologia del Crispr-Cas9) consente di intervenire sulle incompatibilità di carattere immunologico e fisiologico che presenta il suino rispetto all’uomo. In pratica con la tecnologia del gene editing, vengono create cellule di maiale geneticamente modificate, nelle quali vengono inserite sequenze di geni umani o rimosse sequenze di geni suine. Partendo dalle cellule così ottenute, si ricavano embrioni e successivamente maiali che vengono poi cresciuti in ambienti controllati per evitare la contaminazione di agenti infettivi.

Nel caso specifico del trapianto di cuore eseguito a Baltimora a inizio anno, le modifiche genetiche apportate sono state dieci. Tre geni sono stati spenti per evitare il rigetto immediato, che è uno dei principali ostacoli di questo tipo di intervento: modificando il Dna dei maiali, gli organi, le cellule o i tessuti della specie suina vengono resi più compatibili con il nostro sistema immunitario, riducendo la risposta anticorpale. Un quarto gene è stato eliminato per contenere le dimensioni dell’organo una volta trapiantato, prevenendo la crescita eccessiva del tessuto cardiaco suino.

Infine, sono stati inseriti nel genoma del maiale sei geni umani che dovrebbero favorire l’accettazione dell’organo nel ricevente, poiché coinvolti in particolari reazioni del sistema immunitario e nella coagulazione che nell’animale è diversa rispetto all’uomo.  

Possibili infezioni nel passaggio da animale a uomo

Un altro ostacolo nello xenotrapianto può essere dato dalla presenza nell’animale di retrovirus endogeni suini (Porcine Endogenous Retrovirus, Perv), che potrebbero teoricamente fare il salto di specie. La maggior parte dei mammiferi, inclusi i maiali, contengono infatti nel loro genoma sequenze di retrovirus, innocui per loro ma che potrebbero causare malattie in altre specie. Proprio per questo, alcuni scienziati si sono rivolti ancora alla tecnica dell’editing genomico per eliminare i geni retrovirali e rendere dunque il trapianto da suino a uomo ancora più sicuro. È il caso, solo per citare un esempio, del gruppo di ricercatori della società biotecnologica eGenesis di Cambridge, Massachusetts e della Yunnan Agricultural University a Kunming, in Cina, in grado di produrre maiali che non sono portatori di retrovirus suini.

Emanuele Cozzi precisa: “Nel caso dello xenotrapianto sicuramente si usano suini che vengono cresciuti in un ambiente in cui la flora batterica e virale è strettamente controllata. Però il rischio di infezioni non può essere completamente annullato, ragione per cui nei pazienti in cui viene eseguito uno xenotrapianto andranno condotti controlli e monitoraggi molto serrati, per essere prontamente reattivi nel caso in cui si verificasse l'insorgenza di una nuova infezione”.

Va ricordato che lo xenotrapianto ha già avuto applicazioni cliniche. Ormai da anni vengono impiegate e trapiantate in esseri umani valvole cardiache di origine suina e bovina e tessuti epidermici suini sono stati applicati su pazienti umani ustionati, senza che questi contraessero infezioni da Perv. “Dobbiamo essere molto prudenti, però al momento ci sono le condizioni etiche e regolatorie – nel caso di malati che non ce la farebbero a sopravvivere – per permettere i primi casi clinici, così come è successo negli Stati Uniti, ma con l’esigenza di essere estremamente prudenti nella selezione del candidato e nel monitoraggio del malato dopo il trapianto”.   

La sperimentazione in Italia e all’estero

Il processo di ricerca scientifica prevede di testare l’organo ottenuto da animali ingegnerizzati su primati non umani, prima della sperimentazione sull’uomo.  Ebbene, in Italia in questo momento non viene condotta nessuna attività di questo tipo. Emanuele Cozzi spiega che nel nostro Paese non vengono saggiati in modelli preclinici nel primate gli organi di maiale geneticamente modificati a scopo di ricerca, nonostante a Cremona lavori un gruppo di scienziati che è tra i migliori al mondo nelle attività di ingegneria genetica. Si ingegnerizza, dunque, ma le ricerche sul primate non umano non vengono condotte in nessun centro italiano.

L’Italia ormai otto anni fa ha recepito la normativa europea sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, nello specifico la direttiva  2010/63/EU,  tramite il decreto legislativo numero 26 del 4 marzo 2014. Tale decreto, tuttavia, introduce norme più restrittive rispetto a quelle europee, poiché pone il divieto di condurre ricerche nel campo degli xenotrapianti (e sulle sostanze d’abuso). In seguito il Governo italiano ha però posticipato più volte tale divieto (prima al 2017, poi al 2021 e infine al 2022). Quest’anno le Commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera hanno nuovamente prorogato il divieto fino al 2025.

Situazione diversa invece all’estero. “In molti Paesi – sottolinea Cozzi –, per esempio in Germania, c’è un’attività molto florida, non solo di ingegnerizzazione ma anche di sperimentazione di questi organi nel primate non umano che è l’ultima tappa prima di passare all’uomo, con forte sostegno economico da parte del governo tedesco. In questo momento, quindi, ci sono sicuramente dei gruppi europei a un livello molto avanzato nell’ambito degli studi preclinici. Naturalmente c’è poi molta attività negli Stati Uniti, ma anche in Australia e in Giappone”.

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