
Museo della Risiera di San Sabba Monumento Nazionale
Ottant’anni fa il forno crematorio era ancora lì, nel cortile interno dell’ex impianto per la lavorazione del riso, non più usato per essiccare cereali ma per incenerire i corpi delle vittime della ferocia nazifascista. È il 25 aprile e, nonostante la pioggia sottile che cade su Trieste, una folla composta e partecipe si raccoglie alla Risiera di San Sabba, dove si tiene la cerimonia solenne per l’anniversario della Liberazione.
Ogni anno tanti cittadini e cittadine, di tutte le età, vengono in questo luogo-simbolo per mantenere viva la memoria delle tragedie del passato e per testimoniare che la democrazia non è piovuta dal cielo, ma conquistata con il sacrificio di vite umane. E nel 2025 per la Risiera ci sono vari anniversari da festeggiare: non soltanto ricorrono gli 80 anni dalla Liberazione, ma anche i 60 dalla dichiarazione di monumento nazionale (che è del 1965) e i 50 dall’apertura al pubblico del museo (del 1975).
Un sito tragico e unico in Italia
Ma perché questo luogo è così particolare? Per capirne meglio l’importanza abbiamo chiesto ad Anna Krekic, conservatrice del Museo della Risiera di San Sabba Monumento Nazionale, che cosa lo rende un sito unico. La risposta immediata è che ciò che fa della Risiera “un monumento particolare, anche nell’immaginario comune, è la presenza di un crematorio per incenerire i cadaveri delle vittime. Una struttura che oggi non esiste più, essendo stata distrutta dagli stessi nazisti, ma che ha caratterizzato questo campo di detenzione e polizia rispetto agli altri presenti nell’attuale territorio italiano”.
In effetti, la Risiera purtroppo non è stato il solo campo di concentramento attivo in Italia durante la Seconda guerra mondiale, per esempio altri lager erano operativi a Bolzano e a Fossoli (in provincia di Modena). Sebbene con funzioni diverse rispetto ai campi nazisti in Germania e Polonia, questi erano comunque luoghi di detenzione per oppositori politici, civili e minoranze etniche, che spesso vi trovavano anche la morte.
Secondo Krekic però, l’unicità del lager triestino è “il suo essere espressione della particolare situazione vissuta dal nostro territorio tra il settembre 1943 e l’aprile 1945, quale zona d’operazioni del litorale adriatico. Una situazione molto diversa rispetto al resto dell’Italia occupata, poiché (come la zona d’operazioni delle Prealpi) quest’area era sia occupata militarmente che amministrata dal Reich. Inoltre, qui era presente un gruppo di uomini che venivano dai campi di sterminio della Polonia occupata: erano le SS di Odilo Globočnik che, essendo esperti in strutture di quel tipo, hanno replicato nella Risiera e in tutto il Litorale adriatico gli strumenti repressivi e di morte già applicati in Polonia”.

Il cortile interno della Risiera di San Sabba, dove sorgeva il forno crematorio.
I crimini degli occupanti
Quello che oggi si trova proprio accanto allo stadio di Trieste era stato un grande impianto per la pilatura del riso costruito nel 1898, ma negli anni Trenta la produzione si ferma e all’inizio della guerra viene trasformato in una caserma militare. Poi, con l’occupazione della città da parte delle forze tedesche nel 1943, la Risiera viene trasformata in Polizeihaftlager (cioè campo di detenzione e di polizia) una delle varie declinazioni dell’universo concentrazionario nazista.
Dal marzo 1944 entra in funzione anche un forno crematorio, che rende così l’ex opificio un centro di eliminazione fisica oltre che di transito per le persone catturate dai nazisti in tutta la zona del Litorale adriatico. Migliaia di persone vengono deportate o a volte uccise sul posto, tra cui oppositori politici, partigiani italiani, sloveni e croati, ebrei considerati “non trasportabili” perché anziani o malati, e civili rastrellati per i lavori forzati. Le stime delle vittime oscillano tra 2000 e 5000 persone, soltanto una ventina dei circa 1450 ebrei deportati dal Litorale fece ritorno dai campi di sterminio.
Il forno crematorio era l’elemento centrale della macchina di morte messa in piedi dagli occupanti nazisti, che avevano predisposto un sistema di eliminazione sistematica delle vittime; al termine del processo di cremazione, le ceneri venivano caricate su automezzi militari e disperse in mare appena fuori città, per cancellarne ogni traccia. Con l’avvicinarsi delle truppe alleate, il 29 aprile 1945 i nazisti in ritirata fecero esplodere il forno crematorio e la ciminiera, distruggendo anche gran parte della documentazione relativa alle migliaia di persone passate da queste celle: un ultimo, disperato tentativo di occultare le prove dei crimini commessi.
Dopo la Liberazione di Trieste, avvenuta il 30 aprile 1945, e fino ai primi anni Sessanta la Risiera di San Sabba è stata anche un campo di raccolta per le persone in fuga dai Paesi oltre la “cortina di ferro”. Poi, con la dichiarazione di monumento nazionale e la trasformazione in museo, il grande edificio in mattoni rossi assume il compito di preservare la memoria delle atrocità commesse fra le sue mura.
A scuola di memoria
Torniamo da Anna Krekic per approfondire proprio l’attuale ruolo museale della Risiera e per capire che tipo di persone vengono qui in visita. Ci racconta che la loro utenza “è molto varia, ma con una netta prevalenza di ragazzi delle scuole secondarie. Al momento ci attestiamo tra 120 e 130 mila visitatori l’anno, che si concentrano soprattutto tra marzo e maggio: è il periodo dei viaggi d’istruzione e i gruppi scolastici vengono in visita da tutta Italia ma anche dall’estero”.
È facile immaginare che visitare un luogo come questo non sia come una gita in pinacoteca, dato che ci può essere un intenso coinvolgimento emotivo da considerare. In questo senso, Krekic ci spiega come andrebbe organizzata la visita soprattutto di persone molto giovani: “succede spesso che i ragazzini restino molto colpiti da questo luogo, che emotivamente è molto forte. Talvolta, se la visita non viene preparata adeguatamente a scuola, arrivano in Risiera senza avere chiaro cosa vedranno. Per questo vogliamo predisporre dei materiali sia per preparare la visita che per fare un lavoro successivo, per chi desideri usarli. È anche di uno degli obiettivi di un assegno di ricerca in corso dell’Università di Trieste, che si concentra proprio sulla fruizione della Risiera da parte dei giovani”.
Una sfida che accomuna la Risiera alle altre istituzioni che si occupano di preservare la memoria storica della Seconda guerra mondiale è come renderla fruibile alle nuove generazioni, man mano che ci allontaniamo da quegli eventi e con sempre meno testimoni diretti in vita. Questo, secondo Krekic, è “un problema che stiamo affrontando un po’ tutti noi che ci occupiamo di luoghi della memoria, e lo stiamo facendo anche assieme. Per esempio partecipiamo al progetto europeo CU Remember, che coinvolge l’Università di Trieste e quella di Vienna: con l’obiettivo di trovare nuove forme di comunicazione per i giovani, legate alla memoria proprio in relazione alla scomparsa dei testimoni diretti. Ma è solo uno dei molti esempi di attività che portiamo avanti, anche in sinergia con altre istituzioni italiane ed estere, per trovare nuove modalità di comunicazione per i ragazzi, proprio in vista di un’era nuova che si sta aprendo”.
Un progetto analogo è anche Noi partigiani - Memoriale della Resistenza Italiana dell’ANPI che dal 2019 raccoglie centinaia di testimonianze di partigiani e partigiane in età avanzata, che narrano le loro scelte antifasciste durante la lotta di Liberazione. L’obiettivo è trasmettere alle nuove generazioni gli insegnamenti morali e storici della Resistenza, perché attraverso l’esercizio della memoria si crea anche futuro.