SCIENZA E RICERCA

Scimpanzé in menopausa: una scoperta che apre nuovi quesiti sull’evoluzione umana

Uganda, parco nazionale di Kibale. In quest’area naturale di quasi 800 km2 ricoperta da foreste secolari, paludi e praterie vive una comunità di scimpanzé chiamata Ngogo. Questi primati sono stati gli inconsapevoli protagonisti di uno studio osservazionale durato oltre vent’anni, che ha permesso di accertare la condizione di menopausa in alcune femmine.

Il fatto che questi primati sperimentino lo stesso processo fisiologico che attraversano le donne durante la transizione verso la menopausa è sorprendente perché, per quanto ne sappiamo, nella maggior parte delle specie le femmine si riproducono per quasi tutta la loro vita. D’altra parte, sono ancora piuttosto scarse le attuali conoscenze in merito sia alla menopausa negli animali non umani, sia agli eventuali vantaggi evolutivi di tale condizione, sia alle ragioni per cui essa caratterizzi le donne e non le femmine di altre specie di primati con un’alta aspettativa di vita. La menopausa è particolarmente difficile da studiare nelle comunità animali che vivono allo stato selvatico, tant’è vero che la longevità in fase post-riproduttiva nei mammiferi nel loro ambiente naturale era stata attestata finora solo in cinque specie di balene. Gli scimpanzé Ngogo sono perciò i primi primati non umani immersi nel loro ambiente naturale per i quali è stata documentata la menopausa.

Lo studio si è basato sull’osservazione di 185 femmine di scimpanzé (Pan troglodytes) della comunità Ngogo. Gli animali in questione sono stati seguiti dal 1995 al 2016 al fine di misurare la proporzione della loro vita adulta trascorsa in uno stato post-riproduttivo e individuare i meccanismi endocrini associati alla menopausa. Già dopo i 30 anni le femmine di scimpanzé davano alla luce molti meno figli rispetto a quanto facessero in giovane età; dopodiché, raggiunti i 50 anni, smettevano del tutto di partorire. Eppure, spesso questi animali sopravvivevano ancora a lungo (in alcuni casi anche oltre i 60 anni) e trascorrevano perciò circa un quinto della loro vita adulta in uno stato post-riproduttivo. Sono state considerate in menopausa le femmine di scimpanzé che avevano almeno 40 anni e che non partorivano più da almeno 8 anni. Tra le 11 Ngogo che soddisfacevano entrambi i requisiti, nove di loro sono sopravvissute per più di dieci anni dopo l’ultimo parto, e sei di queste erano ancora in vita nel 2016, quando è stato concluso lo studio.

I risultati in questione non si basano solo su dati osservazionali e demografici, ma anche sulle analisi di più di 500 campioni di urine provenienti da 66 Ngogo tra i 14 e i 67 anni. Attraverso questi esami gli autori sono riusciti a monitorare come variasse il loro assetto ormonale nel tempo. La transizione menopausale nelle donne è caratterizzata da un calo degli ormoni stereoidei ovarici (estrogeni e progestinici) e dall’aumento dei livelli dell’FSH (ormone follicolo-stimolante) e dell’LH (ormone luteinizzante). Le analisi delle urine hanno dimostrato che questi meccanismi endocrini avvenivano allo stesso modo nelle femmine Ngogo.

Ngogo: regola o eccezione?

Per quanto tali risultati siano sorprendenti, non bastano però per concludere che la menopausa sia un tratto evolutivo caratteristico negli scimpanzé. Studi precedenti suggerivano infatti che le femmine di questa specie non sopravvivessero a lungo dopo la fine della loro vita riproduttiva. Sebbene la durata del periodo di fertilità delle Ngogo sia in linea con quella di altri esemplari della specie, la sopravvivenza media dei membri di questa comunità (33 anni) è ben più alta rispetto a quella che sperimentano altre popolazioni di scimpanzé (che si aggira intorno ai 20 anni).

Qual è allora il segreto della loro longevità? Gli autori dello studio su Science ipotizzano che la risposta a questa domanda abbia a che fare con delle condizioni ambientali particolarmente favorevoli. L’habitat in cui vivono gli Ngogo è caratterizzato infatti da bassi livelli di predazione, elevata disponibilità di risorse alimentari e scarse occasioni di competizione con altri gruppi. In questo caso, gli Ngogo e il loro contesto di vita privilegiato rappresenterebbero davvero l’eccezione alla regola, dove per “regola” si intende l’insieme delle condizioni ambientali che hanno consentito l’evoluzione e la sopravvivenza di questi primati nel corso dei millenni.

Un’altra possibilità è che l’habitat degli Ngogo sia il più simile – tra quelli studiati finora – a quello in cui si è evoluta la specie degli scimpanzé. In tal caso i membri di tale comunità costituirebbero la “regola” e l’eccezione sarebbe rappresentata dalle altre popolazioni dei primati in questione, le quali tendono a vivere in territori fortemente alterati dalle attività umane.

Non è facile stabilire quali condizioni di vita sperimentate dalle diverse popolazioni di scimpanzé di tutto il mondo si avvicinino maggiormente a quelle che hanno accompagnato l’intera storia di questa specie. Tali questioni non sono di interesse solo per gli studi sugli scimpanzé; la loro indagine è di utilità anche per provare a ricostruire alcune tappe dell’evoluzione umana. Infatti, perché una caratteristica (come la longevità in età post-riproduttiva) possa svilupparsi in una specie, gli individui che ne fanno parte devono già possedere le variazioni genetiche che codificano quella caratteristica, come una sorta di potenziale pronto a manifestarsi quando le condizioni lo permettono. Le variazioni associate all’insorgenza della menopausa sono naturalmente proprie degli esseri umani, solo che non sappiamo esattamente da quanto tempo. Se tale potenziale genetico fosse presente anche negli scimpanzé, allora significherebbe che le sue radici sono antichissime, e che entrambe le specie l’hanno ereditato dai loro antenati comuni vissuti milioni di anni fa.

A cosa serve la menopausa?

Resta comunque da chiarire se la longevità post-riproduttiva costituisca un vantaggio evolutivo e perciò un prodotto della selezione naturale. In altre parole: andare in menopausa è di qualche utilità alla sopravvivenza della specie? E se sì, perché?

Secondo una teoria evolutiva chiamata “ipotesi della nonna” la sopravvivenza delle femmine dopo la menopausa rappresenterebbe un vantaggio per la specie perché le femmine anziane ormai sterili aiuterebbero le loro figlie a prendersi cura dei cuccioli. Le nonne contribuirebbero perciò a crescere i nipotini e a difenderli dai pericoli. Un’altra possibile spiegazione dei benefici della menopausa consiste nella “ipotesi del conflitto riproduttivo”, stando alla quale la fine del periodo fertile delle femmine più anziane all’interno di un gruppo costituirebbe un vantaggio per quelle più giovani (dotate di più risorse, anche in termini di energia, per allevare con successo la loro prole), le quali dovrebbero affrontare meno competizione nella ricerca di partner con cui accoppiarsi. Le due ipotesi appena descritte – come precisano gli autori – non sono reciprocamente escludenti e la spiegazione dei benefici evolutivi della menopausa potrebbe risiedere in una combinazione di queste due dinamiche. Non è detto, comunque, che la menopausa costituisca un pro in termini di evoluzione. Il dibattito, infatti, è ancora aperto e piuttosto lontano da una soluzione. Per fare luce su tali domande irrisolte sarebbe importante condurre ulteriori ricerche volte a documentare l’eventuale insorgenza della menopausa in altri primati imparentati con gli scimpanzè, come ad esempio i bonobo. Studi sul campo basati sull’osservazione diretta degli animali nel loro ambiente naturale per periodi di tempo prolungati sono certamente più difficili e impegnativi da condurre rispetto a quelli basati sugli esemplari che vivono in cattività, ma potrebbero davvero ampliare la prospettiva con risultati preziosi e inaspettati su questa e altre specie di primati strettamente imparentate con la nostra.

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