Era il 1994 quando, dopo un lungo percorso, con la legge 61 si istituiva ufficialmente l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente. Per la prima volta quindi, si delineava una nuova struttura tecnico-scientifica responsabile dei controlli e della vigilanza ambientali. Doveva essere un riferimento locale, nazionale e internazionale in collaboazione con le Agenzie ambientali regionali e l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (Anpa, poi Apat, poi Ispra).
Ma prima di arrivare all’Anpa, che nel 2024 compie 30 anni, facciamo un passo indietro.
Le prima normative ambientali in Italia
Le prime normative ambientali in Italia arrivano a fine anni Settanta, con una decina d’anni di ritardo rispetto ai più vicini Paesi europei, che già in vista della Conferenza Onu tenutasi a Stoccolma nel 1972, si erano dotati di strumenti e normative a favore del clima.
A seguito di tale conferenza venne redatta una Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, un documento che nei suoi 26 diversi punti insiste sulla necessità di proteggere l’ambiente con lo scopo di garantire la salute ed il benessere delle persone che lo abitano. Il primo di questi 26 punti recita così: “L'uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all'eguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere, ed è altamente responsabile della protezione e del miglioramento dell'ambiente davanti alle generazioni future. Per questo le politiche che promuovono e perpetuano l'apartheid, la segregazione razziale, la discriminazione, il colonialismo ed altre forme di oppressione e di dominanza straniera, vanno condannate ed eliminate”.
Il ministero dei Beni Culturali e Ambientali
Le prime azioni concrete in Italia però si sono viste solo dopo due anni dalla Conferenza di Stoccolma. Il Governo Spadolini infatti istituì per la prima volta, con il decreto-legge 657 del 14 dicembre 1974, il ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Un primissimo, piccolo, passo verso il Ministero dell’Ambiente, per la cui nascita però bisognerà aspettare altri 12 anni.
Le motivazioni che hanno portato all’epoca la politica ad attivarsi in merito sono state principalmente sia ambientali interne, che Comunitarie. Ricordiamo infatti che il disastro di Seveso avvenne il 10 luglio 1976. Quel giorno una nube di diossina fuoriuscita dalla fabbrica di cosmetici dell’Icmesa a Seveso, in Brianza, contaminò l’area circostante. Come si legge nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità “gli effetti immediati sulla popolazione sono stati evidenti soprattutto da un punto di vista dermatologico: già dopo due giorni sono comparsi i primi casi di cloracne, una malattia di cui è documentata la correlazione con la diossina”. Ad oggi il numero di casi di cloracne è salito a 193. Inoltre un programma di monitoraggio dell’ISS, che ha coinvolto circa 280.000 persone nell’area brianzola, di cui quasi 6.000 residenti nelle aree più colpite ha dato come risultato più significativo l’incremento nelle zone più inquinate di neoplasie del tessuto linfatico ed emopoietico, in particolare per le donne: nella zona A (quella immediatamente intorno al luogo dell’incidente) il rate ratio è di 3,17, e nella zona B (quella più vasta intorno alla zona A) di 1,94. Il dato più alto riguarda i linfomi non-Hodgkin nella zona A (rate ratio di 4,45), mentre nella zona B il rate ratio per tutti i linfomi è di 2,14 e per i mielomi di 3,07. Fra gli uomini, l’unico dato in eccesso significativo riguarda la mortalità per leucemie, con un rate ratio di 2,07 nella zona B.
Sullo sfondo di questo evento inoltre, stava arrivando anche in Italia il movimento antinucleare, che fece un balzo in avanti nel 1979, dopo il primo incidente ad una centrale nucleare accaduto a Three Mile Island in Pennsylvania.
La creazione del Ministero dell’Ambiente avvenne poi nel 1986 con la legge numero 349 al cui articolo 1 si legge chiaramente: “È istituito il Ministero dell'ambiente”. Dicastero, inizialmente senza portafoglio, che negli anni ha cambiato più volte nome ma che, di fatto, esiste da meno di 40 anni.
Come ha scritto Rosa Filippini, già presidente dell’associazione “Amici della Terra”, sul numero di Ecoscienza dedicato ai 25 anni dall’istituzione dell’Anpa: “Non si tratta dunque di un percorso lineare di riforma, ma del faticoso affermarsi di una cultura, di una politica e delle sue specificità attraverso la difficile identificazione di funzioni e strutture e a fronte della resistenza dei ministeri esistenti a mollare le funzioni di carattere ambientale di cui erano titolari”.
Il referendum di "Amici della Terra"
È proprio grazie ad Amici della Terra, che è attiva dal 1978, che nel 1994 si è arrivati alla creazione delle agenzie ambientali in Italia. L’iter però, anche in questo caso, non fu semplice e lineare. Dal 1978 infatti, con l’allora riforma sanitaria, una riforma fondamentale per il nostro Paese in quanto fu quella che istituì il Servizio Sanitario Nazionale, anche la protezione ambientale di fatto era passata nelle mani delle Asl.
Fu un referendum, voluto a gran voce proprio dall’associazione Amici della Terra e promosso dai Radicali, che raccolse più di 700 mila firme, a far mutare le cose. Grazie a questo movimento popolare dal basso le competenze ambientali vennero tolte alle Asl. Si voto il 18 e 19 aprile e questo non fu l’unico quesito referendario a cui gli italiani furono chiamati. Nella due giorni di votazioni infatti ci furono ben otto diversi referendum. Dalla soppressione del ministero del turismo e dello spettacolo, di quello dell’agricoltura e delle foreste e di quello delle partecipazioni statali all’abolizione delle pene per la detenzione ad uso personale di droghe, dal cambiamento dell’elezione del Senato della Repubblica fino al’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. In questo contesto si staglia anche il quesito sull’abrogazione delle norme sui controlli ambientali effettuati per legge dalle USL. Tutti i quesiti vennero votati con il “si” a grandi percentuali, tranne quello sulle sostanze stupefacenti che vide prevalere comunque la risposta affermativa ma con percentuali più ridotte (55% il “si”, 44% il “no”).
A riguardare adesso i dati di quelle votazioni c’è un numero che balza all’occhio: la percentuale dei votanti. Tutti i referendum infatti raggiunsero di gran lunga il quorum, con una partecipazione di oltre il 76%. Gli italiani che andarono alle urne infatti, furono quasi 37 milioni su una platea di quasi 48. Alle ultime elezioni europee del 2024 l’affluenza fu inferiore al 50%.
Il referendum sulle competenze delle USL fu quello che raccolse i maggiori consensi, e, di fatto, tolse le competenze in materia di protezione ambientale al Servizio Sanitario Nazionale. Da qui nacque la legge 61/1994 e proprio sulla base di questa legge nazionale le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano istituirono per prime, con proprie leggi, le Agenzie regionali (o provinciali) per la protezione ambientale (ARPA o APPA).
Come per il Ministero, anche l’Agenzia nazionale ha avuto, nella sua storia, diversi cambi di nome. Inizialmente si chiamava ANPA, cioè Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente. Nel 2001 divenne APAT, cioè Agenzia per la protezione dell’ambiente e i servizi tecnici ed infine, nel 2008, si trasformò nell’attuale Ispra, cioè l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
Ad oggi quindi, a 30 anni di distanza dall’istituzione delle prime agenzie nazionali di protezione ambientale, qual è la situazione? Come abbiamo visto l’attuale forma dell’allora ANPA è l’Ispra, cioè l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Istituito nel 2008 con la legge 133, ha un ruolo di assistenza tecnico-scientifica, di consulenza strategica. Spesso su Il Bo Live abbiamo analizzato i report usciti dall’Ispra, che danno una visione precisa e constante del nostro Paese da più punti di vista.
Sempre per raggiungere questo obiettivo poi, il Parlamento nel 2016 ha varato legge 132/2016 intitolata” “Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. La creazione del SNPA ha di fatto accorpato tutte le 21 Agenzie Regionali (ARPA) e Provinciali (APPA), oltre a che l’Ispra. Il “nuovo” sistema ha compiti di monitoraggio, di controllo, di attività di ricerca e di supporto tecnico-scientifico.
Come scriveva il presidente dell’Ispra Stefano Laporta su Il Bo Live, il “Sistema Nazionale a rete per la Protezione dell’Ambiente rappresenta un’innovazione dell’amministrazione pubblica, per cui le decisioni ambientali assunte a livello politico-amministrativo non devono prescindere da un’adeguata e solida conoscenza scientifica e dal ruolo sostanzialmente decisorio giocato dagli Organi tecnici coinvolti nei processi d’istruttoria, di preparazione di atti e provvedimenti, che altre autorità sono chiamate ad assumere in via definitiva”.
Insomma, a 30 anni dalla fondazione delle Agenzie ambientali, si è deciso di mettere insieme le capacità di coordinamento dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) e la territorialità, le informazioni e i dati ambientali di base e locali delle ARPA/APPA.
Sappiamo che il nostro Paese è fragile dal punto di vista del dissesto idrogeologico, sappiamo che è un Paese di terre alte e che, purtroppo, l’abusivismo è un tema tanto impattante quanto poco politicamente affrontato. Sappiamo anche che le sfide dei fenomeni meteorologici estremi dovuti alla crisi climatica saranno sempre più presenti, è per questo che avere delle agenzie ambientali è divenuto non solo doveroso, ma anche fondamentale sia in ambito preventivo che di studio della situazione.
“La tutela dell’ambiente costringe così a “sacrificare” l’individualismo di ciascuno per la collettività - ha commentato il presidente Ispra Stefano Laporta -, nella quale è possibile realizzare quelle che sono le esigenze dell’identità umana. Conoscere, comprendere e sentire le questioni ambientali in una dimensione di socialità può aiutare a raggiungere quelle scelte politiche necessarie al nostro momento storico. Per cui si può arrivare a spendere una percentuale in più del costo del Prodotto Interno Lordo per la lotta al riscaldamento globale poiché si ha la consapevolezza che se non si agisce la temperatura globale nei prossimi 50 anni potrebbe aumentare oltre i 5°C, evento che, oltre a rappresentare un rischio per l’economia delle nazioni, comporterebbe drammatici effetti negativi sia sulla salute umana sia sulle condizioni di vita e sulla prosperità di milioni di persone che sarebbero costrette ad abbandonare i propri luoghi (anche in Italia). Ondate migratorie a cui assistiamo già da tempo, centinaia e centinaia di migliaia di esseri umani in fuga anche dalla desertificazione e dalla carestia”.