SOCIETÀ

L'accoglienza eterofamiliare da Geel all'Italia: il caso del Piemonte

Ospitereste in casa vostra una persona sconosciuta con disagio mentale? Non è una domanda retorica, perché c’è chi lo fa e con grande entusiasmo, da secoli. Tutto parte da Geel, cittadina delle Fiandre in cui le persone seguite dai servizi di salute mentale vengono ospitate in casa da famiglie che le accolgono e le aiutano a essere parte integrante della società.

Ma l'esperienza belga, che ha una storia plurisecolare, non è unica al mondo e infatti iniziative simili ci sono anche altrove in Europa: come Betreutes Wohnen in Familien in Germania, Accueil Familial Therapeutique in Francia e Shared Lives nel Regno unito. E anche in Italia esistono esperienze analoghe, per esempio in Piemonte c’è il servizio IESA (ovvero Inserimenti eterofamiliari supportati di adulti).


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Il modello piemontese consiste nell’offrire a persone in difficoltà, a causa di disagio psichico o altra fragilità, la possibilità di vivere in un contesto abitativo non istituzionalizzato. Queste persone, seguite dall’azienda sanitaria locale, possono essere ospitate a tempo pieno o parziale da famiglie volontarie, con l’obiettivo di ricostruire una rete sociale e recuperare autonomie che migliorino la qualità di vita. Ospiti e ospitanti possono contare sul sostegno di personale professionista appositamente formato (e reperibile telefonicamente 24 ore al giorno, 7 giorni su 7) per tutta la durata della convivenza. Inoltre, le famiglie volontarie ricevono un rimborso delle spese sostenute per l’accoglienza degli ospiti.

Per capire meglio di cosa si tratta, abbiamo fatto qualche domanda a Gianfranco Aluffi, direttore scientifico del Servizio IESA ASL TO3 - Centro esperto regione Piemonte e del Centro europeo di documentazione e ricerca. Innanzitutto, gli abbiamo chiesto qualche dato per inquadrare le dimensioni di questo servizio, e Aluffi ci spiega che “l’ASL TO3 comprende i comuni della cintura torinese fino ai confini con la Francia (val Pellice e val di Susa), per un bacino di circa 600.000 abitanti, e serve anche ASL che non hanno ancora attivato un servizio IESA”. E poi continua dando le coordinate temporali del servizio che “è attivo dal 1997 con sede a Collegno e in questi anni ha gestito 350 progetti, 47 dei quali attivi in questo momento, selezionando 1494 candidati ospitanti, di cui 75 sono attualmente in banca dati”.

Vorremmo offrire a sempre più persone, anche con difficoltà diverse dal disagio psichico, questa opportunità di cura e inclusione sociale, rispettosa della qualità di vita e sostenibile economicamente. Gianfranco Aluffi, direttore scientifico del Servizio IESA ASL TO3

Per partecipare al programma è necessario fare una selezione

Questa la fotografia attuale, ma l’augurio per il futuro che si fa Aluffi è di “continuare a crescere, per poter offrire a un numero sempre maggiore di persone, anche con difficoltà diverse dal disagio psichico (disabilità, dipendenze, minori provenienti dalla neuropsichiatria infantile…) questa opportunità di cura e inclusione sociale, rispettosa della qualità di vita e sostenibile economicamente per il servizio sanitario. Infatti, con il costo medio di gestione di un progetto residenziale in comunità si possono sostenere almeno tre progetti IESA, a fronte di ottimi risultati terapeutici, riabilitativi e assistenziali”.

Ma quindi chi può entrare a far parte dei progetti IESA? E come funziona il processo con cui si selezionano sia le persone con fragilità psichica sia le famiglie che le vogliono accogliere in casa? Di nuovo è Aluffi che spiega come su entrambi i fronti, ospite e ospitante, sia previsto un “accurato percorso di conoscenza e selezione, che consente di valutare l’idoneità a questo tipo di percorso e di raccogliere informazioni importanti rispetto alle caratteristiche di pazienti e volontari per fare un abbinamento qualitativamente vincente”.

In particolare, è importante che chi si offre volontario abbiano una solida motivazione e un’attitudine all’accoglienza. Infatti, bisogna affrontare un percorso di selezione strutturato in più fasi, con colloqui e una visita domiciliare per valutare gli spazi di vita dei candidati e conoscere eventuali persone conviventi. A questo segue un corso di formazione, sia teorico che interattivo. Se dopo tutti questi approfondimenti la persona candidata è abilitata, viene inserita nella banca dati da cui si attinge per gli abbinamenti.

Anche i potenziali ospiti vengono valutati - come racconta Aluffi - attraverso “colloqui clinici e riunioni: non ci sono esclusioni sulla base di diagnosi o altri fattori anagrafici, ma valutiamo con attenzione quegli aspetti comportamentali critici che potrebbero mettere i volontari in situazioni di rischio o di difficoltà (per esempio, gli agiti aggressivi, la tendenza a commettere reati o l’uso di sostanze illegali)”.


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Similitudini e differenze con la pratica di accoglienza di Geel

Dunque, il sistema piemontese ha alcuni punti in comune con l’esperienza plurisecolare di Geel, ma ci sono anche delle differenze. Soprattutto perché in Italia, gli ospedali psichiatrici sono stati superati in seguito alla legge 180 del 1978 (o legge Basaglia) e l’organizzazione della salute mentale segue oggi un approccio territoriale. Abbiamo cercato allora di capire in che modo il servizio IESA dialoga con gli altri servizi erogati dai Dipartimenti di salute mentale.

È sempre Aluffi a spiegare come il Centro esperto della regione Piemonte sia “una delle opportunità che il Dipartimento di salute mentale offre all’interno del ventaglio di percorsi di cura, si relaziona con il Centro di salute mentale territoriale e con tutte le altre agenzie da cui provengono le persone seguite. La costruzione e l’avvio di un progetto IESA avviene in sinergia con tutte le agenzie coinvolte, che mantengono la presa in carico e l’attiva partecipazione al progetto anche dopo l’inizio della convivenza supportata”.

Un ultimo aspetto interessante messo in evidenza da Gianfranco Aluffi è che questo modello si può replicare anche altrove nel nostro paese, e infatti conclude dicendo che: “in questi 27 anni ho formato numerosi operatori sul territorio italiano e contribuito all’apertura di diversi servizi in Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Toscana e Puglia. Quindi posso affermare con certezza che il modello è replicabile, anche se al momento non può ancora contare su una normativa nazionale, un passo importante che stiamo cercando di raggiungere per facilitare la diffusione di un modello di comprovata efficacia ancora sottoutilizzato in Italia”.

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