SOCIETÀ

Sotto il coltello del “Capitalismo carnivoro”

Non è un segreto per nessuno che il petto di pollo o le fettine di lonza che compriamo al supermercato non provengano da pennuti starnazzanti e rosei suini che hanno trascorso la vita razzolando felici in una bucolica fattoria in stile Babe, maialino coraggioso. Ormai è risaputo come l’intera filiera di produzione della carne, dagli allevamenti intensivi, al trasporto degli animali, fino alle fasi della macellazione e del confezionamento dei loro corpi sia parte di un vero e proprio processo industriale. Lo sappiamo, in teoria. Ma, in pratica, lo ignoriamo. Fingiamo di non vedere, cerchiamo di non pensarci e ci riusciamo benissimo. Ogni fase del sistema di produzione risponde a una precisa logica di occultamento della crudeltà studiata per risparmiarci il fastidio di confrontarci con una realtà dura da accettare: quello che abbiamo nel piatto aveva un muso, degli occhi, dei pensieri e dei sentimenti; ciononostante, tutta la sua (breve) vita e, soprattutto, la sua morte, sono state organizzate dal principio alla fine con l’unico scopo di riempire, se tutto va bene, il nostro stomaco. Altrimenti, il secchio della spazzatura.

Capitalismo carnivoro (Il Saggiatore 2022) di Francesca Grazioli, è un sorprendente viaggio nell’industria della carne, a partire dal valore antropologico e culturale che questo alimento ha assunto durante tutta la storia umana, alle logiche capitalistiche che ne hanno trasformato il significato, all’insostenibilità ecologica dei processi di produzione, fino alla crudeltà, in tutte le sue forme, che accompagna ogni fase della filiera produttiva.

Ciò che mangiamo, che non mangiamo, che cuciniamo e come lo cuciniamo dice molto di noi, di chi siamo, della nostra provenienza e del posto che occupiamo nella società. L’articolato sistema di codici culturali e sociali legati al cibo si complica ulteriormente quando si tratta della carne, che, come sottolinea Grazioli, rappresenta l'unico alimento che ci costringe a confrontarci con i cicli della vita e della morte, nonché con la nostra prevaricazione sulle altre specie viventi. La carne, d’altronde, assume da sempre significati spirituali ben precisi nelle diverse culture e religioni che ne regolamentano il consumo.

La carne è dunque un luogo, un sito poroso dove le identità mutano, dove la politica trova un riverbero, dove la razza, il genere, l’etica, la religione e la sessualità si mescolano, rivelandosi a tempi alterni Francesca Grazioli, “Capitalismo carnivoro” (Il Saggiatore 2022)

Nella società consumista e globalizzata di oggi, la carne ha perso, almeno in parte, quell’aura di sacralità che l’avvolgeva, passando dall’essere un cibo di élite, o comunque delle “grandi occasioni”, a ingrediente base dei più banali spuntini a basso costo. Oggi il consumo pro capite di proteine animali è doppio rispetto a sessant’anni fa. Allo stesso modo, rispetto al secondo dopoguerra, è duplicata la produzione di carne di manzo, quadruplicata quella di maiale e aumentata di ben dodici volte quella proveniente da volatili.

Il motivo di questa trasformazione dell’industria della carne è dovuto alle logiche capitaliste che si sono insinuate al suo interno, instaurando così un circolo vizioso tra l’aumento della richiesta, l’aumento dell’offerta, l’abbattimento dei costi di produzione (dovuto alla meccanicizzazione della macellazione e all’aumento della produttività) e il calo dei prezzi di vendita. Questo sistema ha reso l’industria della carne in grado di espandersi nei mercati di tutto il mondo, rendendo il suo prodotto accessibile a ogni fascia di popolazione in ogni angolo del pianeta.

Sulla base di queste logiche ha preso vita un intero sistema mirato unicamente al profitto e a una crescita teoricamente infinita, in cui le uniche relazioni che contano sono quelle economiche e in cui non c’è spazio per il rispetto di diritti animali, umani o ambientali. Basta guardare agli allevamenti intensivi, progettati per massimizzare la resa rispetto ai costi e alle risorse disponibili: spazi sempre più angusti, animali da rimpinzare senza sosta per far raggiungere loro le dimensioni desiderate nel più breve tempo possibile, progettazione di ogni momento della loro esistenza per controllare gli accoppiamenti e le nascite.

Come se non bastasse, il modello di sviluppo in questione si ripercuote negativamente anche sulla maggior parte dei lavoratori impiegati nei settori alla base della filiera, in primis gli allevatori, i quali non hanno alcun potere contrattuale di fronte alle grandi aziende che assegnano loro i capi da allevare e che sono pronte ad abbandonarli senza troppi complimenti qualora ciò risulti più vantaggioso dal punto di vista economico.

Ogni fase dei processi di produzione dettati dalle logiche di mercato in questione contribuisce non solo a esacerbare le disuguaglianze economiche, ma anche a peggiorare la crisi climatica: sia gli allevamenti che l’agricoltura (in particolare, quella che garantisce il fabbisogno alimentare degli animali destinati al macello) intensivi sono insostenibili dal punto di vista ambientale. Mentre i primi producono più di un terzo delle emissioni di gas metano a livello globale, la seconda è causa di deforestazione, perdita di biodiversità, impoverimento dei terreni e inquinamento del suolo e delle acque dovuto all’uso dei fertilizzanti chimici.

La domanda che sorge spontanea pagina dopo pagina è “allora, come se ne esce?” Spezzare la catena è tutt’altro che facile, considerando che l’industria della carne non si arricchisce solo grazie alla produzione di questo alimento, ma anche tramite complesse dinamiche di lobby attraverso le quali i capi del settore riescono a intromettersi a vario titolo nelle istituzioni politiche per assicurarsi, ad esempio, che vengano garantiti fondi statali alla propria industria o che non vengano veicolati troppi messaggi contro il consumo di carne nella comunicazione sanitaria.

Per questo motivo, come sostiene Grazioli, non basta affidarsi ai singoli cittadini – i quali pure sono stati “incastrati” in un sistema di sviluppo capitalista e consumista che lascia poco scampo – per promuovere il cambio di paradigma che sarebbe necessario; questa, però, non è comunque una buona scusa per nascondere la testa sotto la sabbia e negare le nostre responsabilità.

La soluzione potrebbe giungere da un hamburger coltivato in laboratorio? O da un radicale ripensamento dell’intero sistema industriale neoliberista? Questo è tutto da scoprire: l’opera di Grazioli non ha lo scopo di modificare le nostre convinzioni personali, né tantomeno le scelte di vita alimentari; sta infatti a ognuno di noi, in quanto membro di una comunità globale, chiedersi da dove dovrebbe avere inizio questo cambio di prospettiva a livello individuale e comunitario.

“Capitalismo carnivoro” è tra i cinque finalisti del premio Science book of the year, alla sua prima edizione. La premiazione avverrà il 24 settembre 2023 durante il festival Trieste Next.

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