SCIENZA E RICERCA

Sparatorie di massa negli Stati Uniti: per capirle serve un approccio multidisciplinare

21 omicidi di massa, più di uno a settimana. 409 morti in 284 sparatorie. Più di mille feriti. I numeri che avete letto si riferiscono agli Stati Uniti e solamente al 2023. A raccoglierli è stato il portale mass shooting tracker che da anni traccia una panoramica sul tema. 

Il tema delle armi negli USA sembra essere un problema mai risolto che riguarda la quotidianità di quella nazione. I motivi sono molti e radicati nel tempo ma uno studio pubblicato su PNAS ne evidenzia uno, particolare. Rayan Succar, primo firmatario della ricerca, e soci hanno cercato di capire qual è il modus operandi di chi commette queste sparatorie, se c’è un filo conduttore tra di loro ed in particolar modo tra quelli che attraverso queste azioni cercano “fama”.

Sono stati presi in considerazione i dati di 189 diverse sparatorie di massa accadute dal 1966 al 2021. Tali attentati sono stati classificati dai ricercatori in base alla popolazione presa di mira e luogo in cui sono accaduti. Di questi eventi è stata misurata quella che gli scienziati hanno chiamato la “surprisal”, cioè quello che viene definito come contenuto informativo di Shannon. Questo è stato misurato di fatto calcolando il traffico di Wikipedia di tali stragi.

Il risultato è stato che questo era decisamente più alto in quegli eventi in cui i killer cercavano fama. Insomma, sembrerebbe esistere una forte correlazione non solo tra la ricerca di fama e la surprisal negli attacchi, ma anche una chiara associazione tra la fama di una sparatoria di massa e la sua sorpresa.

La violenza di massa e le sparatorie di massa sono influenzate da diversi fattori, tra le quali ci sono le ideologie estreme, le condizioni di salute mentale e i conflitti interpersonali di chi attua tali stragi. Uno dei tratti meno studiati però è appunto la ricerca della fama.

C’è un esempio concreto, tra i tanti, che viene identificato come un chiaro killer “ricercatore di fama” ed è quello dell'autore della sparatoria al Rose-Mar College of Beauty, del 12 novembre 1966. “Volevo farmi conoscere, volevo solo farmi un nome” erano state le sue parole. Gli studi sui “cercatori di fama” sono stati diversi negli anni. Tra questi gli autori della ricerca citano gli studi di Lankford che giunse alla conclusione che alcuni killer fossero spinti dal desiderio di "rispondere al loro fallimento nel raggiungere il successo cercando fama e gloria attraverso le sparatorie", oppure uno studio sempre di Lankford e Madifs dove i ricercatori sono partiti da un legame tra il disturbo narcisistico e le sparatorie (osservato da Bushman), arrivando poi alla conclusione che "i narcisisti spesso vogliono essere al centro dell'attenzione e sono disposti a usare l'aggressività per proteggere il loro ego”.

Una conclusione che fa capire come le sparatorie siano di fatto dei palcoscenici su cui si accende l’attenzione dei media. Un altro studio, di Silva e Greene-Colozzi, chiamato “Fame-seeking mass shooters in America: Severity, characteristics, and media coverage“ ha messo in luce come gli autori di stragi in cerca di fama tendano ad essere "giovani studenti bianchi, con segnali di malattia mentale e tendenze suicide”. Altre ricerche poi hanno focalizzato l’attenzione sulla pericolosità di tali autori. Diversi studi infatti hanno indicato una maggiore letalità killer di massa in cerca di fama rispetto ad altri autori di stragi di massa. Una letalità che Lankford spiega con un assioma tanto chiaro quanto inquietante: “più vittime uguale più attenzione nella strage”.

Lo stesso ricercatore nel 2018, nel suo “Identifying Potential Mass Shooters and Suicide Terrorists With Warning Signs of Suicide, Perceived Victimization, and Desires for Attention or Fame” suggeriva come il desiderio per la ricerca di attenzioni potesse essere un tratto identificativo concreto per scoprire i killer prima che commettano l’azione. Un modo quindi per identificarli e prevenire la strage. Insomma la ricerca di fama dietro a dei veri e propri attacchi terroristici con diverse vittime è tema studiato e dibattuto. La ricerca di Rayan Succar e soci ha analizzato 189 diverse stragi delle quali è stata osservata, oltre al numero di decessi e il luogo, anche la “fama”. Per farlo i ricercatori hanno utilizzato la mediana delle serie temporali del traffico giornaliero nelle pagine di Wikipedia riferite all’evento. Complessivamente sono stati raccolti dati di 86 pagine in totale, per 77 sparatorie di massa. Delle 189 sparatorie, 100 non avevano una pagina Wikipedia e 12 avevano pagine Wikipedia non disponibili su “WikiShark”, lo strumento online che permette l'estrazione dei dati di traffico di Wikipedia. 

Le sparatorie più "cliccate"

La sparatoria di massa più famosa, quindi più “cliccata” è stata la strage alla Columbine High School del 1999 ( 5387,0 visite medie al giorno), seguita dalla sparatoria alla Sandy Hook Elementary School del 2012 (2204,5 visite medie al giorno) e dal massacro della Strip di Las Vegas del 2017 (2193,0  visite medie al giorno). La sparatoria meno “famosa” invece è stata quella della Day-trading firm del 1999 (con 0 visite mediane al giorno), seguita dalla sparatoria al Jack Springs Park del 1982 (3 visite medie al giorno) e dalla sparatoria della Western Transfer Co. del 1982 (sempre con 3 visite medie al giorno).

L’obiettivo dello studio però era anche quello di capire se i killer di massa in cerca di fama cercassero anche di diversificare i loro attacchi rispetto ad azioni accadute precedentemente. Per farlo, come abbiamo visto precedentemente, i ricercatori hanno utilizzato una misura teorica dell'informazione chiamata sorpresa o contenuto informativo di Shannon. Il risultato è stato che le sparatorie di massa fatte da chi cerca la fama sono più “impattanti” di quelle commesse da chi non cerca attenzioni. Più impattanti in termini di scelta dei bersagli, del luogo dell'attacco e della comunicazione della sparatoria. 

Una ricerca che, a detta degli stessi autori, presenta però dei bias. In primis non sono stati considerati gli attacchi falliti, e poi la misura del traffico sulle pagine wikipedia è per forza di cose una misura riduttiva. Altri studi in passato avevano tentato di misurare la fama partendo dai dati di "Google hits". Avevano cioè osservato il numero di pagine Web restituite dopo aver cercato su Google un termine specifico. Un approccio interessante ma che include anche tutte quelle pagine che di fatto sono irrilevanti e che sono solitamente in numero maggiore di quelle invece rilevanti ai fini della ricerca. Un secondo approccio poi era stato quello di Silva e Capellan, che avevano utilizzato solamente i dati storici del New York Times. Un approccio riduttivo che vedrebbe l’attendibilità inficiata anche dal fatto che i casi più recenti potrebbero avere meno risultati rispetto ai passati. Insomma trovare una metrica perfetto in questo caso è piuttosto difficile. L’analisi di Succar e soci però è un buon punto di partenza per capire qualcosa in più su un argomento che dev’essere necessariamente studiato con un approccio multidisciplinare.

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