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Sport e riabilitazione: in dragon boat con le Ugo contro il cancro al seno

Sono vestite in tessuto tecnico rosa acceso, quel tessuto brillante che si asciuga in fretta, perché, anche se non temono di rovesciare la barca nel fiume dove si allenano, le loro pagaie si muovono rapide e sollevano l’acqua, e bagnano le braccia, i capelli, le gambe. E a volte piove, ma in acqua, sul drago, si esce comunque. D’altra parte, ancora, quando le gare sono sul Garda, cadere nel lago non è esattamente un’opzione trascurabile.

Ma loro sono lì, combattive e sorridenti, affaticate e piene di vita. Si chiamano tutte Ugo, anche se sulla schiena, nero su rosa, hanno scritto il loro proprio nome. U.g.o. sta per "Unite gareggiamo dovunque" ed è il nome di una squadra di dragon boat formata da donne operate al seno in seguito a una diagnosi di cancro, rinate come gruppo sportivo, ma anche d’amicizia e aiuto, grazie all’associazione Arcs dell’Università di Padova, alla società Canottieri Padova e all’Istituto oncologico veneto. Solcano il Bacchiglione veloci a bordo della loro canoa da venti posti, battezzata “Nedda” in ricordo di una compagna che non ce l’ha fatta ma che rimane con loro sul fiume, sempre.

Le Ugo fanno parte del grande movimento internazionale di “donne in rosa”, che hanno trovato beneficio nella pratica del dragon boat, come mezzo di riabilitazione non solo fisica e funzionale, ma anche psicologica, emozionale e spirituale. «L’attività fisica ha un effetto positivo sul sistema immunitario ed è quindi consigliabile a chi abbia subito delle terapie per il tumore» commenta Antonio Paoli, delegato dell’Università di Padova per sport e benessere. «Sempre più spesso negli ultimi anni l’evidenza scientifica ci dimostra che lo sport può essere utile in diverse patologie, perché non esercita solo un’azione sul muscolo o sull’apparato cardiovascolare, ma rilascia anche in circolo numerose sostanze positive per l’organismo».

Le Ugo Padova. Riprese e montaggio di Elisa Speronello

La letteratura scientifica su questo argomento sta aumentando, con rilevanti contributi anche da parte di ricercatori italiani, che non mancano di mettere in risalto il duplice contributo di questo sport al benessere della persona. Non a caso, due ricercatori dell’Università di Cagliari, Marco Guicciardi e Ilaria Frau, hanno unito le loro diverse esperienze di studio in psicologia e scienze motorie per elaborare la ricerca Il dragonboat come significativa esperienza di supporto tra pari per donne sopravvissute al cancro al seno; in questo studio, fra l’altro, si sottolinea il cambiamento di prospettiva che negli ultimi anni ha accompagnato la vita post-operazione delle donne guarite: se un tempo queste persone venivano ammonite dal fare attività fisica, che si associava al rischio di sviluppo di linfoedema, oggi diversi studi avvalorano «l’esercizio fisico vigoroso, ripetitivo», che «non provoca o peggiora un linfoedema pre-esistente: viceversa influenza positivamente la qualità della vita e migliora il benessere delle persone con cancro al seno».

Le Ugo, come le altre squadre agonistiche della loro categoria, non si limitano però a fare “esercizio fisico”, perché quello che praticano è davvero uno sport impegnativo. Su questo punto, Antonio Paoli sottolinea: «Fare attività fisica e fare sport sono cose diverse: mentre l’attività fisica ha effetti molecolari, lo sport ha anche effetti sociali e aggregativi. Un caso emblematico di questo è il chiaramente il dragon boat, che qui a Padova si è evoluto fino a vedere la nostra squadra gareggiare in competizioni internazionali. Questo sport, nello specifico, esercita numerose azioni a favore delle donne operate al seno: quella più evidente, di tipo fisico e medico, è il fatto che la contrazione ritmica degli arti superiori aiuta il ritorno linfatico. Sappiamo infatti che nel caso di operazioni al seno l'intervento si attua anche a livello dei linfonodi, interrompendo così il circuito linfatico: la contrazione ritmica del muscolo aiuta però a ridurre il gonfiore, quindi a mantenere in perfetto assetto la parte superiore del corpo. Non scordiamo l’aspetto psicologico: il fatto di lavorare insieme per uno stesso obiettivo, di trovarsi e allenarsi insieme provoca effetti assolutamente positivi. E sappiamo come la psiche intervenga in modo importante in questo tipo di riabilitazione».

Sport e riabilitazione: il commento di Antonio Paoli. Riprese e montaggio di Barbara Paknazar

Il movimento delle canoiste in rosa ha assunto popolarità in ambito oncologico a partire dal 1996, quando il medico dello sport Don Mc Kenzie costituì l’equipaggio Abreast in a Boat, composto da 24 donne canadesi tutte operate al seno per tumore. Oggi sono circa duecento le squadre di donne in rosa nel mondo, fra le quali una trentina sono italiane. Nel 2003 l’Italia del dragon boat in rosa ha gareggiato per la prima volta nel campionato mondiale a Shangai, e le Ugo, di recente ricevute a Palazzo Madama nell’ambito dell’incontro “Quando una malattia non può impedire di tornare a sorridere”, hanno conquistato il secondo posto assoluto in Europa e il diciassettesimo al mondo nel corso delle competizioni iridate svoltesi per la prima volta in Europa, a Firenze, nel 2018. Il prossimo obiettivo più grande delle nostre atlete è fissato al 2022: l’IBCPC Dragon Boat Festival, campionato mondiale di categoria che si terrà in Nuova Zelanda e per partecipare al quale la squadra è ora a caccia di sponsor.

Questa avventura le Ugo l’hanno affrontata e continuano a inseguirla assieme al loro allenatore Michele Galantucci, oro mondiale per il dragon boat italiano ad Atlanta 2018, assieme ai suoi due collaboratori Alberto Colangelo e Sergio Lovison, anch’essi atleti azzurri iridati in forza alla Canottieri Padova. E pochi giorni fa all’Università di Padova è stata presentata la tesi di laurea L’infermiere educatore e promotore di salute: il Dragon Boat nelle donne operate di tumore al seno, in cui le protagoniste sono ancora le U.g.o.: il neolaureato a pieni voti è Francesco Maria Nicoletto, atleta di dragon boat e “figlio d’arte”, perché la madre è proprio una delle donne in rosa padovane. Le ha seguite, intervistate, ha vissuto dei racconti di questo “gruppo orientato alla vita, anziché alla malattia”.
Non resta che seguirle anche noi, in un percorso gioioso, anche se non privo di ostacoli.

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