SOCIETÀ

La Strategia Forestale Nazionale e i nuovi mercati del legname

Il patrimonio forestale italiano si estende per circa 11 milioni di ettari, più di un terzo della superficie nazionale, percentuale che supera il 50% in alcune Regioni e province autonome. Circa un terzo delle foreste italiane (3,5 milioni di ettari) rientra nelle aree protette dei Parchi nazionali e regionali e della Rete Natura 2000. Per le loro caratteristiche geografiche, geomorfologiche, geologiche e climatiche, le foreste italiane sono ricche di una diversità biologica, paesaggistica e culturale che non ha eguali in Europa.

Lo scorso 9 febbraio è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Strategia Forestale Nazionale (SFN), un documento strategico di indirizzo nazionale e a supporto delle amministrazioni centrali, regionali e delle province autonome, volto a indirizzare la gestione sostenibile del patrimonio forestale italiano.

“La Strategia Forestale Nazionale è uno strumento adottato a beneficio del patrimonio forestale italiano, nell’interesse collettivo. La sua missione sarà di portare il Paese ad avere foreste estese e resilienti, ricche di biodiversità, capaci di contribuire alle azioni di mitigazione e adattamento alla crisi climatica, offrendo benefici ecologici, sociali ed economici per le comunità rurali e montane, per i cittadini di oggi e per le prossime generazioni. La Strategia Forestale Nazionale incentiverà la tutela e l’uso consapevole e responsabile delle risorse naturali, con il coinvolgimento di tutti, in azioni orientate dai criteri della sostenibilità, della collaborazione e dell’unità di azione” si legge nel documento.

Il processo di riforma della gestione del patrimonio forestale italiano è iniziato nel 2016, è continuato con l’approvazione nell’aprile 2018 del Testo Unico in materia di Foreste e Filiere Forestali (TUFF), mentre nel 2019 c’è stata la pubblicazione del primo Rapporto sullo Stato delle Foreste in Italia. Nello stesso anno sono iniziati i lavori per la SFN. Dopo una fase partecipata di consultazione pubblica che ha portato a quasi 300 commenti alla bozza del testo, il gruppo di lavoro presieduto da Davide Pettenella, professore di economia forestale all’Università di Padova, ha integrato i contribuiti degli esperti e delle parti coinvolte, ottenendo infine anche l’approvazione di 4 ministeri (Politiche Agricole, Economia, Sviluppo Economico e Transizione Ecologica). Lo scorso 9 febbraio il testo definitivo è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e avrà validità ventennale, con verifiche quinquennali.

La SFN ha dovuto tener conto di una serie di documenti dell’Unione Europea come la Farm to Fork, la Strategia Forestale Europea, la Strategia per la Biodiversità e molti altri, creando una sintesi che valorizzasse il patrimonio forestale italiano e mettendo quest’ultimo nella posizione di contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici, ambientali, di tutela della biodiversità e di sviluppo socio-economico sostenibile sottoscritti dall’Italia in sede europea e internazionale.

“Il tema più importante e più difficile da affrontare è stato quello di trovare la logica per un bilanciamento di questi diversi obiettivi” spiega Davide Pettenella. “Oltre alla tutela ambientale, le foreste esercitano una funzione produttiva e una funzione sociale molto significativa dato che la maggior parte si trova in aree montane in ritardo di sviluppo”.

La SFN è strutturata in 3 obiettivi generali (sostenibilità, efficienza e responsabilità) e 3 gruppi di azioni (operative, specifiche e strumentali) volte a realizzarli. L’orizzonte temporale di 20 anni è quello giusto secondo Pettenella, “perché segue le dinamiche dei boschi e non quelle estremamente accelerate del mercato dei prodotti forestali, principalmente dominato dal mercato del legname”.

Biodiversità

“Le foreste sono l’infrastruttura verde per eccellenza che abbiamo in Italia, sono gli ecosisistemi più ricchi di biodiversità. Non solo l’Italia è un Paese montano e gli italiani non se lo ricordano, è anche un Paese forestale e gli italiani non lo sanno: abbiamo tre volte la superficie forestale dell’Austria e in termini relativi una copertura forestale superiore alla Germania e alla Francia” ricorda Pettenella. L’Italia infatti tra i Paesi dell’Unione Europea è quello che ha il maggior livello di biodiversità: ha formazioni forestali tipiche dei Paesi scandinavi, ma anche vegetazione tipica del Nord Africa. La diversità ambientale si riflette poi sul patrimonio sociale, culturale e paesaggistico. “È per questo che le soluzioni di gestione del patrimonio non possono che essere locali, calate nel territorio, con il consenso in primis della popolazione che sul territorio vive”.

Funzione climatica

Le foreste esercitano un’importantissima funzione climatica con l’assorbimento della CO2 dall’atmosfera. “Sono degli straordinari magazzini di carbonio: più del 10% delle emissioni antropiche nazionali sono compensate dalle dinamiche di crescita del bosco. Sebbene a livello normativo esista un costo per le emissioni del carbonio, al momento non esistono forme di compensazione per chi opera per assorbirlo, anche se la Commissione Europea ci sta lavorando e arriverà entro la fine del 2022 ad approvare un Regolamento per ricompensare le attività agricole e forestali che portano a una fissazione di carbonio”.

Manutenzione e sostenibilità economica

Sebbene esistano foreste in salute che possono essere accompagnate verso un processo di rewilding, spiega Pettenella, ne esistono tante che per secoli sono state semplificate ed esposte a fattori di degrado, come incendi ma anche attacchi parassitari: dopo Vaia nei boschi del Nord Italia si è diffuso il bostrico, un insetto che attacca soprattutto l’abete rosso. “Queste foreste devono essere soggette ad attenti interventi di manutenzione, spesso costosi: diradamenti, puliture, introduzione di specie più adatte alle nuove condizioni climatiche, riduzione del legno morto per limitare i rischi di incendi”. La disponibilità di legname nelle foreste mature può però anche venire valorizzata economicamente. “Le cure colturali non devono essere un costo per chi le fa (a macchiatico negativo, come si dice), ma anzi devono produrre un qualche reddito (diventando a macchiatico positivo, dunque). Così riusciamo a mantenere la doppia funzione di produzione e di offerta di servizi di valore ambientale”.

Una foresta con un buon livello di gestione può quindi fornire una serie di servizi ecosistemici preziosi e insostituibili come l’assorbimento delle emissioni di carbonio, la produzione di materia prima, la preservazione del ciclo dell’acqua e molti altri. “Ma per mantenerla in salute è necessaria un’attività di manutenzione che deve essere economicamente sostenibile”.

Mercato del legname

I livelli attuali di consumo globale di legname sono superiori ai 3 miliardi di metri cubi annui; al 2030 le previsioni sono di 8,5 miliardi e al 2050 di 13 miliardi, si legge nella SFN. Oltre a un incremento del consumo di prodotti del legno nel settore delle costruzioni, è prevista una crescita di domanda di legname nel settore energetico e un aumento del ricorso alle biomasse in alcuni settori innovativi della bioeconomia, come biotessile, bioplastiche e la chimica verde. L’aumento della domanda di legname potrebbe portare a una crescente dipendenza dall’estero, generando tra l’altro problemi di degrado delle risorse nei Paesi esportatori. Per questo è fondamentale valorizzare il patrimonio nazionale, sostiene Pettenella.

Lo sviluppo della bioeconomia apre infatti nuove domande di biomasse, come nel settore tessile, fa notare Pettenella. “Nel settore tessile il 70% delle fibre tessili, ovvero gli acrilici, sono prodotte a partire dal petrolio. In ottica di decarbonizzazione (che vale non solo per il settore energetico) dovremo sostituire risorse fossili con materiali ottenuti a partire da biomasse legnose. L’alternativa agricola, ovvero il cotone, è problematica, perché è una coltivazione che richiede molti prodotti chimici con impatti notevoli in Paesi come India, Brasile, Pakistan. Lo stesso ragionamento lo possiamo applicare alle bioplastiche e al settore degli imballaggi”.

Le foreste producono legname a uso industriale e a uso energetico, termico soprattutto: legna da ardere, cippato o pellet. “Questo utilizzo però non genera valore economico, né significativi aumenti dei posti di lavoro ed effetti di ricaduta industriale. Le biomasse energetiche dovrebbero essere prodotte “a cascata” rispetto ad altri impieghi del legname, in altri termini prodotti riciclati e materiali secondari di altre linee di produzione a maggiore valore aggiunto. Abbiamo necessità di sostituire materiali ad alta intensità energetica con risorse rinnovabili nel settore edilizio: utilizziamo il legno! Ce lo dice anche l’Unione Europea con l’iniziativa della New Bauhaus che promuove gli edifici a basse emissioni. Ridisegniamo la casa del futuro intorno alle rinnovabili e al legno. Questo significa tra l’altro aumentare la vita media della capacità di stoccaggio di carbonio della foresta, portandola fuori dalla foresta. Ma significa anche attivare nuovi settori industriali e occupazione, a partire dalle aree marginali. E significa rendere disponibili “a cascata” residui e scarti di legno: quando lavoriamo il tronco di una conifera abbiamo il 30%-40% di materiali di scarto; è questo il legname che dobbiamo utilizzare a fini energetici. Uno degli slogan della SFN infatti non è produrre di più, ma produrre meglio, che significa valorizzare al meglio le nostre risorse”.

Nel settore della bioedilizia l’Italia sta facendo passi avanti, ma resta distante dalla penetrazione che il settore ha avuto nei Paesi nord-europei. Nel settore del mobile invece da tempo l’Italia occupa una posizione apicale (anche se ha perso il primato mondiale nell’export), “perché abbiamo saputo costruire mobili di qualità a partire da materie prime molto povere” spiega Pettenella. “In Italia il 60% dei prodotti legnosi a fine ciclo di produzione sono recuperati per la produzione di pannelli. Ma siamo anche in grado di produrre mobili in massello, con legname di alta qualità. In futuro il legname di qualità verrà da foreste ben gestite, che dovrebbero essere certificate come tali, anche per offrire garanzie ai consumatori. C’è da dire che in questo campo siamo ancora indietro, per via della frammentazione fondiaria della proprietà privata e per il fatto che la proprietà pubblica è prevalentemente comunale, e i Comuni hanno altre gatte da pelare in questi ultimi anni”.

Un aspetto di cui tener conto è che la domanda di legname a livello globale si sta spostando verso legname di piccole dimensioni, di bassa qualità, ammonisce Pettenella. “Questo è un problema, perché la nostra selvicoltura è e deve essere sempre più una selvicoltura di qualità, orientata a produrre legname di grandi dimensioni. Forse dovremo ripensare le politiche legate alle piantagioni, soprattutto con specie a rapida crescita, e ad alcuni dei boschi cedui. Questo ovviamente comporta una capacità di governance molto avanzata: scegliere quali cedui trasformare in formazioni più ricche e con turni più lunghi e quali mantenere sotto una gestione intensiva a turni più brevi”.

Economia circolare

A proposito dei boschi cedui, Pettenella sottolinea che ad oggi consumiamo a fini energetici una quantità sproporzionata di legname proveniente da questi boschi. “Questo consumo è importante dal punto di vista sociale, è collegato a piccole utenze famigliari in aree montane, circa un quarto delle famiglie italiane ha apparecchi di riscaldamento a base di biomasse (legno, pellet e cippato). Ma il livello di efficienza di gran parte di questi 9 milioni di apparecchi termici è bassissimo. Abbiamo una normativa che sostiene l’efficientamento energetico dei dispositivi di riscaldamento a biomasse e qui c’è una possibilità di recupero incredibile: potremmo produrre la stessa quantità di energia termica con molta meno materia prima, liberandola per altri impieghi industriali nella logica della bioeconomia che sta crescendo. Sotto una governance intelligente, sono molte le possibilità di ridirezionare il flusso delle nostre risorse legnose per creare un’economia sana”.

Governance e soluzioni

Data la ricchezza e la diversità del patrimonio italiano, le soluzioni vanno calibrate su scala locale, ma è fondamentale anche mettere in comunicazione e in cooperazione tra loro le realtà locali. “La SFN propone diverse soluzioni, tenendo presente che è un documento quadro e le soluzioni vanno poi implementate a livello regionale. La prima è quella dell’associazionismo: coordinare i Comuni in modo che creino consorzi che consentano la creazione di economie di scala, che permetta l’assunzione di un tecnico forestale per gestire con continuità le attività di manutenzione delle attività forestali. Un’altra soluzione può essere quella di affidare a terzi la gestione di alcune operazioni: perché vendere ogni anno con un’asta piccole quantità di legname in piccoli lotti? Dal momento in cui i Comuni hanno piani di gestione almeno decennali, si potrebbero fare con una sola asta piani dei tagli di 5 anni, affidati a un’azienda che a quel punto si lega al territorio, può fare investimenti, qualificare i propri operai forestali, responsabilizzarsi rispetto a quel contesto territoriale e stabilizzarsi”.

Funghi, castagne e tartufi

Pettenella ricorda inoltre che l’economia forestale non è solo economia del legno. “In Italia ci sono almeno un paio di regioni, Umbria e Marche, dove sappiamo che il valore della produzione di tartufi è superiore a quello del legname. Abbiamo poi le castagne, il sughero, le erbe aromatiche, i mirtilli, i lamponi. E i funghi: questi ultimi hanno sia un valore come servizio commerciale sia come servizio ricreativo. In università abbiamo verificato che uno dei criteri di scelta per il luogo delle vacanze estive delle famiglie è la possibilità di andare a raccogliere funghi. Ovviamente non pensiamo che un Comune di montagna si possa reggere intorno all’economia del fungo o del mirtillo, ma può trovare forme contrattuali più adeguate per coinvolgere la società civile e le imprese per valorizzare queste risorse. Abbiamo esempi già realizzati di cooperative di comunità o consorzi che fanno sì che il prodotto forestale funga da prodotto-immagine per la località: ‘la regione del tartufo bianco’, ‘la strada del porcino’. L’esperienza turistica offerta si viene a basare su un soft turism che porta le persone a camminare nei boschi, a fare esperienza diretta degli ambienti naturali, migliorando il proprio benessere fisico e psichico”.

Il ruolo del pubblico

Infine secondo Pettenella andrebbe rivisto il modo in cui il settore pubblico investe in servizi ambientali. “Secondo un recente lavoro del CREA, per ogni 100 euro di valore aggiunto nel settore agricolo, 33 euro provengono da sovvenzioni pubbliche. Nel settore forestale non si raggiungono i 2 euro. Penso che sia necessaria una maggiore responsabilizzazione del settore pubblico in termini di investimenti per sostenere l’offerta di servizi ambientali. In passato una soluzione molto frequente è stata quella della gestione diretta da parte dello Stato delle risorse forestali, anche con l’impiego di decine di migliaia di operai forestali. Questa non è stata in genere una scelta efficiente. Con i fondi del PNRR e in genere con l’espansione della spesa pubblica, nei prossimi anni c’è il rischio di ripercorrere questa strada dell’impegno diretto dello Stato nell’economia forestale. Serve invece attivare un rapporto di collaborazione con le componenti dell’economia civile e le imprese locali dando a questi attori la responsabilità della gestione del patrimonio forestale”.

Monitoraggio e indicatori

La SFN avrà durata ventennale, ma ogni 5 anni sono previsti monitoraggi per capire se si sta andando nella direzione giusta. “Dobbiamo migliorare la capacità di rilevare statistiche sul valore del capitale naturale e dei servizi ecosistemici senza mercato. Non si possono verificare le politiche se non abbiamo una aggiornato quadro di informazioni. È poi necessaria un’azione di comunicazione, divulgazione e formazione sul valore delle foreste. Se guardiamo ai dati della contabilità nazionale vediamo che il valore aggiunto del settore forestale nazionale è 2500 milioni di euro, meno dello 0,1% del valore aggiunto dell’economia italiana. Da questi dati sembrerebbe che la gestione delle foreste non abbia la capacità di produrre ricchezza. Ma non è assolutamente così”, sostiene Pettenella. Dipende da cosa consideriamo come ricchezza: “pensiamo alla fissazione del carbonio, la regolazione del clima e del ciclo dell’acqua, la conservazione del paesaggio, le attività turistiche, educative, culturali che realizziamo grazie alla presenza di boschi. La dimensione economica c’è ma non viene considerata. Si pensi alla tempesta Vaia nel 2018, il singolo più grave episodio di perdita di capitale naturale mai avvenuto in Italia. I dati della contabilità nazionale non registrano questa perdita. Questo significa che non abbiamo gli strumenti nemmeno per cogliere i fenomeni più gravi ed eclatanti. Questo vale per la riduzione del capitale naturale, ma anche per i processi positivi di crescita delle foreste e dei servizi che esse offrono”.

Puntare sul capitale sociale

In base all’ultimo Inventario forestale del 2015 il patrimonio forestale nazionale è cresciuto di 500.000 ettari negli ultimi 10 anni. “Questo è certamente un buon segno, ma il fenomeno è principalmente dovuto all’abbandono dei terreni agricoli di montagna. Il capitale naturale è addirittura in crescita e ciò ci permette di fare politiche diverse a seconda dei territori: più incentrate su funzioni economiche in alcuni o più incentrati sulla tutela della biodiversità in altri. Né mancano le competenze: l’Italia è prima in Europa per corsi universitari che formano professionisti forestali. Non è neanche un problema finanziario: le risorse si stanno mobilizzando, abbiamo il nuovo Piano Nazionale di Sviluppo Rurale e nella legge di stabilità per la prima volta è stata finanziata la Strategia Forestale Nazionale con 420 milioni di euro da oggi al 2032. Il problema principale riguarda il capitale sociale ovvero avere visione comune, leale collaborazione, capacità collaborativa, in primis tra le istituzioni dello Stato. Su questo dobbiamo lavorare ancora tanto ma penso che l’elaborazione e approvazione della SFN sia stato un momento di crescita in questa direzione”.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012