SOCIETÀ

Svezia, exploit dell'estrema destra alle elezioni politiche

Anche in Svezia è crollato l’argine che per decenni aveva tenuto l’estrema destra nelle retrovie della politica. Un fenomeno di “contagio” che, pur con dimensioni e tempi differenti, sta travolgendo ormai l’intera Europa, dalla Francia alla Germania, dai paesi dell’Est all’Italia, dalla penisola iberica a quella scandinava. Le elezioni di domenica scorsa hanno segnato una svolta storica in Svezia: i Socialdemocratici dell’ormai ex primo ministro Magdalena Andersson (si è dimessa ieri, prendendo così atto della sconfitta) ha sì superato il 30% dei voti, confermandosi primo partito, come accade da decenni. Ma i “Democratici Svedesi” (Sweden Democrats, SD), che nonostante il nome fuorviante, e al netto di qualche restyling estetico e verbale, sono gli eredi naturali del movimento neonazista, sono riusciti a conquistare un clamoroso 20,5% dei voti, diventando così il secondo partito a livello nazionale e consentendo alla coalizione (teorica) di destra di conquistare la maggioranza dei seggi in Parlamento, seppur sul filo del rasoio: 176 contro 173, su 349 totali. «È una maggioranza sottile, ma è una maggioranza», ha dichiarato l’ex premier Andersson. Da qui a formare un nuovo governo ce ne passa: trovare la solidità e gli equilibri necessari sarà tutt’altro che semplice, anche se è probabile che l’incarico possa essere affidato al leader dei Moderati, Ulf Kristersson. Ma resta il successo, innegabile, del partito xenofobo guidato da Jimmie Åkesson, 43 anni, ex web designer, ormai politico di professione, che comunque sposterà gli equilibri, i toni e i temi della politica svedese. «Il popolo svedese ha votato per il cambiamento», ha commentato Åkesson in un post su Facebook. «È tempo di iniziare a ricostruire la sicurezza, il benessere e la coesione. È ora di mettere la Svezia al primo posto». Gli altri schieramenti del blocco di centro-destra (Partito Moderato, Liberali, Cristiano Democratici) l’avevano detto chiaramente in campagna elettorale: al governo sì, ma senza i nazionalisti di SD, accettando al massimo un “sostegno” in Parlamento. Dopo il voto di domenica scorsa, e con questi numeri, le pretese di Åkesson sono destinate a cambiare.

Gangs of Stockholm

La campagna elettorale di Sweden Democrats è stata lineare, sul binario tracciato dallo slogan “Keep Sweden Swedish” (mantieni la Svezia svedese), un motto ereditato dal Bevara Sverige Svenskt (BSS), il gruppo neofascista sciolto nel 1988: lotta inflessibile all’immigrazione, respingimento degli immigrati nella loro terra d’origine (magari appaltandone l’accoglienza in qualche paese africano, come già teorizzato dalla vicina Danimarca e attuato dal Regno Unito), mano libera della polizia (anche solo per un “sospetto”) nelle zone più a rischio, stop ai sussidi economici per gli immigrati, responsabilità penale anche per i minorenni, divieto nazionale di mendicare. Dunque la sicurezza sociale al primo posto. Anche perché in Svezia è in corso da anni un violentissimo scontro tra opposte gang criminali, soprattutto nelle aree dove più alta è la concentrazione di immigrati, con 273 sparatorie e 47 morti solo quest’anno, più dell’intero 2021. La polizia ha disegnato una mappa delle 61 aree più a rischio del paese “per la crescente violenza delle bande, alimentato dal traffico di droga”. Sempre secondo la polizia, la causa principale è la scarsa integrazione della comunità degli immigrati. Il che ha dato forza alle tesi della destra radicale, che contesta le politiche di integrazione della Svezia, un tempo tolleranti e inclusive, anche se ora non più. La stessa premier Magdalena Andersonn, a pochi giorni dalle elezioni, magari con l’obiettivo di arginare l’impennata dell’estrema destra nei sondaggi, si era detta favorevole all’abolizione dei «ghetti etnici, che si sono trasformati in focolai di criminalità organizzata. Non vogliamo Chinatown, Somalitown o Little Italy qui da noi». Già lo scorso anno un rapporto del Consiglio nazionale svedese per la prevenzione dei crimini denunciava che la criminalità armata in tutta la Svezia stava aumentando a un ritmo più rapido che in qualsiasi altra parte d'Europa.

Altro cavallo vincente per SD i temi economici, soprattutto sulla perdita di potere d’acquisto delle famiglie (l’ultimo dato disponibile, luglio 2022, fissava l’inflazione in Svezia all’8,49% su base annua, spinta anche dal prezzo crescente dell'energia). «Siamo pronti a contribuire in modo costruttivo a un cambio di potere e a un nuovo inizio per la Svezia», aveva twittato due giorni fa Åkesson. Che negli ultimi 17 anni, da quando ha assunto la guida di SD, ha molto puntato sulla trasformazione dell’immagine del partito: via il logo, una torcia blu e gialla (sul modello adottato da diversi movimenti neofascisti, anche in Italia) sostituito da un più rassicurante fiore, un anemone (petali blu, pistillo giallo). Via anche gli esponenti più radicali (ma non tra i “capi”), al bando i discorsi e gli atteggiamenti apertamente razzisti. Un capillare lavoro di “normalizzazione”, anche se i critici contestano la superficialità dell’operazione, definendola di facciata, denunciando in pratica che sotto sotto quell’ideologia, xenofoba e nazionalista, era tutt’altro che superata. Oggi il partito si presenta come un difensore dello stato sociale, contro l’immigrazione. Gli esponenti, a partire dallo stesso leader, vogliono apparire come “persone comuni”, rassicuranti, e non come fanatici estremisti pronti a instaurare una dittatura autoritaria. Pur continuando a sostenere, ad esempio, che «il pacifico stato sociale svedese è stato distrutto dall’immigrazione musulmana». Fino alla pubblicazione di una foto, in campagna elettorale, che ha acceso aspre critiche: l’immagine di un vagone ferroviario coperto dal logo di SD (l’anemone), sul quale un esponente del partito, Tobias Andersson, aveva scritto: “Benvenuto sul treno di rimpatrio. Hai un biglietto di sola andata. Prossima fermata, Kabul”. Lisa Pelling, politologa e direttrice del think tank progressista e apartitico Arena Idé, la sintetizza così: «In una società razzista non basta essere non razzisti, bisogna essere antirazzisti».

L’infiltrazione degli estremisti di destra

L’operazione messa in piedi da Jimmie Åkesson e dai suoi sodali, compagni di studi dell'Università di Lund, nel sud del Paese (li chiamano la Gang of Four, la banda dei Quattro), è comunque riuscita in pieno. Sweden Democrats è in continua e costante ascesa: è passato dal 5,7% dei voti raccolti nel 2010, al 12,9% nel 2014, al 17,5% nel 2018, fino al 21% di oggi, riuscendo a intercettare sempre più il voto, e il malcontento, di operai e conservatori, soprattutto nelle aree rurali del sud della Svezia. Grandi fautori del nucleare (accusano il governo socialdemocratico di aver chiuso 4 reattori, provocando così, a loro dire, l’impennata dei prezzi dell’elettricità), ondivaghi nel rapporto con l’Unione Europea (dalla quale, fino a pochi anni fa volevano uscire, teorizzando la “Swexit”) e con la Nato (prima contrarissimi all’adesione, poi favorevoli, dopo l’invasione della Russia in Ucraina). In un’intervista di pochi mesi fa al quotidiano Svenska Dagbladet, Åkesson si è rifiutato di scegliere da quale parte schierarsi, tra Putin e Biden: «Non vorrei nessuno dei due per governare la Svezia». Ma molti analisti sostengono che il legame tra SD e il Cremlino sia assai solido, al pari di quanto già accade con altri partiti di estrema destra in Francia, in Austria, in Italia. Vicenda che potrebbe (obbligatorio usare il condizionale) intrecciarsi con le rivelazioni sui fondi distribuiti dalla Russia in vari paesi del mondo a partiti “vicini” per influenzare le elezioni.

«Åkesson vuol dare l’impressione di essere un ragazzo normale, che griglia salsicce, parla normalmente e fa viaggi charter alle Isole Canarie», ha sintetizzato Jonas Hinnfors, professore di scienze politiche all’Università di Göteborg, intervistato dall’agenzia France Press. Ma restano i profondi dubbi sui legami che gli attuali esponenti dell’SD continuano ad avere con gli ambienti della destra più estrema. Appena lo scorso mese è stato pubblicato un rapporto investigativo del gruppo di ricerca svedese Acta Publica sul rischio d’infiltrazione dell’estremismo di destra nella politica nazionale. Secondo il rapporto, i partiti svedesi hanno candidato quest’anno 289 politici al Riksdag (il Parlamento svedese): e la stragrande maggioranza (214) appartiene proprio al Sweden Democrats. «I Democratici Svedesi non hanno una politica di integrazione. È evidente nella xenofobia non mascherata, dilagante e spietata che proviene da rappresentanti di spicco di quel partito», scrive Hans Dahlqvist, docente di storia all'Università di Malmö. «Alla fine si tratta della convinzione che culture diverse non devono mescolarsi».

Il ruolo dei media nell’effetto “contagio”

L’ascesa al potere della destra più radicale è un fenomeno, come dicevamo, che riguarda non soltanto la Svezia. Cas Mudde, politologo olandese, tra i maggiori esperti di populismo ed estremismo, docente all’University of Georgia e autore del saggio “Ultradestra”, sostiene che la normalizzazione dell’estrema destra in Europa, o per meglio dire la sua de-marginalizzazione, è un fenomeno ormai consolidato da tempo, in grandi linee con l’inizio del nuovo millennio. «Da minoranza esclusa dalle istituzioni, o comunque relegata ai suoi margini, questi gruppi sono diventati un attore politico radicato nei territori, presente nei parlamenti e accettato da un’alta porzione della popolazione elettorale», spiega il politologo olandese. «Ma attenzione all’uso del termine “populismo” come sinonimo di “estrema destra”. Al cuore dell’estrema destra c’è il nativismo, non il populismo, e le due cose non dovrebbero essere confuse. Il nativismo discrimina sulla base dell’etnia, il populismo sulla base della morale. Il nativismo è ostile alle minoranze etniche, il populismo alle élite». Quanto alle cause del “contagio”, che ha consentito l’avvento della destra radicale nel cuore dei governi europei, Cas Mudde offre una sua riflessione, accusando principalmente il ruolo dei mezzi d’informazione: «Molte cose sono accadute ben prima che i social media avessero il peso che hanno oggi. Al contrario, i media di estrema destra come Bild, Le Figaro, The Times hanno reso mainstream l’islamofobia. E i mezzi d'informazione di sinistra come il Guardian o il New York Times, hanno dato spazio spropositato nelle loro pagine degli editoriali ai politici di estrema destra o a individui come Steve Bannon. Libertà di parola non significa avere diritto a un articolo di opinione o a un editoriale sul New York Times. Significa che lo stato non ha il diritto di limitare la tua libertà di parola. I media dovrebbero raccontare in maniera critica e analizzare gli attori politici di tutte le parti, compresa l’estrema destra, ma dovrebbero essere estremamente critici nei confronti di quegli attori e di quelle idee che sono nemici dei fondamenti stessi della democrazia liberale».

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