CULTURA

Tarabbia reinventa Parise

Andrea Tarabbia, vincitore del Campiello nel 2019 con Madrigale senza suono (Bollati Boringhieri) torna in libreria con un romanzo ch’è una sfida. Vinta.

Come si può definire infatti, se non sfida, la decisione di raccontare il tempo presente (e anzi, in particolare uno dei suoi aspetti più delicati - la politica e i suoi risvolti sociali, anche estremi -) e di farlo a partire da un romanzo già scritto, nel 1979, nientemeno che da Goffredo Parise?

L’opera cui Tarabbia torna e da cui riparte è L’odore del sangue, composto nel 1979 e uscito postumo nel 1997 (ma per Parise non avrebbe mai dovuto vedere la luce) in cui si racconta in prima persona la storia di Filippo, psicanalista, e della moglie Silvia che lo tradisce con un giovane picchiatore fascista.

Tarabbia ne Il continente bianco (Bollati Boringhieri) sposta tutto ai giorni nostri, raccontando in prima persona: incontra Filippo (che chiama dottor P***) , che nella storia è il suo psicanalista, e sua moglie, ma soprattutto dà tridimensionalità al personaggio del giovane amante, Marcello Croce, che vede agire nel suo mondo (risse, incontri “politici”) del fascismo di oggi e non solo attraverso le cortine borghesi della casa dei due coniugi.

Viene di chiedersi come sia possibile, per un autore, relazionarsi alla storia già pensata da un altro, cui Tarabbia fa evidentemente omaggio, e soprattutto nei confronti di un’opera che già esiste, ma la realtà è che ciascun romanzo è sempre un rimando a innumerevoli altri, anche quando questo gioco non viene esplicitato. Immediato pensare alle riscritture di opere antiche, come la Medea o la Cassandra di Christa Wolf, oppure a casi come Tempo di uccidere di Flaiano che si dice abbia continui rimandi interni a Cuore di tenebra di Conrad, per esempio, o ancora a operazioni intellettuali come quella di Fruttero&Lucentini che ne La verità sul caso D. “completano” The Mistery of Erwin Drood di Dickens.

Il fatto è che qui Tarabbia scrive un romanzo che può completamente prescindere da Parise (nessuna fedeltà gli è dovuta) ma emerge il suo desiderio di ricreare un mondo, fosse questo anche solo un modo di fare narrativa e di usare la lingua come si faceva quando Parise scriveva, misurandosi con dei vincoli che lui stesso s’impone e trasformandoli in punti di forza. Ecco quindi che le parti che ricostruiscono alcune scene de L’odore del sangue diventano dialoghi “di scena” tra “lui” (il dottor P***) e “lei” (Silvia), che il nostro presente (le mascherine, Roma avvolta dalle impalcature, effetto del bonus del 110%) c’è ma è sfumato, che la violenza è prepotentemente agita ma l’autore la ferma sempre un attimo prima che.

Il continente bianco in definitiva è un romanzo sull’amore, sull’odio, sulle convinzioni estreme, sulla capacità o incapacità di accettare quel che succede, e infine anche, e in grande misura, sulla violenza e su come questa non possa essere attutita dalla trasposizione borghese “in interni”, anzi, di come semmai ne risulti amplificata. Ed è anche un romanzo sul bisogno consolazione: […] “Tutti l’abbiamo [bisogno di consolazione]. Tutti. Io, lei, Silvia. Marcello Croce. Cambiano le gradazioni, non i bisogni”.

Abbiamo intervistato l’autore.

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