SCIENZA E RICERCA

Terapie per curare Covid-19: i farmaci al vaglio dell’Ema

Alla fine di giugno la Commissione Europea ha annunciato un portfolio di cinque terapie per trattare Covid-19, attualmente al vaglio dell’European Medicines Agency (Ema): quattro di queste prevedono l’uso di anticorpi monoclonali, la quinta l’impiego di un immunosoppressore. A seguire, pochi giorni fa, l’Ema ha inoltre iniziato a valutare una domanda per estendere l'uso di un secondo immunosoppressore.

Nonostante la campagna di vaccinazione a livello europeo proceda, infatti, le terapie per trattare pazienti con Covid-19 continuano a essere limitate, con un solo farmaco (il remdesivir) autorizzato nell’Unione Europea per il trattamento della patologia. Per questo il 6 maggio 2021 la Commissione ha pubblicato la Eu Strategy on Covid-19 Therapeutics che delinea una serie di azioni per individuare i candidati terapeutici. Ora l’obiettivo è di avere almeno tre terapie autorizzate entro ottobre e possibilmente altre due entro fine anno. Sempre entro il mese di ottobre si intende individuare, inoltre, un portfolio di almeno dieci potenziali terapie contro Covid-19, dato che si rendono necessari diversi tipi di prodotto per differenti categorie di pazienti a diversi stadi e gravità della malattia.  

Gli agenti farmaceutici attualmente in fase di sviluppo sono molti, dagli antivirali, agli immunomodulatori, agli antinfiammatori. I candidati terapeutici includono piccole molecole, anticorpi monoclonali e terapie cellulari: gli studi clinici attualmente in corso verificano l’efficacia e la sicurezza dei prodotti ai diversi stadi della malattia (precoce, lieve, moderata, grave) e in diverse categorie di pazienti (ambulatoriali e ospedalizzati; malati di long Covid-19, persone esposte all’infezione).

Ben quattro delle terapie attualmente al vaglio dell’Ema prevedono l’impiego di anticorpi monoclonali, farmaci biologici che consistono in immunoglobuline, importanti proteine umane che si legano in modo molto specifico a un certo bersaglio, il cosiddetto antigene: nel caso del virus Sars-CoV-2 l’anticorpo monoclonale si lega alla proteina Spike e riduce in questo modo la capacità del virus di penetrare nelle cellule. Si tratta sostanzialmente di molecole create in laboratorio, che mimano la struttura e l’attività degli anticorpi che il nostro organismo produce, in grado di svolgere sia una funzione protettiva temporanea che un’attività terapeutica. La tecnologia per lo sviluppo di questi biofarmaci è ben nota: vengono selezionati gli anticorpi sviluppati da chi ha contratto e superato l’infezione da Sars-CoV-2, testandone la capacità neutralizzante (in vitro, nei modelli animali e infine con gli studi clinici) e, qualora l’esito sia positivo, si producono su scala industriale così da ottenerne farmaci.  

“I tempi necessari per ottenere un farmaco nuovo per un bersaglio nuovo sono estremamente più lunghi rispetto a quelli necessari per la produzione di un vaccino, soprattutto per terapie antivirali che devono tener conto della mutazione veloce del bersaglio, come nel caso dei virus a RNA”. A spiegarlo è Barbara Gatto, docente del dipartimento di Scienze del farmaco dell’università di Padova che, con il suo gruppo, sta lavorando a nuove possibili molecole anti Covid-19, nell’ambito del progetto An Integrated Strategy for the Fast Discovery of SARS-CoV-2 Main Protease (Mpro) Inhibitors. “Per trovare un farmaco – continua Gatto –, serve molto tempo dalla fase preclinica. Nel caso di Covid-19, però, gli anticorpi monoclonali sono stati prodotti in tempi molto veloci, perché sono state utilizzate piattaforme che si usano ormai da 20 anni. I monoclonali vengono impiegati da tempo per terapie che interessano la reumatologia, la dermatologia, per alcune malattie rare, per i tumori, e hanno fatto la differenza. Ci sono, però, ancora pochi antivirali”.

Nello specifico gli anticorpi monoclonali che l’Ema sta esaminando sono: bamlanivimab ed etesevimab (da somministrare in combinazione) prodotto dall’azienda Eli Lilly; casirivimab e imdevimab (ancora in combinazione) di Regeneron Pharmaceuticals e F. Hoffman-La Roche; regdanvimab di Celltrion; e sotrovimab di GlaxoSmithKline e Vir Biotechnology. I farmaci sono in fase di rolling review (revisione ciclica), un processo di revisione continua dei dati di un vaccino o di un farmaco, che vengono analizzati via via che sono disponibili così da accelerare la valutazione di un medicinale promettente durante un'emergenza di salute pubblica. Costituisce la base per la domanda di autorizzazione all'immissione in commercio di un dato farmaco nell’Unione Europea.

La rolling review per i due anticorpi monoclonali casirivimab e imdevimab è stata avviata dall’Ema il primo febbraio 2021 sulla base dei risultati preliminari di uno studio che indicano un effetto benefico del farmaco nel ridurre la quantità di virus nel naso e nella gola dei pazienti non ospedalizzati con Covid-19. I due medicinali, usati in associazione, agiscono su due siti diversi della proteina Spike, e in questo modo possono avere un effetto maggiore. Successivamente il 26 febbraio, Ema ha formulato delle raccomandazioni sull’uso di questa terapia, fornendo un parere scientifico armonizzato a livello dell’Unione Europea, in modo da sostenere il processo decisionale nazionale sul possibile uso degli anticorpi prima dell'autorizzazione all’immissione in commercio. L’Agenzia europea per i medicinali ha dunque concluso che l’associazione di casirivimab e imdevimab, nota anche come REGN-COV2, può essere impiegata nel trattamento di Covid-19 in pazienti che non richiedono ossigeno supplementare e che sono ad alto rischio di progredire verso una forma grave di Covid-19. Il medicinale va somministrato per infusione (flebo) in vena.

Sempre alla fine di febbraio, il 24, è stata avviata la rolling review per l’anticorpo monoclonale regdanvimab. Un mese più tardi l’Ema, dopo aver completato la revisione sull’uso, stabilisce che il medicinale può essere usato anche in questo caso nei pazienti adulti che non hanno bisogno di ossigenoterapia supplementare, ma rischiano di andare incontro a una forma grave di Covid-19. Come nel caso precedente, il prodotto va somministrato per infusione in vena. Le indicazioni dell’Agenzia europea per i medicinali fanno seguito ai risultati della prima parte di uno studio condotto su pazienti adulti ambulatoriali con sintomi Covid-19 da lievi a moderati, che non hanno fatto ricorso ad ossigeno supplementare, secondo cui il regdanvimab può abbassare il tasso di ospedalizzazione. Allora l’Ema concludeva, tuttavia, che i risultati non erano tali da trarre conclusioni definitive sui benefici del farmaco.

E passiamo alla terza terapia attualmente al vaglio dell’European Medicines Agency. Bamlanivimab ed etesevimab sono altri due anticorpi monoclonali che vengono proposti in associazione. Il 5 marzo 2021 l’Ema ha formulato delle raccomandazioni sull’uso di questa terapia, stabilendo che bamlanivimab ed etesevimab possono essere somministrati in associazione per il trattamento di Covid-19 a pazienti che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e ad alto rischio di progredire verso la forma severa della malattia. I medicinali vengono somministrati sempre per infusione in vena (flebo). L’11 marzo 2021 è stata avviata la rolling review dei due anticorpi monoclonali, sulla base dei risultati preliminari di due studi, uno dei quali esamina la capacità dei farmaci di trattare Covid-19 quando sono combinati, l'altro quando bamlanivimab è usato da solo. Dalle indagini è emerso che l’associazione dei due medicinali riduce la carica virale in misura maggiore rispetto al placebo. 

L’ultimo degli anticorpi monoclonali al vaglio dell’Agenzia europea per i medicinali è il sotrovimab, la cui rolling review è stata avviata in questo caso il 7 maggio, sulla base dei risultati preliminari di uno studio che esamina la capacità del farmaco di prevenire l’ospedalizzazione o la morte in pazienti affetti da Covid-19 non ospedalizzati. Circa 15 giorni dopo, il 21 dello stesso mese, come negli altri casi l’Ema ha formulato delle raccomandazioni per l’uso del medicinale, stabilendo che il prodotto può essere usato per curare adulti e adolescenti di età uguale o superiore a 12 anni (con un peso di almeno 40 chilogrammi), che non abbiano bisogno di terapia con ossigeno supplementare e siano a rischio di andare incontro a una forma severa di Covid-19. Anche in questo caso viene somministrato per infusione in vena.

Le indicazioni seguono la revisione dei dati disponibili, tra cui uno studio sugli effetti di sotrovimab in pazienti adulti ambulatoriali con sintomi lievi di Covid-19 che non hanno bisogno di ossigeno supplementare. I risultati mostrano che il farmaco ha ridotto il rischio di ospedalizzazione per più di 24 ore e il rischio di morte dell'85% rispetto al placebo: secondo quanto indica l’Ema, nei pazienti che hanno ricevuto sotrovimab l’ospedalizzazione o il decesso hanno interessato tre pazienti su 291, 21 su 292 che hanno ricevuto placebo.

Proprio pochi giorni fa, il 12 luglio 2021, il ministro della Salute Roberto Speranza, ha firmato il decreto che autorizza la temporanea distribuzione in Italia, fino al 31 gennaio 2022, dell’anticorpo monoclonale sotrovimab per il trattamento di pazienti che hanno contratto l’infezione da Sars-CoV-2. Nel nostro Paese, è il decreto del Ministro della salute del 6 febbraio 2021 n. 32 ad autorizzare l’uso degli anticorpi monoclonali privi   di   una autorizzazione all'immissione in commercio nel territorio europeo e nazionale, per il trattamento di pazienti adulti e pediatrici con Covid-19. Oltre a sotrovimab, hanno ottenuto una autorizzazione temporanea l'anticorpo monoclonale bamlanivimab e l'associazione di anticorpi monoclonali bamlanivimab-etesevimab, prodotti dall'azienda farmaceutica Eli Lilly e l'associazione di anticorpi monoclonali casirivimab-imdevimab dell'azienda farmaceutica Regeneron/Roche.

I due immunosoppressori al vaglio dell’European Medicines Agency sono, invece, baricitinib e Kineret (anakinra). L’immunosoppressore baricitinib è prodotto da Eli Lilly: è in corso di valutazione una domanda di estensione dell'autorizzazione all’immissione in commercio per l'indicazione Covid-19. Nello specifico si sta valutando di includere Olumiant (baricitinib) nel trattamento della patologia in pazienti ospedalizzati a partire dai dieci anni di età che richiedono ossigeno supplementare. Olumiant è attualmente autorizzato per il trattamento di adulti con artrite reumatoide da moderata a grave o dermatite atopica (eczema). Il suo principio attivo (baricitinib) blocca l'azione di enzimi chiamati Janus chinasi che svolgono un ruolo importante nei processi immunitari che portano all'infiammazione. Si pensa che questo potrebbe anche aiutare a ridurre l'infiammazione e i danni ai tessuti associati a una grave infezione da Covid-19.

Come si è detto, infine, nei giorni scorsi l'Ema ha iniziato a valutare una domanda per estendere l'uso di Kineret (anakinra) al trattamento di Covid-19 in pazienti adulti con polmonite che sono a rischio di sviluppare una grave insufficienza respiratoria. Si tratta di un farmaco biologico immunosoppressore, che agisce riducendo l'attività del sistema immunitario, attualmente autorizzato per il trattamento di una serie di condizioni infiammatorie. Il suo principio attivo, anakinra, blocca l'attività dell'interleuchina 1, un messaggero chimico coinvolto nei processi che portano all'infiammazione. Si pensa che questo potrebbe anche aiutare a ridurre l'infiammazione e i danni ai tessuti associati a Covid-19.

Questo tipo di strategie è conosciuto con il nome di “drug repurposing”, o riposizionamento dei farmaci, una sorta di “seconda vita” di prodotti solitamente già approvati ed in uso clinico per determinate patologie, che vengono sperimentati per trattare condizioni diverse da quelle per cui sono stati inizialmente pensati e utilizzati. “A volte si procede su una base logica – spiega Barbara Gatto –, come nel caso del repurposing degli immunosoppressori o degli antinfiammatori per il trattamento del Covid-19; altre volte, soprattutto se si cercano nuove molecole, ci si basa su studi in silico e in vitro da cui si evince che un determinato bersaglio viene bloccato. Quando si utilizzano tecniche moderne, si lavora molto sul bersaglio e si ottengono composti molti efficaci in vitro, su sistemi però molto semplificati. L’essere umano, tuttavia, non è un organismo semplice e spesso fare arrivare il composto laddove deve agire non è affatto banale. Nel caso di terapie antivirali, poi, bisogna fare in modo che il composto sia specifico per l’agente patogeno, nel caso di Covid-19 per il virus SARS-CoV-2, e non inibisca funzioni essenziali dell’ospite, cioè l’uomo.  Dagli esperimenti in vitro, dunque, ai trial clinici la strada è lunga”.  

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