SOCIETÀ

Thuli, che sussurra giustizia ai potenti del Sudafrica

Può il cinema aiutarci a comprendere la politica internazionale? In un Paese come il nostro, in cui la grande informazione è perennemente concentrata su vicende interne (spesso quelle sotto casa), selezionare pellicole di qualità che raccontino eventi lontani è un modo prezioso per integrare i pochi media italiani a larga diffusione che non si accontentano di guardarsi l’ombelico. Un’occasione è Mondovisioni, la rassegna di documentari che ogni anno viene presentata a Ferrara durante il festival di Internazionale per poi essere distribuita nelle sale. Se il festival è una rara vetrina di ciò che è troppo distante per essere percepito nella giusta dimensione, i film di Mondovisioni ne sono l’appendice cinematografica: ogni lungometraggio affronta temi cruciali, ma spesso ignorati dall’opinione pubblica italiana perché “poco notiziabili” o geograficamente remoti.

Prendiamo la Repubblica Sudafricana: la seconda maggiore economia del continente, di cui è uno degli Stati più vasti e popolosi, un’ardua e delicatissima transizione da un regime segregazionista a una democrazia multietnica, un equilibrio labile tra gli eredi dei colonizzatori e i moltissimi gruppi etnolinguistici che compongono la Repubblica. Eppure chi, dopo la morte di Mandela, ne ha più letto qualcosa? Ecco allora che può soccorrerci Whispering Truth to Power (“Sussurrando la verità ai potenti”) di Shameela Seedat, presentato in anteprima per Mondovisioni. Il documentario fa luce sui recenti, decisivi accadimenti che lo scorso febbraio hanno portato Jacob Zuma, presidente del Sudafrica da quasi nove anni, a dimettersi: risultato di una lunga indagine anticorruzione che ha consentito al Paese una svolta e l’elezione di un nuovo Capo di Stato, Cyril Ramaphosa.

Il film ripercorre l’ultimo periodo nel mandato della donna che “sussurra la verità ai potenti”, la giurista Thuli Madonsela, capo dell’ufficio del “Public Protector”: un’istituzione di garanzia, nata per difendere i cittadini dagli abusi della pubblica amministrazione ma che in precedenza non aveva mai scalfito l’élite del Paese. Nominata da Zuma nel 2009, nei sette anni di incarico la Madonsela riesce a trasformare un ruolo innocuo in un formidabile strumento per far emergere l’enorme intreccio illecito tra politica ed economia su cui si basa il sistema. Un cammino progressivo, pacato ma inesorabile come la voce di Thuli, che arriverà da ultimo a toccare il livello più alto: lo stesso presidente Zuma, che dovrà fronteggiare due inchieste, la prima sugli esborsi pubblici per ampliare e abbellire la sua residenza privata, la seconda, molto più ampia, sul patto tra il presidente e una famiglia di imprenditori di origine indiana, i fratelli Gupta, in grado di controllare una buona fetta dell’economia del Paese grazie allo stretto legame con Zuma.

Nei sette anni di incarico, la Madonsela trasforma un ruolo innocuo in un formidabile strumento per far emergere l’intreccio illecito tra politica ed economia

Whispering Truth to Power segue, passo passo, l’ultimo anno di Thuli come “Public Protector”: dodici mesi decisivi per redigere il rapporto che porterà, dopo una lunga e durissima battaglia legale, alle dimissioni di Zuma. Thuli ci viene mostrata nella quotidianità del lavoro in ufficio, nelle missioni attraverso il Sudafrica per indagare su casi di corruzione che coinvolgano poteri pubblici, ma anche nel privato e in famiglia. Se ne ricostruisce la storia personale, dall’impegno politico con il National African Congress, il partito di Mandela divenuto preda dei comitati d’affari, fino al ruolo che la renderà la donna più popolare del Paese. Thuli mantiene la sua flemmatica ostinazione nella ricerca della giustizia, senza che la sua serenità sia intaccata, almeno in apparenza, dalle minacce ricevute o dalle umiliazioni subite. Un’attitudine di fermezza tranquilla che dimostra anche in famiglia, sforzandosi di educare la figlia, membro di un partito nero radicale, alla moderazione e al rispetto per gli avversari.

Sarebbe inutile ricercare, nel ritratto di Whispering Truth to Power, chiaroscuri o sfumature. La regista sudafricana Shameela Seedat, studiosa di diritti umani e funzionaria internazionale dedicatasi al cinema, presenta la storia di Thuli con troppa passione civile, troppa convinta militanza nella lotta a un sistema politico fragile e malato: la protagonista è tratteggiata come una specie di santa laica, e nella battaglia contro i poteri forti sudafricani è arruolato subito anche lo spettatore. Viene tralasciato ogni dibattito sull’estensione (e i limiti) dei poteri del Public Protector, sul ruolo dei media, sulla lotta politica che strumentalizza l’istituzione di garanzia per abbattere i rivali. Per la Seedat conta il messaggio di fondo, che pure è emblematico: la capacità di una donna, armata di competenza, onestà e determinazione, di lanciarsi da sola (o, almeno, fungere da ariete) contro una società corrotta e lacerata, provocarne l’implosione e il rinnovamento incruento. E proprio le fortissime tensioni economiche e razziali che percorrono tuttora la società sudafricana, cui la Seedat accenna a margine della vicenda principale, rendono ancor più sorprendente l’esito pacifico di questa sfida.

Osservato al netto degli accenti agiografici, il film è prezioso proprio nella sua parte meno spettacolare e più didascalica, quando illustra i passaggi, condotti entro un quadro rigorosamente costituzionale, della guerra di ricorsi e dibattiti che si snoda attraverso le istituzioni sudafricane: dal Public Protector alla Presidenza della Repubblica, dal Parlamento alla Corte Costituzionale. Assumendo toni durissimi, ma sempre condotti nel rispetto della legalità e della dialettica politica. Per una democrazia africana con poco più di vent’anni di vita, erede di un regime segnato dai peggiori odi e divisioni, la maggiore vittoria non è l’addio di Zuma, ma che le istituzioni abbiano funzionato.

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