SOCIETÀ

Toronto Raptors campioni del basket Nba: una storia di internazionalità e inclusione

1 novembre 1946, angolo nord-ovest tra Carlton e Church Street, Toronto, Canada. La squadra di casa, gli Huskies, ospita i New York Knickerbockers al Maple Leaf Gardens. In quell'edificio gli spettatori sono solitamente abituati ad assistere a partite di hockey. Sono poco più di 7000 i curiosi che comprano il biglietto. La partita si conclude con la sconfitta dei padroni di casa, 68 – 66 per la squadra di New York. È la prima partita nella storia della Basketball Association of America (Baa), fondata nel giugno di quello stesso anno a New York City dai proprietari degli stadi di hockey: avevano deciso che nei giorni in cui le mazze e i parastinchi dovevano rimanere appesi negli spogliatoi per le pause del campionato, sarebbe toccato alla palla a spicchi e agli spilungoni in calzettoni intrattenere il pubblico. I Toronto Huskies durano una sola stagione: ritireranno la loro franchigia nel 1947, dopo 22 vittorie e 38 sconfitte.

A tre anni dalla sua nascita, la Baa si fonde con un'altra lega con cui era entrata in competizione, la National Basketball League. Nasce così, il 3 agosto 1949, la National Basketball Association, la Nba, una lega per soli uomini bianchi, e americani.

Nel corso degli anni la Nba ha subito profondissime trasformazioni. Non solo tecniche: si pensi all'introduzione della linea da tre punti nella stagione '79 – '80 dopo la fusione con la lega “rivale”, la Aba (American Basketball Association), quella in cui giocava “Doctor J.” Julius Erving, che già nel '67 l'aveva introdotta. Ma trasformazioni, per così dire, anche sociali, segnate dall'apertura ai giocatori di colore e ai cosiddetti international players. Circa tre quarti degli atleti Nba oggi sono neri, mentre ha raggiunto quasi il 25% la quota di giocatori non statunitensi. Sono neri anche quasi la metà degli spettatori e l'Nba è diventata un amplificatore della cultura afroamericana che fa tendenza.

La barriera razziale è stata abbattuta il 31 ottobre 1950. Il primo atleta di colore a debuttare nella Nba è stato Earl Lloyd, con la maglia dei Washington Capitols, che vincerà il titolo nel '55 con i Syracuse Nationals. Prima di Lloyd, la sola eccezione è stata Wataru Misaka, playmaker americano di origini giapponesi che ha militato per i New York Knicks nella Baa.

La stagione 2018 – 2019 appena conclusasi racconta quanto e come sia cambiata la Nba a distanza di settant'anni dalla sua fondazione. Il titolo di campione è stato conquistato dall'unica squadra non statunitense: i Toronto Raptors, canadesi, entrati a far parte della lega nel 1995, e oggi guidati da un general manager nigeriano, Masai Ujiri.

Arrivato nel 2013, Ujiri ha puntato su personaggi emergenti: si deve a lui lo scambio di mercato, capolavoro, che ha portato la stella Kawhi Leonard a Toronto. Sempre lui ha voluto sulla panchina dei Raptors Nick Nurse, un coach che aveva allenato nel campionato britannico (vincendolo due volte), nella D-League (la “serie B” della Nba, vincendola due volte) ma che non era mai stato a capo di una squadra Nba (era ai Raptors dal 2013 come aiuto allenatore). Oggi Masai Ujiri è il direttore sportivo più cercato nella Nba, i Washington Wizard gli avrebbero già offerto un contratto da 10 milioni di dollari.

L'ultima squadra canadese che aveva vinto un titolo sportivo nei campionati americani erano stati i Blue Jays quando nel 1993 vinsero le World Series di Baseball. Gara 6 delle Finals Nba (si giocano al meglio delle 7) è stata la partita più seguita di sempre in Canada. 15,9 milioni di canadesi si sono messi davanti a uno schermo o sono scesi in piazza per sostenere i loro beniamini, 44% della popolazione canadese (che ne conta un totale di circa 37 milioni). In media la serie contro i Golden State Warriors è stata seguita da 7,7 milioni di telespettatori e ciascuna delle 6 gare della finalissima è entrata nella top ten degli eventi sportivi più seguiti in Canada quest'anno.

La vittoria dei Toronto Raptors è infatti anche la storia del suo pubblico (“We the North”, il loro motto) e del suo popolo, multiculturale, inclusivo. È la storia dell'inconfondibile turbante di Nav Bhatia, il superfan dei Raptors che non ha mai mancato una partita casalinga. Laureato in ingegneria meccanica, indiano, membro della comunità Sikh, arriva in Canada nel 1984 ma fatica a trovare lavoro. Decide allora di vendere auto per un concessionario: ne vende 127 in 3 mesi, record che gli vale la promozione a manager. Nel giro di due anni guadagna abbastanza soldi da rilevare il concessionario che l'aveva assunto e aprirne uno nuovo. Ogni anno Nav compra 3000 biglietti per dare l'opportunità ai giovani Sikh di assistere alle partite dei Raptors, che in Canada vengono vissuti alla stregua di una nazionale. “Quando sei un immigrato, nulla ti fa sentire più canadese dello sventolare una bandiera della nazione mentre stai facendo il tifo per la tua squadra” ha dichiarato Nav Bhatia in un'intervista a Muhammad Lila. “Lo sport è uno dei modi migliori per appiattire le differenze”.

È stata una storia all'insegna dell'internazionalità la vittoria dei Toronto Raptors. Ma di storie incredibili la stagione 2018 - 2019 ne ha riservate molte altre. Nella notte tra il 24 e il 25 giugno a Los Angeles sono stati assegnati i tradizionali premi di fine stagione, tra cui quello di miglior giocatore dell'anno.

Il titolo di Mvp (Most valuable player) della Regular season è finito nelle mani, grandissime, della neonata stella dei Milwaukee Bucks, Giannis Antetokounmpo. Figlio di genitori nigeriani immigrati clandestinamente in Grecia, è cresciuto aiutando la famiglia come venditore ambulante in un quartiere popolare di Atene. Ha condiviso a lungo un solo paio di scarpe con il fratello Thanasis per giocare al campetto di Sepolia. È stato apolide fino a 6 anni fa, quando gli è stata concessa, a maggio 2013, la cittadinanza greca per meriti sportivi. Non sono mancati gli attacchi razzisti degli esponenti di Alba Dorata (citofonare Nikolaos Michaloliakos): “Se dai a uno scimpanzé allo zoo una banana e una bandiera questo lo rende automaticamente greco?”. Giannis Antetokounmpo, “The Greak Freak”, per la sua altezza di 2,11 metri e la sua apertura alare di 2,22 metri, ha dedicato, in lacrime, il premio al padre, scomparso due anni fa.

È invece sloveno il miglior Rookie dell'anno, ovvero il miglior giovane: Luka Doncic, prodigio che a soli 20 anni ha già vinto tutto in Europa (campionato spagnolo e Eurolega con il Real Madrid, campionato europeo con la sua Slovenia) e che ora si candida a segnare la storia del basket d'oltreoceano.

Francese il miglior difensore (Defensive player of the year), Rudy Gobert, degli Utah Jazz. Mentre è camerunese il giocatore più migliorato di questa stagione (Most improved player): Pascal Siakam, Spicy P, dei Toronto Raptors. Cresciuto in una famiglia pazza per il basket, fino ai 15 anni ha avuto un altro sogno, quello di diventare prete. Con pochissima esperienza da giocatore di basket è stato scoperto a un campo estivo di Bafia, in Camerun, da un altro giocatore camerunese della Nba, Luc Mbah a Moute. A 16 anni si è trasferito negli States per diventare un cestista professionista di alto livello e nel 2016 è stato selezionato dai Raptors di Masai Ujiri. I suoi 32 punti in gara 1 di finale contro i Golden State Warriors hanno fatto capire a tutto il Canada che il sogno si stava tramutando in realtà. Storia analoga quella di Serge Ibaka, ala forte dei Raptors, di origini congolesi.

L'epilogo di questa stagione racconta anche le storie di tanti ragazzi che si sono rifugiati nel basket per combattere le difficoltà della vita.

È questa la storia dell'Mvp delle Finals, Kawhi Leonard. Taciturno, introverso, a 16 anni perde il padre, cui era legatissimo, in una sparatoria al suo autolavaggio, nei sobborghi di Los Angeles. Il basket diventa la sua unica casa: si allena ossessivamente e migliora, tanto. Nel 2013 sbaglia il tiro libero decisivo e si fa soffiare il titolo dai Miami Heat di Lebron James. Ma le cadute lo hanno reso coriaceo e non gli fanno più paura. L'anno successivo con i San Antonio Spurs di Greg Popovich torna in finale e conquista sia il campionato sia il titolo di miglior giocatore delle finali. La stagione 2017 – 2018 la passa in infermeria. I problemi alla gamba destra non passano e decide di andarsene dal Texas, di varcare il confine e stanziarsi in Canada, non sapendo se potrà mai tornare a essere il giocatore dominante che era. Il resto è già negli annali.

È la storia di Fred VanVleet, anche lui orfano di padre a 5 anni, che viene cresciuto dal nuovo compagno della madre, un ex poliziotto che gli insegna la disciplina. Dopo il college, non viene scelto per fare il salto in Nba. Viene selezionato però per l'allenamento estivo dei Raptors, che lo tengono in squadra come quarto playmaker nel 2016. Durante la stagione 2019 gioca poco, ma si guadagna un ruolo nel secondo quintetto. Il 20 maggio, in pieno svolgimento delle Eastern Conference finals, gli nasce il suo secondo figlio. Le percentuali al tiro da tre di Fred schizzano alle stelle: i suoi 12 punti nel quarto quarto di gara 6, il match decisivo contro gli Warriors, resteranno scolpiti nella memoria di questo sport. Così come i 15 punti del primo quarto di Kyle Lowry, veterano e anima dei Raptors.

Ma è anche la storia di Marc Gasol, catalano, che dopo 10 anni ai Memphis Grizzlies arriva a Toronto a metà stagione. Ha dovuto inserirsi in un sistema di gioco diverso, mettendosi a disposizione della squadra e rinunciando alle statistiche personali. Marc Gasol, l'estate scorsa non è andato a spendere il suo stipendio milionario in una discoteca di qualche isola tropicale, come avrebbe potuto fare. Era a bordo della Open Arms e ha salvato dal mare Josephine, rimasta aggrappata per due giorni a un relitto galleggiante, abbandonata dall'imbarcazione della Guardia costiera libica perché si rifiutava di venir riportata indietro. Con lei c'erano anche una madre e un bambino che non ce l'hanno fatta.

Lo sport è un modello di convivenza basato su dei forti valori fondanti: uno di questi sicuramente è il rispetto. Innanzitutto quello dovuto ai propri compagni, per raggiungere, con mezzi diversi, un obiettivo comune. Secondo Kareem Abdul-Jabbar, all'anagrafe Ferdinand Lewis Alcindor jr. (si converte all'Islam a fine anni '60), detentore del record assoluto di punti segnati in carriera in Nba (38387 in 20 stagioni), “nel jazz così come nel basket devi essere capace di reagire a quello che fanno gli altri andando a tempo, devi fare attenzione a cosa fanno gli altri e pensare come un gruppo. Questa è l'essenza tanto del jazz quanto del basket”.

Ma è anche il rispetto dovuto al talento e al lavoro degli avversari: maggiori saranno le loro capacità, più in alto sarà l'asticella della sfida. E quello dovuto alle regole, comuni, del gioco, e a chi deve farle rispettare – gli arbitri. Infine, il rispetto dovuto al lavoro, alla fatica e alla sofferenza, che per quanto dolorosi, ripagano sempre.

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