CULTURA

Venezia1600. Gli effetti devastanti della peste e le ingegnose misure di contenimento

Quando la peste arrivò in Europa per la prima volta, nel XIV secolo, la popolazione si trovò impreparata di fronte a questa terribile malattia, che causò milioni di morti. Venezia subì diverse ondate di peste nel corso di tre secoli, durante i quali i suoi abitanti si interrogarono spesso sulle misure di sicurezza più efficaci da adottare per impedire il contagio.

La lunga battaglia contro questa malattia ebbe un impatto profondo sulla storia, sulle tradizioni e anche sull'assetto urbano della città. Durante l'epidemia, infatti, vennero ideati e costruiti i lazzaretti. E per festeggiare la fine della peste, invece, furono edificate due chiese: quella del Santissimo Redentore, costruita a partire dal 1577, e quella della Madonna della Salute, del 1632.

Come racconta il professor Fabio Zampieri, storico della medicina all'università di Padova, “la peste arrivò in Europa nel 1348. Probabilmente entrò a Venezia dalla Dalmazia, ed ebbe un impatto molto pesante sulla popolazione, perché su circa 110.000 abitanti si stima che ne morirono almeno 40.000. Il Maggior Consiglio iniziò allora a predisporre delle misure di sicurezza. Nominò tre esperti con il compito di gestire direttamente la situazione epidemica, vennero chiuse le chiese e le osterie, che erano luoghi di assembramento, e fu imposto anche un controllo della pulizia delle case.
All'epoca, non si sapeva quale fosse l'agente eziologico della malattia. Si riteneva le pestilenze fossero originate, in qualche modo, da un'aria putrefatta, e che quindi la pulizia degli oggetti, la profumazione dell'aria e la protezione delle vie di respirazione fossero misure efficaci per impedire il contagio.
Inoltre, per evitare che ci fossero esalazioni mefitiche, i morti di peste venivano sepolti in isole lontane dal centro, oppure, nei campi santi riservati a nobili, sotto grandi quantità di terrà.

Alla fine di questa grande prima ondata di pestilenza, che ebbe un grosso impatto sul tessuto economico, a causa della chiusura delle osterie e dei divieti di organizzare feste e processioni, il Consiglio impose degli sgravi fiscali per i commercianti e favorì l'immigrazione per ripopolare la città”.

L'intervista completa al professor Zampieri sulla storia della peste a Venezia. Montaggio di Elisa Speronello

Il 1348 non fu l'unico momento in cui la peste colpì Venezia. Nei secoli successivi, infatti, ci furono almeno altre tre grandi ondate che i cittadini della Serenissima si trovarono ad affrontare.
Come racconta il professor Zampieri, infatti, “la peste falcidiò l'Europa e in parte anche Venezia e l'Italia dalla metà del Trecento fino all'Ottocento. L'ultima grande pandemia di peste fu proprio alla fine dell'Ottocento, quando venne finalmente scoperto anche l'agente patogeno della malattia.

Per quanto riguarda Venezia, ci fu una seconda ondata molto importante nel 1423, durante la quale si arrivarono a contare fino a 40 morti al giorno. Ancora una volta, quindi, il Consiglio decise di adottare delle misure di contenimento. Venne chiusa la città per impedire l'accesso ai forestieri, venne stabilito l'obbligo di denuncia delle persone sospette di essere infettate, imponendo una pena fino a sei mesi di reclusione per chi le avesse ospitate.

Il 1423 è un anno importante anche perché viene decisa la costruzione del primo lazzaretto della storia, che sarebbe stato realizzato l'anno successivo sull'isola di Santa Maria di Nazareth, dove si trovava l'omonima chiesa e un convento dei frati eremitani. Il nome “lazzaretto”, che sarebbe stato condiviso da tutta l'Europa, deriva quindi probabilmente da una deformazione dialettale del termine Nazareth. Questa struttura, che alla fine del XV secolo contava già circa 200 posti letto, serviva a isolare gli appestati lontano dal centro della città e tenerli in un luogo specifico non tanto perché fossero curati, ma per accompagnarli al probabile decesso.

Nel 1468, venne decisa la costruzione del cosiddetto Lazzaretto Nuovo che, a differenza del primo, in cui venivano ospitati gli appestati, serviva per la quarantena. Si trovava in una posizione strategica, perché sorgeva su un'isola all'imbocco della laguna. Lì venivano portate le persone di cui si doveva verificare la guarigione o il contagio in 40 giorni. Inoltre, tutte le navi in entrata dovevano attraccare all'isola del Lazzaretto Nuovo e sostare lì per 40 giorni, per assicurarsi che l'equipaggio non fosse portatore di malattie. Le merci che trasportavano dovevano poi essere scaricate e disinfettate attraverso delle fumigazioni con erbe aromatiche profumate, come rosmarino e ginepro, che si pensava potessero eliminare i miasmi degli oggetti venuti in contatto con gli appestati.

Nello stesso anno della costruzione del Lazzaretto Nuovo, venne istituito il Magistrato della sanità, che era composto da tre patrizi eletti annualmente, da un ufficio tecnico per le questioni burocratiche, da un medico e da un braccio armato. Questo organo istituzionale si occupava di gestire le questioni attinenti all'ambito sanitario e anche di monitorare l'andamento dei flussi epidemici. Attraverso i contatti diplomatici e un network di spie che Venezia aveva in tutta Europa, il Magistrato della sanità doveva tentare di capire dove si trovassero i possibili focolai di peste e come gli individui e le merci si muovessero nel Mediterraneo. Queste informazioni venivano poi pubblicate e condivise con gli altri stati, per avere un controllo vero e proprio dei flussi epidemici”.

“La terza ondata di peste, in ordine cronologico, è quella del 1575-77”, continua il professor Zampieri. “Fu terribile perché morì circa un terzo della popolazione: un tasso di mortalità inimmaginabile per i nostri giorni. Su una popolazione di circa 150.000 individui ne morirono circa 50.000.
Vennero rafforzate le misure della quarantena nel Lazzaretto Nuovo e fu in quel periodo che si consolidò, da parte dei medici, l'uso di vestire con una lunga veste che copriva da capo a piedi, compresa di guanti e cappello, e di coprire il volto con una maschera dotata di un lungo becco riempito di erbe profumate, che servivano a proteggere l'apparato respiratorio ed evitare di inspirare l'aria ammorbata. Il medico era munito inoltre di una stecca per evitare di toccare direttamente il paziente, perché anche se l'ipotesi più accreditata era quella secondo la quale il contagio avvenisse con l'aria, si sospettava che anche il contatto potesse favorire la trasmissione della malattia.

All'inizio della pestilenza del 1575, avvenne un famoso incidente scientifico a scapito di due docenti dell'università di Padova. A Venezia erano stati osservati dei casi sospetti, e il senato voleva capire se si trattasse di peste, perché in caso affermativo avrebbe messo in atto tutte le misure di profilassi necessarie. Venne chiamato allora un famoso docente padovano, Girolamo Mercuriale, per avere un parere tecnico. Il medico, in buona fede, visitò i possibili ammalati, ma ritenne che non si trattasse di peste, bensì di una malattia meno pericolosa. Confortato da questo parere, il senato veneziano non dichiarò in tempo lo stato di pestilenza e scoppiò una terribile epidemia. Mercuriale, comunque, non fu additato per questo incidente. Scrisse un testo sulla peste in cui si giustificò affermando che i pazienti che aveva visitato fossero affetti da una febbre pestilenziale, che solo tempo dopo si sarebbe trasformata in peste.

Per ricordare la fine della pestilenza del 1575-77, venne eretta sull'isola della Giudecca la chiesa del Redentore, progettata da Andrea Palladio, e ancora oggi, durante la terza domenica di luglio, si svolge ogni anno la Festa del Redentore.

“L'ultima grande ondata di peste, dopo la quale Venezia non conobbe più gravi epidemie di questa malattia, fu quella del 1630-31, che Manzoni raccontò nei Promessi sposi. A proposito di opere letterarie, è interessante notare che anche Boccaccio, quando descrisse la peste nera del 1348 nel Decamerone, riportò l'usanza di medici e cittadini di circolare nelle città con delle spugne imbevute d'aceto davanti alla bocca e al naso, per proteggere le vie respiratorie da eventuali esalazioni mefitiche.
A Venezia, la grande ondata del 1630-31 causò la morte di un terzo della popolazione. Su 140.000 abitanti, infatti, ci furono approssimativamente 50.000 decessi. Fu una pestilenza che, a quanto pare, fu in parte nascosta dal governo veneziano per evitare le possibili ripercussioni economiche. Questo, naturalmente, non fece altro che peggiorare la diffusione della malattia.

Anche alla fine di questa pestilenza ci fu un famoso ex voto. Nel 1632 fu edificata la chiesa della Madonna della Salute e il 21 novembre ricorre l'omonima festa in ricordo della fine dell'ultima grande epidemia che colpì la città di Venezia”.

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