Quando il panico corre come un virus: la “Grande Paura” del 1789
La viralità delle informazioni non nasce con i social. Nell’estate del 1789, poco dopo la presa della Bastiglia, un altro evento non meno dirompente attraversava la Francia rurale: la cosiddetta Grande Paura. In poche settimane voci di complotti aristocratici e di bande armate in marcia sulle campagne si propagarono di villaggio in villaggio, scatenando ondate di panico, mobilitazioni improvvise e rivolte contro i simboli del potere feudale. Un contagio emotivo, diremmo oggi, ma senza stampa quotidiana, televisione o internet: solo voci, strade, mercati e campane. Come poté diffondersi così rapidamente?
A più di due secoli di distanza fisici, epidemiologi ed economisti hanno provato a rispondere con gli strumenti della scienza contemporanea. Uno studio pubblicato su Nature ha infatti applicato modelli di diffusione delle malattie infettive alle dinamiche di propagazione del panico durante il periodo rivoluzionario, cercando di comprendere come un sentimento collettivo possa viaggiare nello spazio e nel tempo. I risultati, frutto del lavoro di un team italo-francese comprendente Stefano Zapperi e Caterina La Porta dell’Università Statale di Milano, rivelano che il passaparola può seguire pattern molto simili a quelli di un virus: le simulazioni indicano infatti che bastano pochi “nodi” attivi perché, nel giro di giorni, una voce si estenda a un intero territorio. Un vero e proprio contagio sociale.
Il contagio emotivo e la voce come vettore
Nel 1789 le dicerie non restarono confinate alle parole ma innescarono azioni concrete: contadini armati, pattuglie improvvisate, allarmi lanciati ai villaggi vicini. Utilizzando una ricostruzione cronologica e geografica derivante dagli studi del grande storico Georges Lefebvre (1874-1959), gli autori hanno ricostruito le modalità spazio-temporali di diffusione delle notizie: in particolare è stato identificato un numero di riproduzione (R₀) di 1,5 tra il 20 luglio e il 6 agosto 1789, con un picco il 30 luglio e un rapido declino nei giorni successivi. Le mappe di diffusione ottenute, tracciate basandosi sulle antiche strade riportate nella Carta di Cassini, rivelano percorsi di contagio coerenti con le vie di comunicazione principali e permettono di individuare più focolai indipendenti, attivi quasi simultaneamente in diverse regioni.
L’analisi evidenzia che la diffusione della Grande Paura non fu casuale; essa colpì le località più popolate, alfabetizzate e con redditi medi più elevati: non fu quindi frutto, come pure è stato sostenuto, di ignoranza e arretratezza. Si rivelano inoltre determinanti altri fattori economici e giuridici, come il prezzo del grano e la presenza di terre libere da vincoli feudali, suggerendo che la paura non fu una reazione irrazionale ma una risposta politica a precise condizioni sociali e materiali. La distruzione dei registri feudali, avviata prima e intensificata durante l’ondata di panico, culmina il 4 agosto con l’abolizione dei privilegi da parte dell’Assemblea nazionale: dopo di allora il processo rallenta fino a scomparire in pochi giorni, lasciando dietro di sé solo episodi isolati nelle aree più periferiche. Gli autori concludono che il Grande Paura, piuttosto che un’epidemia di isteria collettiva, fu un moto razionale di autodifesa e rivendicazione, con tratti strutturali che anticipano la circolazione contemporanea delle voci e delle paure su Social, come ad esempio durante le rivolte delle Primavere arabe del 2010-11 o le più recenti proteste in Perù e Nepal.
L’utilizzo di dati e modelli matematici sempre più complessi potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione copernicana per le discipline storiche, ma bisogna anche riconoscerne i limiti. “Nel contagio l’infezione è un fatto di probabilità, mentre la trasmissione di un’informazione implica spesso una scelta deliberata” spiega sempre su NatureWalter Quattrociocchi, docente di informatica all’Università di Roma La Sapienza, dove dirige il Center for Data Science and Complexity for Society (CDCS). Obiezione alla quale gli autori hanno replicato sostenendo che il loro approccio non riguarda il passaggio tra individui ma tra comunità: “Ogni centro è composto da migliaia di persone – osserva nello stesso articolo Stefano Zapperi, fisico teorico e primo firmatario della ricerca –; quando un’intera comunità è ‘infettata’ da una voce o diceria, il fenomeno assume caratteristiche probabilistiche che possono essere studiate con gli stessi strumenti dell’epidemiologia”.
Lo sguardo dello storico
“La ricerca mi sembra nell’insieme interessante, anche se per gli aspetti propriamente quantitativo-matematici le mie competenze sono certamente inadeguate – si schermisce Vittorio Criscuolo, già docente di storia moderna presso l’Università Statale di Milano ed esperto del periodo rivoluzionario e napoleonico –. Ad ogni modo la ricostruzione mi sembra molto utile, grazie anche all’uso di mappe digitalizzate e di un valido sistema di visualizzazione dei dati considerati. Mi sembra anche positiva la particolare attenzione data alle condizioni istituzionali, demografiche e socio-economiche nelle quali si sviluppò il fenomeno. Naturalmente per questo aspetto l’analisi quantitativa mostra anche i suoi limiti, in quanto per forza di cose non considera adeguatamente la specificità delle situazioni locali, che è uno dei fattori per i quali il fenomeno assunse forme differenti da zona a zona”.
È però possibile applicare modelli matematici a una materia che, come la storia, è stata finora oggetto soprattutto di analisi di tipo qualitativo? “Il parallelo con la diffusione delle epidemie fornisce un suggestivo elemento di raffronto e viene opportunamente utilizzato nella consapevolezza della intrinseca diversità dei fenomeni – continua Criscuolo –. Per lo storico risulta molto interessante il fatto che lo studio confermi l’interpretazione proposta dal classico libro di Lefebvre La Grande Peur de 1789 (1932) e da quanti hanno lavorato nel solco da lui tracciato, mentre smentisce le posizioni di coloro che hanno visto nel fenomeno soprattutto il prevalere di pulsioni emotive e irrazionali”.
In questa prospettiva, la paura collettiva del 1789 appare meno come un contagio e più come un modo attraverso cui le comunità rurali tradussero l’incertezza politica in azione concreta. “Queste emozioni si innestarono sul profondo malessere del mondo contadino e in particolare sull’odio per i diritti signorili, innescando in varie località violenze contro i castelli con la conseguente distruzione degli archivi feudali. In definitiva – conclude Criscuolo – la Grande Paura nell’interpretazione di Lefebvre rappresentò l’ingresso nella rivoluzione francese delle masse rurali, animate dall'aspirazione a un rinnovamento delle condizioni sociali delle campagne”. Se il paragone con le epidemie ci aiuta insomma a capire come le paure si diffondano, è la memoria storica a ricordarci perché nascono.