SCIENZA E RICERCA

Un volto per san Teobaldo

Un uomo sui 30-35 anni, alto un metro e 70-75 centimetri, con segni di infiammazione sul tessuto osseo frontale attribuibili – forse – alla lebbra. I primi dati che emergono dall’esame antropologico condotto in questi giorni sui resti scheletrici attribuiti a San Teobaldo, nella chiesa di san Giovanni Battista a Badia Polesine, sembrerebbero confermare quanto tramandato dalla tradizione storica che vorrebbe il santo vissuto tra il 1033 e il 1066 e morto, per l’appunto, di lebbra. Il prossimo passo ora sarà l’esame del Dna e la ricostruzione del volto, come è stato fatto per sant’Antonio nel 2014 e per san Valentino nel 2018.

La ricognizione del corpo di San Teobaldo è la decima nella storia e la seconda condotta dall’ateneo di Padova, dopo quella del 1972 guidata da Cleto Corrain. Lo studio ora, oltre a dare una fisionomia al santo, potrebbe contribuire anche a fornire nuove informazioni sulla diffusione della lebbra in Europa.

Nicola Carrara e Cinzia Scaggion illustrano lo studio dei resti attribuiti a san Teobaldo condotto a Badia Polesine. Riprese e montaggio di Tommaso Rocchi

“I resti di san Teobaldo sono molto interessanti dal punto di vista scientifico, perché sono associabili a una corposa serie di notizie storiche sulla vita e sulle vicende delle sue spoglie – sottolinea Alberto Zanatta che fa parte del gruppo di lavoro con Nicola Carrara, Cinzia Scaggion, Gilberto Artioli e la sottoscritta dell’Università di Padova e Luca Bezzi di Arc-team s.r.l. –. Questa situazione è eccezionale, dato che molto spesso si lavora con resti umani privi di questo corredo di notizie. Dal punto di vista antropologico le ossa sono preziose, perché le cronache non menzionano mai la sepoltura e quindi esse non dovrebbero essere andate incontro ai processi degenerativi che avvengono naturalmente durante la deposizione a terra”.

Aggiunge Nicola Carrara, coordinatore del gruppo: “Stando ai primi rilievi eseguiti le condizioni di conservazione delle ossa sono apparentemente buone e dunque ci si attende un Dna ben leggibile: esso ci aiuterà a inquadrare l’area di provenienza del Santo e a verificare la presenza o assenza genetica del Mycobacterium leprae, agente della lebbra. Le cronache riportano infatti che San Teobaldo morì a causa di questa malattia: se così fosse, avremo un dato scientifico che mostrerebbe la presenza in Europa di questa infezione almeno 100-150 anni prima della grande epidemia che colpì il continente nel XII-XIV secolo”.

Durante le indagini a Badia Polesine, compiute alla presenza di una commissione canonica costituita dal vescovo Pierantonio Pavanello, gli studiosi hanno prelevato dai resti scheletrici di San Teobaldo micro-campioni di polvere d’osso per l’analisi genetica, hanno condotto uno studio antropologico dei resti e hanno effettuato un rilievo 3D delle reliquie tramite tecniche di Structure from motion e Multiple-View Stereovision. Ora le ricerche continueranno a Padova: è previsto lo studio del DNA per definire il tipo etnico e la presenza di eventuali agenti patogeni, la ricostruzione facciale forense con tecniche digitali e la preparazione di un video 3D del viso ricostruito.

La ricognizione delle reliquie di un santo - sottolinea Carrara - è un’occasione unica per gli antropologi, perché ci si trova in un contesto diverso rispetto a quello in cui si lavora di solito. In uno scavo archeologico dobbiamo trovare informazioni su chi è la persona che studiamo, in questo caso invece sappiamo già di chi si tratta, le fonti storiche ci aiutano. Anzi, le ossa ci permettono di sperimentare la bontà dei metodi antropologici e quindi di verificarli”.

Lo studio dei resti attribuiti a san Teobaldo è stato fortemente voluto dalla comunità ecclesiastica e locale che ha anche finanziato le indagini. 

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