SCIENZA E RICERCA

Voyager 1 registra il rumore del gas interstellare

Voyager 1 ce l’ha fatta ancora, a stupirci, questa volta diventando il nostro orecchio in ascolto delle profondità dello spazio. Proprio da più di 150 au (unità astronomiche), cioè a circa 23 miliardi di chilometri dalla Terra, Voyager ci restituisce un ronzio. Questo ronzio, una sorta di “uhm” come è stato descritto a più riprese, è al centro di un articolo pubblicato su Nature Astronomy e firmato da un team guidato da Stella Koch Ocker della Cornell University, Stati Uniti.

La sonda è dotata di un particolare strumento, il Plasma Wave System, che è in grado di misurare la densità del plasma del mezzo interstellare locale. Voyager 1, in realtà, lo misura da quando è uscita dal sistema solare e in totale ha registrato ben otto eventi di oscillazione del plasma interstellare causati dall’attività del Sole. Gli eventi registrati hanno avuto una durata variabile da un paio di giorni fino a un anno. Le cose sono cambiate però dal 2017, quando nell’intervallo tra un’oscillazione e l’altra, è stato registrato un tenue, ma continuo ronzio con una frequenza di 3 kHz. Secondo gli astronomi questo segnale può essere ricondotto alla condizione di quasi vuoto del mezzo interstellare. I ricercatori hanno quindi ripetuto le misurazioni più volte fino a coprire una distanza complessiva di 10 au. “In pratica si tratta di un singolo tono, con un’ampiezza di banda molto stretta”, afferma Stella Koch Ocker. Proprio la variazione di frequenza permette agli studiosi di determinare come cambia la densità dello spazio. Andando a ritroso nel tempo, e partendo dal 2012, hanno notato che la densità media del plasma misurata ha iniziato a salire un po’ alla volta, e nel 2015 il valore registrato è stato quaranta volte più alto rispetto alle prime misurazioni e rimane costante. Secondo gli autori, il monitoraggio continuo della densità attraverso questi ronzii indica che le onde di plasma del mezzo interstellare sono più attive di quello che gli scienziati pensassero in precedenza e questo permette loro di studiare la densità del plasma anche quando non è perturbato dalle attività del Sole.

Intervista al prof. Ragazzoni, direttore dell'Osservatorio astronomico di Padova - Montaggio di Elisa Speronello - Image Credit: Nasa

La frequenza di 3 kHz è davvero lieve ed è associabile a una nota musicale, spiega il professor Roberto Ragazzoni, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Padova: “è questa la frequenza, che corrisponde, mi perdonino i musicisti, a un fa 7 diesis, e si muove molto lentamente nel tempo”. Infatti il ronzio può mutare: “ è stato un fa 7 diesis misurato nel 2018, poi man mano che si allontanava la sonda è diventato un sol 7, poi è ritornato un fa 7, tutto nel giro di tre anni, quindi diciamo è una musica suonata con molta, con molta lentezza” conclude il professore.

Sarebbe molto interessante poter scattare una foto alla sonda Voyager 1, proprio lì, nella profondità del mezzo interstellare, cioè in quella porzione di spazio sconosciuta che c’è tra una stella e l’altra. E invece la sonda è lì, tutta sola, a più di 150 unità astronomiche, a compiere imprese per cui sarà ricordata per decenni, o magari secoli. Niente immagini, quindi, per soddisfare la nostra curiosità, ci dovremo accontentare di foto storiche, di rendering e della nostra immaginazione. Rimane la consapevolezza che Voyager 1 dovrebbe essere ricordata come la missione spaziale dei record, delle prime volte. Lanciata nel 1977 qualche giorno dopo la gemella Voyager 2, è riuscita a superarla grazie alla rotta più rettilinea. Dopo le ricognizioni attorno a Giove e Saturno, la traiettoria l’ha portata fuori dal sistema solare, precisamente nell’estate del 2012. Da quasi 10 anni si trova quindi immersa nel mezzo interstellare. Da una parte il nostro Sole e dall’altra la Proxima Centauri, una nana rossa che è inserita nella costellazione, appunto, del Centauro. Però non è lì che Voyager diretta, infatti gli scienziati, che ipotizzano la prosecuzione delle attività di entrambe le Voyager fino alla fine del decennio in corso, indicano come direzione la nube di Oort, e poi ancora, silenziosamente, verso la costellazione dell’Ofiuco.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012