È bastato annunciare la vittoria del partito dell’ex presidente Robert Mugabe, il Zanu-Pf, a far esplodere la rivolta nelle strade della capitale dello Zimbabwe, Harare. Nonostante tutti i dettagli delle elezioni presidenziali, le prime senza lo storico leader del paese, saranno resi note solo nella giornata di sabato 4 agosto, la popolazione fin troppo abituata a brogli elettorali, frodi e corruzione, ha iniziato a sollevarsi. L'esercito, intanto, spara sulla folla, decretando la fine di tutte le speranze, interne e internazionali, di assistere a una transizione di potere pacifica.
La repressione è stata così violenta che la commissione elettorale, chiamata a vigilare sulle importanti elezioni in corso, ha condannato l’eccessivo uso della forza dei corpi di polizia nei confronti di persone non armate. Persino l’ambasciata statunitense ad Harare si è espressa preoccupata per gli avvenimenti in corso e ha chiesto ai militari di “mostrare moderazione”.
L’attuale leader del Zanu-PF (Unione africana nazionale dello Zimbabwe) e presidente in carica, Emmerson Mnangagwa, si è messo in contatto con il suo oppositore principale, Nelson Chamisa, per far tornare la pace nel paese. Sempre su Twitter annuncia di voler avviare un’investigazione indipendente per consegnare alla giustizia i responsabili dei disordini.
Le prime proteste si sono sollevate mercoledì 1 agosto, dopo la decisione della commissione elettorale di non divulgare i risultati delle elezioni prima della fine della settimana, ma vista la situazione, si è poi ritrovata costretta a dichiarare almeno il partito vincitore, lasciando tutti i risultati ufficiali, tra cui il nome del presidente, dei deputati e dei consiglieri municipali, in sospeso fino al 4 agosto.
Nel frattempo è arrivato anche il commento dell'Unione europea che si unisce alla condanna internazionale della violenza utilizzata e rende note le prima conclusioni della Missione europea di osservazione, guidata dall'eurodeputato Brok: "Le elezioni sono state competitive e le libertà politiche rispettate, durante la campagna. Sono state osservate una serie di lacune, tra cui la mancanza di un terreno di gioco alla pari. Il voto è stato ben organizzato, ora è importante che i risultati finali siano condivisi in piena trasparenza, inclusa un'analisi dettagliata per seggio".
Le elezioni che si sono svolte lunedì 30 luglio 2018 in Zimbabwe sono state definite storiche perché hanno permesso a 5,6 milioni di cittadini di esercitare il loro diritto di voto dopo l’era Mugabe. L’ex presidente, infatti, è stato al potere dal 1980 al 1987 come premier, poi come capo di stato fino a novembre 2017, per un totale di 37 anni contraddistinti da una feroce repressione contro ogni forma di opposizione, e da elezioni sempre truccate a suo favore. Durante il suo governo numerose sono state le violazioni dei diritti umani: per esempio l'omosessualità era considerata illegale. Anche l'economia ha risentito duramente della sua lunga permanenza al potere, diventando sempre più debole, fino al punto di dover abbandonare la moneta nazionale.
A novembre dello scorso anno lo Zimbabwe ha assistito alle dimissioni del suo padre-padrone, tutt’altro che volute, ma imposte. Il parlamento aveva iniziato una procedura di impeachment nei suoi confronti, quindi il novantatreenne ha preso la decisione di uscire di scena in modo pacifico. A quel punto nel Paese si respirava un’aria di festa, e di speranza, che non si vedeva da molti anni.
Al vecchio “dinosauro” ha fatto seguito l’ex vicepresidente Emmerson Mnangagwa che, dopo aver giurato nello stadio gremito di Harare, ha annunciato delle “elezioni democratiche” a luglio del 2018. Si è aperta così una campagna elettorale pacifica e partecipata, piena di candidati alla presidenza: accanto al presidente in carica Mnangagwa, detto “il coccodrillo”, altri 18 uomini e 4 donne.
Nonostante il grande numero di candidati, che rischiano di vanificare i voti dell’opposizione, sono solo due i nomi che hanno animato il dibattito politico. Oltre a Mnangagwa, il settantacinquenne successore del dittatore, c’è il quarantenne Nelson Chamisa. Il primo si è trasformato da fedelissimo di Mugabe in fervido avversario; il secondo, militante del Movement for Democratic Change (Mdc), dall'oratoria vivace e di ispirazione “obamiana”, raccoglie invece l’eredità di un altro personaggio importante del paese, Morgan Tsvangirai, deceduto pochi mesi prima delle elezioni. Tsvangirai ha fondato e guidato quel partito che, dalla fine degli anni Novanta, ha incarnato l’alternativa democratica allo strapotere del Zanu-Pf di Mugabe. Proprio con l’ex dittatore ha vissuto un periodo di coabitazione come primo ministro, dopo aver sopportato violenze e incarcerazioni.
Nonostante la campagna si sia svolta in una sostanziale pace, non sono mancate le stesse polemiche che hanno accompagnato le precedenti elezioni: accuse di brogli e violenze, e sospetti di scambi di favori. Per convincere l’opinione pubblica di essere fatto di una pasta diversa rispetto al suo predecessore Mungabe, Mnangagwa ha invitato gli osservatori internazionali, dopo 16 anni di assenza, a seguire le elezioni e a certificarne la regolarità. La sua campagna elettorale è stata incentrata sulla stabilità e sull’esperienza che possiede, rivendicando di aver riaperto lo Zimbawbe agli investitori. In effetti, dalle dimissioni di Mungabe e da conseguente suo incarico ad interim, il Paese ha visto effetti positivi in diversi settori, soprattutto quello del turismo che ha segnato il 15% in più di viaggiatori stranieri. Per quanto riguarda Chamisa, invece, ha fatto molto affidamento alla sua dialettica e sulla forza del linguaggio del cambiamento.
Entrambi i candidati hanno promesso di sviluppare le infrastrutture industriali e di potenziare i trasporti, e di sanare il debito dello Stato fino all’ultimo centesimo. Per tutti e due è importante porre fine alla corruzione e innescare una riforma del settore agricolo. Si tratta di un argomento molto delicato per il Paese, dato che negli anni Duemila sono iniziate una serie di confische territoriali, sfociate poi in vari disordini. La situazione è così precipitata fino a portare a un pesante indebolimento del settore, con conseguente grave ricaduta sull’economia. Infatti per lo Zimbabwe l’agricoltura è uno dei principali scambi con l’estero, insieme ai minerali e all’oro ricavati dalle numerose miniere.
Per il momento la situazione ad Harare è complicata ed è stata gestita nel modo in cui lo avrebbe fatto l’ex presidente Mugabe, ovvero con la repressione. La commissione elettorale chiede pazienza nell'attendere tutti i dettagli dei risultati elettorali, e dichiara che resterà sul posto fino a quando il processo elettorale sarà completato. Sarà pubblicata anche una relazione finale che conterrà anche delle raccomandazioni per rafforzare il quadro elettorale dello Zimbabwe. Intanto dalla popolazione emerge un gran desiderio di cambiamento, mentre da tutte le forze politiche continuano le richieste di pace, in un Paese che, di violenza, ne ha vissuta fin troppa.