SCIENZA E RICERCA

Dov'è finita l'acqua di Marte primordiale?

Grandi letti di fiumi completamente vuoti, bacini marini asciutti e grandi laghi prosciugati sono oggi i testimoni silenziosi di questo passato, di un Marte primordiale e particolarmente umido. Dalle immagini arrivate dalle missioni orbitali, fino alle più recenti esplorazioni dei rover, tutto fa pensare che un tempo Marte fosse un pianeta blu, un pianeta con interessanti quantità di acqua liquida. Da anni quindi gli scienziati si interrogano su dove possa essere finita una tale quantità d'acqua, proponendo alcune teorie, facendo delle stime quantitative e temporali. Proprio queste teorie, con relative stime annesse, dovranno essere aggiornate a seguito della scoperta di un nuovo nascondiglio per l'acqua marziana, ad opera di Eva Scheller e colleghi. Gli studiosi del California Institute of Technology di Pasadena, Stati Uniti, hanno proposto che uno dei magazzini importanti dell'antica acqua su Marte sia da cercarsi all'interno dei minerali presenti nella crosta. Si tratta di un processo geologico noto ma che finora non era stato pensato per Marte come un processo importante e su scala planetaria.

Finora gli scienziati si erano concentrati su altre cause di perdita di acqua liquida connesse alla progressiva rarefazione dell'atmosfera marziana. Marte di quattro miliardi di anni fa, e anche in precedenza, era interessato da un’intensa attività vulcanica che però è diminuita nel tempo. La diminuzione dell'attività vulcanica, spiega il professor Matteo Massironi del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova e docente di Geologia planetaria, “è dovuta al fatto che Marte è un pianeta piccolo, quindi raffreddandosi più velocemente, il suo mantello (la parte interiore del pianeta compresa tra nucleo e crosta), comincia a produrre meno magma che quindi fatica ad arrivare in superficie. La minore attività vulcanica implica una minore emissione di gas di origine vulcanica in atmosfera”. Diminuendo la temperatura del pianeta, diminuiscono fino a fermarsi i moti convettivi del nucleo che sono all’origine del campo magnetico. Proprio il campo magnetico protegge l'atmosfera dei pianeti dalle radiazioni solari. Diminuendo quindi il campo magnetico, l'atmosfera si è trovata esposta alle radiazioni, le quali hanno provocato un fenomeno che si chiama fotodissociazione, che comporta la separazione delle molecole d'acqua dell’atmosfera nei suoi atomi costituenti, che vengono poi facilmente persi nello spazio.

Intervista completa al professor Matteo Massironi - Servizio e montaggio di Elisa Speronello

Ma non tutta l'acqua è stata spazzata via da Marte, una buona parte si trova ancora lì, nella sua forma di ghiaccio sotterraneo, il permafrost. Infatti il clima, essendo diventato sempre più freddo, ha permesso la formazione di grandi magazzini di acqua ghiacciata nel sottosuolo. “Questo ghiaccio d'acqua può alimentare momentaneamente dei percorsi effimeri, dei rivoli effimeri di brine (acqua con sali), che si vengono a formare quando il Sole colpisce una parete di roccia in cui è presente questo ghiaccio, che può appunto sciogliersi” racconta il professor Massironi e specifica che l'acqua, nella sua forma liquida, su Marte di oggi non è stabile: “perdendo l'atmosfera, diminuisce la pressione dovuta all'atmosfera stessa e quindi l'acqua liquida, in superficie, su un pianeta come Marte non è più possibile, perché l'acqua passa da uno stato solido direttamente allo stato gassoso per via di un processo che si chiama sublimazione”.

La scoperta di Scheller e colleghi, però, non traccia una linea sulla teoria della fotodissociazione, ma piuttosto si vuole affiancare a essa e completarla, in un certo senso.

Scheller sostiene quindi che le molecole d'acqua, arrivate a contatto con i minerali, sono state incluse nel reticolo cristallino del minerale, che diventa in questo modo idrato. Infatti minerali idrati sono presenti e comuni su Marte. “E Scheller ha scoperto che questo processo può essere molto importante, anche più importante della perdita di acqua nello spazio. Questo effettivamente rivoluziona un po' tutti i pensieri che avevamo sulla superficie di Marte e su quali fossero i magazzini importanti dell'antica acqua su Marte” sottolinea il geologo, che però mette in guardia anche sui punti deboli della ricerca, che sono essenzialmente due. In primo luogo lo studio si basa su modelli che a loro volta poggiano su assunzioni, alcune delle quali provengono da dati che non sono completamente consolidati. Per esempio, spiega Massironi, “questi processi possono variare nel tempo, in funzione che vi sia un periodo più antico ed umido di Marte, o in un periodo più secco e più recente, questa evoluzione graduale, in un modello, non si riesce a riprodurre perfettamente”. In sostanza in una determinata epoca, il modello cambia il tipo di interazione presente tra atmosfera, acqua in superficie, fotodissociazione e idratazione dei terreni, quindi non vincolando bene questo momento di transizione, non è possibile veicolare il modello in modo certo. In secondo luogo, non si conosce lo spessore della crosta che contiene i minerali idrati. Attualmente si suppone che la parte superficiale esposta su Marte odierno, che ha variazioni anche di qualche chilometro, sia interessata dal processo di idratazione, “però questa non è la morfologia che si vedeva quattro miliardi di anni fa” spiega il professore Massironi, “né quella di tre, né quella di due, quindi c'è stata un'evoluzione della superficie, di conseguenza l'idratazione potrebbe essere più superficiale o, a causa dell’infiltrazione nel sottosuolo, anche più profonda rispetto a ciò che hanno immaginato nello studio”. Occorrono quindi maggiori dati per poter capire quanto il processo di idratazione sia stato importante per l'evoluzione geologica del pianeta rosso.

Con l'arrivo sulla Terra, tra qualche anno, dei campioni che il rover Perseverance sta raccogliendo dalla superficie marziana si potranno scoprire le età di queste rocce, controllare l’acqua che può essere intrappolata al loro interno, e quindi capire, spiega Massironi, quale fosse la sua composizione isotopica in determinati momenti sulla superficie di Marte. Con questi dati sarà quindi possibile aggiungere delle informazioni importanti per consolidare, o meno, l’ipotesi di un intensa idratazione di suoli e rocce marziane nel tempo.

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