SCIENZA E RICERCA

Lupi, cani e umani. Una storia millenaria da ricostruire sulla base di antichi genomi

Dai pitbull ai chihuahua, dai terranova ai barboncini. I cani di tutte le razze appartengono a un’unica specie, quella del canis familiaris che discende, a sua volta, dal canis lupus, comunemente conosciuto come lupo grigio.

Gli artefici del processo di selezione e addomesticamento che, nel corso di numerose generazioni, ha portato alla diversificazione tra cani e lupi sono gli esseri umani preistorici. Quello del cane è infatti il più antico caso di animale addomesticato dall’uomo e costituisce ancora un grande mistero della preistoria. Finora, infatti, gli studi archeologici non sono ancora stati in grado di chiarire con esattezza dove e quando i nostri antichi antenati iniziarono ad addomesticare i lupi. Le origini di questo lungo processo (che deve aver richiesto molto tempo e deve aver impegnato numerose generazioni) sono attualmente oggetto di dibattito all’interno della comunità scientifica.

I primi resti archeologici di canis familiaris ritrovati finora risalgono a circa 14.000 anni fa. Per questo motivo, la domesticazione canina dev’essere partita almeno 15.000 anni fa. Sono state avanzate diverse ipotesi da parte di archeologici, genetisti e zoologi che cercano di stabilire con più precisione il periodo e il luogo in cui questa storia ha avuto inizio. Ad esempio, uno studio del 2020 suggerisce che le prime fasi di questo processo abbiano avuto origine in Siberia almeno 23.000 anni fa.

È ormai assodato che la finestra temporale entro la quale dovrebbe essere iniziato l’addomesticamento corrisponde a un periodo compreso tra i 40.000 e i 20.000 anni fa. È possibile, inoltre, che questo longevo rapporto di collaborazione tra uomini e lupi non abbia avuto un’unica origine localizzata in un solo luogo ma che sia iniziato in luoghi diversi in maniera indipendente, poiché i più antichi resti di cani scoperti finora provengono da diverse regioni dell’Europa, dell’Oriente, della Siberia e delle Americhe.

Un recente studio pubblicato su Nature ricostruisce per la prima volta la storia evolutiva di un’intera specie animale (canis lupus) in un arco di tempo di 100.000 anni e fornisce nuovi e interessanti indizi utili a risolvere il mistero delle origini della domesticazione dei cani. Questo imponente lavoro di ricerca è stato guidato da un gruppo di ricercatori del Francis Crick Institute di Londra e ha coinvolto ben 9 laboratori di analisi del DNA e circa 80 studiosi di genetica e archeologia provenienti da 38 istituti di ricerca localizzati in 16 diversi paesi.

Lo studio si basa sull’analisi di un dataset di 72 genomi di lupi antichi provenienti dall’Europa, dalla Siberia e dall’America del Nord, 66 dei quali non erano mai stati sequenziati finora. Il primo firmatario dello studio Anders Bergström e coautori speravano che paragonare il DNA dei cani moderni a quello dei lupi antichi che abitavano le diverse zone del continente permettesse di identificare, tra questi ultimi, quali fossero i parenti più stretti dei cani di oggi e quali regioni occupassero.

Bergström e coautori hanno appurato che tutti i cani – sia quelli preistorici ritrovati in Europa nordorientale, Siberia e Americhe, sia quelli moderni – presentano una somiglianza genetica con una popolazione di antichi lupi provenienti dalle aree orientali dell’Eurasia. Si potrebbe dedurre, quindi, che la domesticazione del cane sia iniziata nelle aree in cui abitava questa antica popolazione di lupi. Purtroppo, però, la questione è più complicata di così. Infatti, i dati genetici analizzati dagli autori mostrano che i cani antichi e moderni dell’Europa occidentale e dell’Africa condividono una parte del loro DNA con un altro gruppo di antichi lupi che viveva nell’Europa occidentale.

Per riassumere, tutti i cani provenienti dall’Eurasia, dall’Africa e dalle Americhe, sia quelli antichi che quelli moderni, condividono un antenato comune, il lupo siberiano; ma per alcuni di essi, ovvero quelli dell’Europa occidentale e dell’Africa, si può parlare di una doppia discendenza. Questi ultimi, infatti, hanno un progenitore in più rispetto ai loro lontani parenti dell’est: l’antico lupo dell’Eurasia occidentale.

Come riflettono gli autori, sono due le possibilità che potrebbero spiegare il caso di questa doppia discendenza. Il processo di addomesticamento dei lupi potrebbe essere iniziato in diversi luoghi in maniera indipendente, come già teorizzato in alcuni lavori precedenti; oppure, potrebbe essere accaduto che alcuni cani già addomesticati, provenienti da un’unica area, si siano mescolati a un certo punto con un gruppo di lupi selvatici provenienti da ovest.

Per quanto Bergström e colleghi non siano riusciti a identificare con precisione l’origine geografica dei cani, il loro lavoro aggiunge un nuovo importante tassello del puzzle che avvicina alla soluzione di questo mistero ancora da risolvere. La ricerca futura sarà concentrata sull’analisi dei genomi provenienti da resti di lupi antichi ritrovati delle regioni più meridionali nell’Europa, dove però, a causa dei climi più caldi, è più difficile trovare campioni di DNA ben conservati.

Ma il valore scientifico di questo studio non si limita a questo. I 72 genomi antichi contenuti nel database coprono circa 30.000 generazioni di lupi antichi in un arco di tempo di 100.000 anni. Ciò ha permesso agli autori di costruire una linea temporale sulla base della quale ripercorrere le tappe dell’evoluzione genetica e demografica delle preistoriche popolazioni di lupi come non era mai stato fatto finora per nessun animale di grandi dimensioni.

La scoperta più importante, da questo punto di vista, riguarda la presenza di una variante genetica associata a un gene chiamato IFT88. Gli autori hanno osservato che, in un arco di tempo di circa 10.000 anni, la diffusione di questa variante, che inizialmente rasentava lo 0%, è aumentata sensibilmente ed è tutt’ora molto elevata tra i cani e i lupi odierni.

La variante in questione è associata allo sviluppo delle ossa del cranio e della mascella (ma potrebbe essere coinvolta anche in altre funzioni ancora sconosciute) e il motivo per cui è passata dall’essere così rara ad essere pressoché onnipresente tra gli esemplari delle specie in questione dipende probabilmente da un cambiamento delle condizioni metereologiche e, di conseguenza, anche dalle diverse disponibilità di prede durante il periodo dell’era glaciale. In questa fase della preistoria, infatti, i lupi che avevano una determinata forma del cranio (associata alla presenza di questa variante) erano avvantaggiati nella ricerca di cibo e avevano quindi più probabilità di sopravvivere. Ecco quindi che, per selezione naturale, questa variante è stata tramandata a quasi tutti i discendenti.

Infine, l’analisi dei genomi antichi ha anche dimostrato che i vari branchi di lupi che abitavano il vecchio continente erano altamente connessi tra loro. Gli autori suggeriscono che proprio questa capacità di mantenere relazioni stabili con i membri di altri gruppi ha permesso ai lupi di sopravvivere all’era glaciale, a differenza di altri grandi mammiferi carnivori.

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