CULTURA

Alla Biennale 2020, l'architettura del cambiamento di fronte alle sfide globali

Come vivremo iniseme? Se lo chiede, e chiede una risposta al mondo dell’architettura, Hashim Sarkis, il curatore della prossima Mostra internazionale di Architettura, che si svolgerà dal 23 maggio al 29 novembre 2020 ai Giardini e all’Arsenale e in vari luoghi di Venezia (aggiornamento del 4 marzo 2020 con nuove date: dal 29 agosto al 29 novembre 2020).

How will we live together? È questo infatti il titolo della prossima Biennale, che l’architetto e preside della scuola di architettura e pianificazione del MIT di Boston spiega così: “Abbiamo bisogno di un nuovo contratto spaziale. In un contesto caratterizzato da divergenze politiche sempre più ampie e da disuguaglianze economiche sempre maggiori, chiediamo agli architetti di immaginare degli spazi nei quali possiamo vivere generosamente insieme”. Come esseri umani, famiglie, comunità emergenti che esigono equità, inclusione e identità spaziale, trascendendo i confini alla ricerca di nuove geografie associative e affrontando le crisi che richiedono un’azione globale per una vita sostenibile, dignitosa, comunitaria.

Risponderanno a questa domanda i 114 partecipanti in concorso quest’anno: provenienti da 46 paesi, con una rappresentanza crescente da Africa, America Latina e Asia, e, sottolinea il curatore, “con una maggiore rappresentanza di donne architetto”.

Gli architetti convocati alla Biennale, assieme ai curatori delle partecipazioni nazionali, sono anche chiamati ad affrontare il bisogno di un’edilizia sociale inclusiva e di strumenti innovativi per un tessuto urbano e territoriale connesso e connettivo: imperativi urgenti sia nelle economie emergenti che in quelle avanzate. 

La scelta di Sarkis quale curatore, da parte della Biennale veneziana, indica una direzione, già segnata nelle precedenti edizioni, che punta a indagare un vivere sociale e sostenibile. “Con Hashim Sarkis – commentava a luglio scorso il presedente Paolo Baratta - la Biennale si dota di un curatore particolarmente sensibile ai temi e alle urgenze che la società, nelle diverse contrastanti realtà, pone per il nostro abitare”. In occasione della presentazione ufficiale della Biennale architettura, che si è svolta il 27 febbraio 2020, esclusivamente online per l’emergenza sanitaria planetaria, Baratta confermava il proseguimento di una scelta “sociale e civile” della mostra: “Un tema costante in tutti questi anni è stato quello dei vantaggi sociali che possono derivare dalla presenza dell’architettura. L’architettura ci fa individui più consapevoli, ci aiuta a essere non solo consumatori, ma cittadini, ci stimola a considerare gli effetti indiretti delle nostre azioni, ci aiuta a comprendere meglio l’importanza dei beni pubblici e dei beni gratuiti. Ci aiuta a sviluppare una visione del welfare più completa”. 

Se la Biennale Architettura 2018 fu occasione per parlare dello spazio libero e gratuito, con Hashim Sarkis l'orizzonte si allarga a tutte le questioni oggi sollevate dal vivere insieme. La riflessione architettonica di questa mostra dovrà allora analizzare le crisi potenziali e i problemi che non trovano adeguata soluzione nelle nostre economie e nelle nostre società, alle quali occorrono oggi maggiore consapevolezza e una vasta e coraggiosa progettualità. 

In un’epoca che non cavalca più la sensazione di essere a cavallo di un progresso positivo, ma anzi quella di essere vittime dei cambiamenti che esso comporta, la Biennale vuole ricordare che l’identità di una società o di una comunità sta nella qualità dei progetti che è capace di formulare per il suo futuro. “Come dimostrano numerosi fenomeni che interessano il mondo proprio in questi giorni – afferma Baratta, con un pensiero all’emergenza sanitaria che sta colpendo l’Italia - i progetti non possono essere che il frutto di una estesa consapevolezza e diffusa collaborazione. Anche gli ultimi accadimenti ci spingono a pensare che abbiamo bisogno di collaborare, di vivere e progettare insieme. Non abbiamo bisogno di visioni ristrette e particolaristiche”.

“How will we live together?” è dunque una domanda tanto sociale e politica quanto spaziale. Le norme sociali in rapida evoluzione, la crescente polarizzazione politica, i cambiamenti climatici e le grandi disuguaglianze globali ci fanno porre questa domanda in maniera più urgente e su piani diversi rispetto al passato.

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