SOCIETÀ

Come il razzismo ambientale influisce sulla pandemia

Il virus colpisce chiunque, nessuno può sentirsi al sicuro dalla COVID-19: ma è veramente così democratico? Sicuramente il virus di per sé non fa distinzione tra etnie o classi sociali, ma, da quello che stiamo vedendo dai dati dei contagiati, notiamo che anche le disuguaglianze economiche possono influire e le minoranze ad essere più colpite.

Nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro Tedros Adhanom Ghebreyesus

Prendiamo l’esempio concreto del Paese che ad oggi ha più contagi in tutto il mondo. Gli Stati Uniti hanno superato il milione e settecento mila casi e il numero di persone afroamericane colpite sarebbe stato tre volte superiore a quello del resto della popolazione. Sarebbero più di 20 mila gli afroamericani deceduti a causa della COVID-19 al ritmo di 50,3 per 100.000 persone, decisamente più alto rispetto alle 20,7 per i bianchi, 22,9 per i latinoamericani e 22,7 per gli americani di origine asiatica.

Razzismo o povertà?

Ma è un problema di razzismo o di povertà? A questa domanda ha cercato di rispondere Harriet Washington, scrittrice americana, autrice di “A Terrible Thing to Waste: Environmental Racism and Its Assault on the American Mind”. In un articolo su Nature l’autrice ha dichiarato che “la povertà è un fattore di rischio per il malessere, ma le disparità razziali nell'esposizione agli inquinanti ambientali sono fattori maggiori che rimangono anche al di là della questione del reddito”. 

 

A sostegno di questa tesi Washington ha messo in luce come gli afroamericani della classe media, quindi con un reddito tra i 50.000-60.000 dollari all'anno, siano esposti a livelli molto più alti di prodotti chimici industriali, inquinamento atmosferico, metalli pesanti e altri agenti patogeni, rispetto ai bianchi che possono essere considerati poveri, quindi con un reddito annuo di circa 10.000 dollari. Questa disparità esisterebbe in entrambe le aree urbane e rurali.

Dall'acqua contaminata da piombo a Flint, nel Michigan, ai gas nervini, dall'arsenico e ai bifenili policlorurati ad Anniston, in Alabama, l’autrice riporta diversi casi in cui si nota come gli afroamericani e le minoranze etniche avrebbero maggiori probabilità di vivere in aree "svantaggiate" che sono più vicine alle fonti di inquinamento industriale. Uno studio preliminare pubblicato medRxiv, sono ancora soggetto a revisione tra pari, avrebbe collegato l'esposizione al’inquinamento anche ad una maggiore probabilità di morire per COVID-19.

Questo è un tema molto dibattuto, che abbiamo già affrontato anche su questo giornale e su cui è necessario ancora del tempo per avere una risposta concreta.


LEGGI ANCHE:

Covid-19 e inquinamento: cosa sappiamo finora? Il punto con l'epidemiologo Fabrizio Bianchi

 

Tornando alla domanda iniziale quindi, possiamo parlare di razzismo ambientale. L’esposizione ad inquinanti, la scarsa possibilità di rifornirsi di cibi nutrienti e freschi, con solo la disponibilità di discount in cui acquistare cibo spazzatura, l’impossibilità di avere accesso agli spazi verdi e alle strutture per l'esercizio fisico, sono tutte disuguaglianze su cui uno stato dovrebbe intervenire per poter garantire un welfare egualitario.

A questo però, Washington aggiunge la problematica dei dati. Secondo l’autrice infatti, solamente 40 stati stavano segnalando l’etnia delle persone morte per COVID-19, e solamente 3 lo stavano facendo per le persone che avevano ricevuto i test COVID-19. 

Affrontare il razzismo ambientale è l’unico modo per poter uscire dalla pandemia. "Nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro", ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, capo dell'Organizzazione mondiale della sanità, ma ci sono situazioni in cui la sicurezza delle persone, e parliamo solo delle tecniche di prevenzione dell’attuale pandemia, è messa in serio pericolo. Il distanziamento sociale è impossibile per qualcuno che vive in un appartamento sovraffollato, è impossibile per chi è costretto a lavorare fianco a fianco ad un suo collega, è difficile per chi non ha la possibilità di scegliere. Ne abbiamo già parlato anche per quanto riguarda la situazione nei campi profughi, ma se veramente “nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro” allora è il momento per i governi di concentrarsi nel cercare di ridurre le disuguaglianze e garantire un welfare uguale per tutti.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012