SOCIETÀ

Covid-19, l’Italia dispone di un sistema di monitoraggio necessario per la fase 2?

La sera del 26 aprile Giuseppe Conte ha presentato il decreto della presidenza del consiglio dei ministri (dpcm) che dovrebbe segnare il graduale ingresso nella fase 2 di convivenza con il virus. Sarà una ripresa a tappe: il 4 maggio riprenderanno le attività produttive della manifattura, delle costruzioni, del commercio all’ingrosso e riapriranno parchi e giardini pubblici. Dal 18 maggio riaprirà anche il commercio al dettaglio, mentre solo dal 1 giugno potranno riaprire i ristoranti (prima è permesso solo il servizio per asporto), i parrucchieri e i centri estetici. Una serie di documenti allegati illustrano quali protocolli igienici e di sicurezza sarà necessario seguire e a quali settori sono indirizzati. La condizione irrinunciabile sarà comunque il distanziamento sociale affiancato da un sistema di monitoraggio che prevede una comunicazione continua tra Regioni e governo centrale.

All’articolo 2 del dpcm, punto 11, si legge che “Nei casi in cui dal monitoraggio emerga un aggravamento del rischio sanitario, individuato secondo i principi per il monitoraggio del rischio sanitario di cui all’allegato 10 […] il presidente della Regione propone tempestivamente al ministro della Salute […] le misure restrittive necessarie e urgenti per le attività produttive delle aree del territorio regionale specificamente interessate dall’aggravamento”.

Il decreto ha scontentato diversi attori, dai negozianti ai ristoratori. Persino i vescovi della Cei hanno avuto da ridire sulla decisione governativa di proibire le messe. Hanno fatto discutere anche alcuni passaggi del decreto che hanno lasciato troppo spazio all’interpretazione, come quello relativo al ricongiungimento con i propri cari.

Troppo poco forse ci si è soffermati ad analizzare quali sono i “principi per il monitoraggio del rischio sanitario” che il governo intende seguire e sulla base di quali previsioni scientifiche intende valutare i dati provenienti da quel monitoraggio che, è bene sottolinearlo, laddove dovesse tornare a segnalare valori critici farebbe scattare nuovamente “misure restrittive necessarie e urgenti” che segnerebbero il ritorno al lockdown della fase 1.

“Il governo ha sposato la linea della prudenza ed è assolutamente comprensibile che l’abbia fatto” commenta Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca pediatrica-Fondazione città della Speranza, immunologa e docente di patologia generale all’università di Padova. “La riapertura delle attività produttive individuate dal decreto era necessaria, così come lo sarebbe stata quella di tutte le altre, ma evidentemente in questo momento non è possibile rischiare così tanto. Ho notato però che non si fa cenno all’impegno dello Stato nella tutela della salute dei cittadini. Ora parlo da cittadina più che da immunologa: è stato messo troppo sulle spalle dei cittadini e invece occorreva che il governo mostrasse cosa è in grado di fare per tutelare la salute dei lavoratori che rientrano nelle aziende. Lo Stato dovrebbe garantire i test, i tamponi e il tracciamento dei contatti per monitorare l’andamento dell’epidemia. Questi aspetti non sono stati affrontati a dovere ed è secondo me un grave difetto del decreto. Perché non sono stati affrontati? Penso semplicemente che non siano ancora pronti”.

Allegato 10: principi per il monitoraggio del rischio sanitario

L’allegato 10 citato nel dpcm (pubblicato anche in gazzetta ufficiale) espone proprio i “principi per il monitoraggio del rischio sanitario” e mostra, con il diagramma di un algoritmo, quale dovrebbe essere il piano d’azione per permettere la progressiva riapertura del Paese. La fine della pandemia e il ritorno alla normalità vengono previste solo in quella che viene chiamata fase 4, che richiederà a sua volta una fase 3 in cui ci sarà l’accesso diffuso a un trattamento o a un vaccino. Ma prima ancora ci sono la fase 2A e 2B, a riprova della marcata gradualità che contraddistingue la fase 2 verso cui timidamente ci avviamo.

Il 13 aprile l’Organizzazione mondiale della sanità in conferenza stampa aveva elencato i 6 punti che devono rappresentare condizioni imprescindibili per l’allentamento delle restrizioni. Tra questi la dimostrata capacità del sistema sanitario di identificare, sottoporre a test, isolare e sottoporre a trattamento ogni caso di CoVid-19 e tracciarne ogni contatto.

Il piano del governo prevede 6 punti simili a quelli richiesti dall’Oms, anche se non del tutto sovrapponibili. E sono:

  • Capacità di monitoraggio epidemiologico
  • Stabilità di trasmissione
  • Servizi sanitari non sovraccarichi
  • Attività di readiness
  • Abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti
  • Possibilità di garantire adeguate risorse per contact tracing, isolamento e quarantena

Servizi sanitari non sovraccarichi

Purtroppo però ad un’analisi attenta l’unico requisito che oggi sembra soddisfatto è quello relativo al non sovraccarico dei servizi sanitari, che nelle ultime settimane hanno visto alleggerire una pressione che, specialmente in Lombardia, li aveva portati al limite del collasso.

Capacità di monitoraggio epidemiologico

Il 25 aprile il commissario Domenico Arcuri ha dichiarato conclusa e assegnata la gara d’appalto per la fornitura dei test sierologici in Italia. Vincitrice è risultata l’azienda farmaceutica statunitense Abbott che ha dichiarato di essere in possesso di un test con sensibilità e specificità superiori al 99%. Dal 4 maggio i test verranno somministrati a 150.000 persone a titolo gratuito. La loro utilità sarà soprattutto epidemiologica perché aiuteranno a capire la vera portata della diffusione del virus nella popolazione italiana, che ad oggi resta solo stimata. Inoltre fintanto che non verrà indagata più a fondo e compresa la risposta immunitaria del nostro organismo, il risultato positivo del test, che certifica la presenza degli anticorpi IgG, non è garanzia di immunità al Sars-CoV-2.

Angela Merkel spiega come la previsione dell'andamento dell'indice R0 impatta sul sistema sanitario. La Repubblica

Stabilità di trasmissione

A metà aprile la cancelliera tedesca Angela Merkel in una conferenza stampa aveva spiegato in che modo l’oscillazione del valore dell’indice di riproduzione del virus, R0, impatta sul sistema sanitario: “Se arriviamo al punto in cui ognuno infetta in media 1,1 persone a ottobre raggiungeremo la massima capacità del nostro sistema sanitario per quanto riguarda i posti in terapia intensiva. Se arriviamo a 1,2 raggiungeremo il limite del nostro sistema sanitario a luglio. E se arrivassimo a 1,3 questo accadrà a giugno. Potete rendervi conto di quanto il margine sia minimo. E l’intera evoluzione di questo modello è basata sul fatto che abbiamo la capacità di monitorare e tracciare un soggetto infetto. E sul fatto che abbiamo una conoscenza migliore degli strumenti di protezione e in base a questo possiamo allentare le restrizioni. Ma stiamo camminando su un ghiaccio sottile”, specifica la Merkel, che negli ultimi giorni ha visto il valore di R0 riavvicinarsi al valore 1, quando era sceso a 0,7 nei giorni precedenti.

Il presidente del consiglio italiano nella sua comunicazione al Paese non ha fatto esplicito riferimento ad un modello scientifico capace di prevedere l’impatto dell’epidemia sul sistema sanitario nazionale o sul Paese, ma potrebbe essere solo una scelta comunicativa. “In realtà il premier non deve essere un scienziato” commenta Antonella Viola, “sono molto contenta che la Merkel lo sia, ma non è necessario esserlo. Non possiamo pretendere una società in cui i Capi di Stato debbano essere scienziati, per lo meno io non sono per una società scientista. L’importante è avere dietro una squadra di scienziati in grado di dare consigli e indicazioni".

Secondo Antonella Viola non è necessario che il premeir italiano sappia di scienza. È invece necessario che chi lo consiglia sappia di scienza, e dietro al presidente Conte c'è il Comitato Tecnico Scientifico guidato da Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto Superiore di Sanità. Come riportato dal Corriere della Sera, un documento del Cts è stato consegnato al governo il 22 aprile. La relazione raccomandava massima cautela al governo sulla possibilità di far ripartire numerose attività e spiegava che il valore di R0 in Italia oggi è inferiore a 1, tra 0,5 e 0,7, ma persistono i nuovi casi di infezione in tutto il contesto nazionale. Il Cts ha anche elaborato un'analisi del tutto simile a quella presentata dalla Merkel in Germania relativa ai tempi di saturazione delle terapie intensive. Nel peggiore degli scenari valutati dal Cts il valore R salirebbe fino a 2 per effetto della riapertura totale e i letti delle terapie intensive verrebbero occupati tutti entro giugno.

Secondo Antonella Viola le decisioni che sono state prese hanno certamente alle loro spalle un’analisi scientifica. “Hanno riaperto le attività dove è possibile mantenere una distanza di sicurezza, dove è possibile usare la mascherina, non hanno riaperto quelle attività dove c’è un rischio di aggregazione non controllabile e dove non sempre si può tenere la mascherina, come bar e ristoranti. Le misure che sono state proposte mi sembrano condivisibili, come l’apertura dei parchi, perché sappiamo che il contagio avviene principalmente nei luoghi chiusi. Giusto anche l’uso obbligatorio delle mascherine nei luoghi chiusi e nei mezzi di trasposto. C’è uno studio che è stato pubblicato da poco in cui sono stati analizzati più di 300 focolai in Cina e gli autori concludono che il virus si propaga nei luoghi chiusi, appartamenti, mezzi di trasporto, ospedali, uffici”.

Attività di readiness

Come fatto notare da Antonella Viola il presidente Conte e il decreto da lui firmato non si soffermano sulle capacità che l’Italia ha di monitorare e tracciare i soggetti infetti, sintomatici e asintomatici. Purtroppo in questo caso neanche dal Comitato Tecnico Scientifico arrivano rassicurazioni. Intervistato dal Tg3 Luca Richeldi, pneumologo dell’università Cattolica di Roma e membro del Cts, alla domanda “il sistema è pronto per individuare i pauci-sintomatici e gli asintomatici?” ha risposto “il problema dell’asintomatico o pauci-sintomatico che comunque è contagiante è un problema che è emerso abbastanza di recente. Ci si sta preparando per avere più capacità di tamponi e più capacità di diagnostica precoce”.

Quanto riportato Richeldi conferma che l’Italia ha iniziato forse troppo tardi ad attrezzarsi per queste operazioni fondamentali, che dovrebbero essere precondizioni di una riapertura.

Abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti

Il piano illustrato nell’allegato 10 del dpcm è giusto, in linea teorica, ma la pratica è purtroppo ancora troppo distante dalla teoria. La Lombardia ad esempio è perfettamente consapevole che per la ripartenza occorre seguire la logica delle 4 ‘D’, come è stata battezzata: Diagnostica, Dispositivi di protezione, Distanziamento e Digitalizzazione. Ma proprio in Lombardia non si è riusciti a fare tamponi diagnostici nemmeno a tutto il personale sanitario, così come a molte persone in isolamento che, pur presentando i sintomi del CoVid-19, non sono mai state sottoposte al test.

Possibilità di garantire adeguate risorse per contact tracing

Per quanto riguarda invece la capacità di tracciamento dei contatti di coloro che risultano positivi al tampone, il governo ha puntato su una app, Immuni, basata sulla misura di prossimità calcolata dal segnale Bluetooth. Affinché sia davvero efficace occorre che circa il 60% della popolazione su base volontaria ne faccia utilizzo, ma l’effettivo numero di smartphone prima e la scarsa alfabetizzazione digitale degli italiani poi sembrano ostacoli difficilmente aggirabili. Alla vigilia della fase 2 non c’è una data per l’inizio dell’utilizzo della app.

Il dpcm mostra, nell’allegato 10, quale dovrebbe essere il piano d’azione da seguire per allentare gradualmente le restrizioni, ma tale piano è basato su un sistema di monitoraggio che su scala nazionale appare ancora lacunoso e lontano dalla preparedness richiesta dall’Oms.

L’epidemia da CoVid-19 non si combatte solo negli ospedali, come il caso lombardo e ora in parte anche quello piemontese ci hanno drammaticamente testimoniato. Si combatte con la collaborazione di tutti i cittadini, con la consapevolezza di quanto è indispensabile la prevenzione, con la ricerca, con gli strumenti di protezione e di diagnosi precoce, con azioni tempestive e mirate sul territorio al presentarsi dei primi focolai, con l’alleanza delle tecnologie digitali e naturalmente attrezzando gli ospedali con gli adeguati dispositivi e protocolli di protezione. La capacità di implementare queste misure sta delineando un inedito standard di modernità, cui rispondono bene Paesi come la Corea del Sud e Singapore, caratterizzati da una democrazia tecnocratica, parte dei new Asian values, come li ha definiti il politologo Parag Khanna. Ma anche la Germania ha dimostrato di saper rispondere con prontezza. In questa nuova corsa globale invece l’Italia sembra arrancare.

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