SCIENZA E RICERCA
Eventi meteorologici estremi ed emergenza climatica: un legame non casuale
Anche nel 2020 si è registrato un alto numero di eventi climatici estremi: pensiamo al susseguirsi di cicloni atlantici di grande potenza, ai fenomeni simili che si verificano nel mar Mediterraneo (possiamo menzionare, tra i tanti, il recentissimo ciclone Ianos, che ha imperversato sulle coste della Grecia a settembre 2020), alle “bombe d’acqua” che hanno colpito anche l’Italia.
La sempre maggiore violenza con la quale questo genere di fenomeni si manifesta è con ogni probabilità collegata ai cambiamenti climatici, i cui effetti si riverberano sull’equilibrio dinamico del sistema climatico globale, alterandone le ciclicità e determinando effetti a catena la cui portata è difficile da prevedere e controllare.
«Per quanto riguarda i cicloni tropicali, in particolare quelli che si verificano nell’oceano Atlantico, il cambiamento climatico altera il loro grado d’intensità, non il loro numero», spiega a Il Bo Live il professor Antonello Pasini, fisico climatologo del CNR e docente di Fisica del clima all’università di Roma Tre. «Nella stagione degli uragani, gli oceani presentano sempre una temperatura superficiale piuttosto alta, favorevole alla formazione di questi fenomeni. Il loro numero, dunque, dipende dai meccanismi di circolazione oceanica, mentre sulla violenza dei cicloni influiscono i fattori termodinamici».
L'intervista completa al prof. Antonello Pasini. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar
La correlazione fra l’aumento della temperatura media globale e l’intensificazione della violenza degli uragani non è più una mera ipotesi, ma una realtà scientificamente dimostrata: lo evidenzia, ad esempio, un importante studio pubblicato sulla rivista americana PNAS che, analizzando i dati sui cicloni tropicali registrati fra il 1979 e il 2017, mette in risalto come, nel corso degli ultimi quarant’anni, sia aumentata almeno del 15% la probabilità che, nell’arco di una sola stagione, si verifichi un numero maggiore di cicloni di violenza pari o superiore alla categoria 3 della scala Saffir-Simpson, classificati come “uragani maggiori”. «Il fatto che la superficie del mare si stia scaldando sempre più rende più violenti questi fenomeni: ad aumentare sono, in particolare, fattori come la velocità del vento, l’entità delle precipitazioni e la possibilità che si verifichi lo storm surge, con conseguenti forti inondazioni», aggiunge Pasini.
L’alterazione dell’intensità dei fenomeni meteo-idrogeologici non si verifica soltanto nelle regioni oceaniche e a latitudini tropicali: negli ultimi anni, infatti, si registra un aumento di potenza anche per i cicloni extra-tropicali, come ad esempio quelli che si verificano nel bacino mediterraneo, denominati – con un discutibile neologismo inglese – “medicane” (termine che nasce dalla crasi tra mediterranean e hurricane). «Si tratta di fenomeni diversi dagli uragani tropicali sia per la loro entità – si tratta infatti di fenomeni di minori dimensioni – sia per le loro modalità d’innesco: nel Mediterraneo è importante tener conto sia del fatto che non sempre la temperatura del mare raggiunge determinate soglie, sia dei particolari meccanismi di circolazione marina. In questo contesto, i cambiamenti climatici non incidono soltanto sull’innalzamento della temperatura media superficiale del mare, ma generano anche dei cambiamenti nella circolazione: sempre più spesso, nelle zone temperate come la nostra, la circolazione assume una direzione nord-sud, generando un più forte contrasto di masse d’aria calde e fredde che favorisce la formazione di cicloni. Nel Mediterraneo, dunque, il riscaldamento globale determina non solo un aumento dell’intensità, ma anche del numero di simili fenomeni». Ancora una volta, la crisi climatica rivela la propria ubiquità: non esistono conseguenze che, in quanto distanti nello spazio o nel tempo, possiamo semplicemente ignorare, perché prima o poi anche a noi sarà presentato il conto.
Gli eventi estremi sono figli della crisi climatica, poiché sorgono dall’alterazione dell’equilibrio dinamico che caratterizza il complesso sistema terrestre. Vi sono una serie di punti di non ritorno che è importante non superare, affinché non si mettano in moto meccanismi di retroazione che coinvolgerebbero moltissime variabili e diverrebbero presto impossibili da gestire. «Certamente non possiamo più tornare indietro», afferma il professor Pasini. «L’obiettivo a cui ora dobbiamo mirare è limitare i danni, cercando ad esempio di contenere l’innalzamento della temperatura media globale entro soglie non pericolose. Le soluzioni sono già note: ridurre le emissioni di gas serra, fermare la deforestazione, rendere sostenibili i sistemi agricoli, e in generale cercare di non superare i famosi nove planetary boundaries».
«Tuttavia – prosegue il climatologo – sebbene contenere l’emergenza climatica sia certamente essenziale per limitare la pericolosità degli eventi meteorologici estremi, questo non è sufficiente: bisogna anche prendere in considerazione, come elemento della “Equazione dei disastri” (A. Pasini, Codice Edizioni 2020), la fragilità e la vulnerabilità dei territori a rischio. Anche qui, infatti, vi è molto da migliorare: bisogna dunque intervenire per rimediare agli interventi antropici poco assennati che hanno reso i territori più fragili». Pensiamo a realtà tragiche come l’erosione dei suoli dovuta alle pratiche di agricoltura intensiva, oppure l’urbanizzazione selvaggia degli ultimi sessant’anni: tutti interventi che hanno contribuito ad aumentare in maniera esponenziale i rischi idrogeologici. «Infine – conclude il professore – è necessario assumersi le dovute responsabilità: non possiamo agire egoisticamente, senza lungimiranza, ignorando la portata delle conseguenze delle nostre scelte. Rispettare il territorio, evitando di commettere abusi, è una scelta dalla quale tutti possono trarre beneficio: bisogna, perciò, diffondere e rafforzare – soprattutto in un territorio fragile come la nostra Penisola – una autentica cultura del rischio. Questa, in fondo, fa il paio con una responsabile cultura della legalità».