La nascita della scienza moderna non ha una data precisa, né un luogo circoscritto. La fase di gestazione abbraccia un periodo di quasi centocinquant’anni, emblematicamente racchiuso tra il 1543, data della pubblicazione del De Revolutionibus di Copernico, e il 1687, data di pubblicazione dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Newton. E coinvolge non una singola città né un singolo paese, ma l’Europa intera che attraverso l’Umanesimo e il Rinascimento raccoglie l’eredità dei formidabili sviluppi medioevali della scienza islamica.
Proprio al centro di questo lungo periodo di gestazione si colloca l’opera galileiana. La grandezza di Galileo sta nella sua consapevole presa di distanze dalla tradizione dominante e in un approccio ai problemi della conoscenza della natura così innovativo che quando si leggono i suoi scritti sembra di leggere gli scritti di uno scienziato di oggi. Anche per questo l’opera di Galileo è diventata l’emblema di una svolta. Prima di Galileo la conoscenza dei fenomeni naturali era essenzialmente legata all’osservazione diretta; da Galileo in poi l’osservazione si integra con la sperimentazione. Prima di Galileo gli strumenti erano pochi, usati per alcune misure di topografia, geodesia o astronomia, e più spesso impiegati per soddisfare bisogni quotidiani; da Galileo in poi gli strumenti diventano ineliminabili ausili per ampliare le conoscenze scientifiche. Si supera così la millenaria distinzione tra arti liberali, le sole che si pensava producessero la vera conoscenza, e arti manuali o meccaniche, quelle delle botteghe degli artigiani e degli artisti, rivolte alla pratica e all’uso ma non produttrici di conoscenza. La rivalutazione delle arti meccaniche è chiaramente espressa da Galileo nel seguente passo dei Discorsi e Dimostrazioni Matematiche intorno à due nuove scienze, 1638 [Opere, vol. VIII, p. 49]:
SALV. Largo campo di filosofare a gl’intelletti specolativi parmi che porga la frequente pratica del famoso arsenale di voi, Signori Veneziani, ed in particolare in quella parte che mecanica si domanda; atteso che quivi ogni sorte di strumento e di machina vien continuamente posta in opera da numero grande d’artefici, tra i quali, e per l’osservazioni fatte da i loro antecessori, e per quelle che di propria avvertenza vanno continuamente per sé stessi facendo, è forza che ve ne siano de i peritissimi e di finissimo discorso.
SAGR. V.S. non s’inganna punto: ed io, come per natura curioso, frequento per mio diporto la visita di questo luogo e la pratica di questi che noi, per certa preminenza che tengono sopra ’l resto della maestranza, domandiamo proti; la conferenza de i quali mi ha più volte aiutato nell'investigazione della ragione di effetti non solo maravigliosi, ma reconditi ancora e quasi inopinabili.
Secondo episodio del format Galileo e Padova: 18 anni incredibili, un'idea di Pietro Greco, di e con Giulio Peruzzi, riprese e montaggio di Elisa Speronello
Galileo lasciò Pisa nel 1592 per trascorrere a Padova quelli che in seguito, in una lettera a Fortunio Liceti, definì “Li diciotto anni migliori di tutta la mia età”. Forse troppa enfasi è stata data a questa frase. La lettera infatti fu inviata da Arcetri il 23 giugno 1640, quando Galileo era alla fine della sua vita, praticamente cieco e agli arresti domiciliari dopo l’abiura impostagli dalla Chiesa di Roma nel 1633. E tuttavia gli anni trascorsi a Padova tra il 1592 e il 1610 furono fondamentali. Nel corso di quegli anni Galileo inventò o migliorò strumenti e sviluppò ricerche essenziali per la stesura dei suoi capolavori: il Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo (1632), e i Discorsi e le dimostrazioni intorno a due nuove scienze (1638).
Proprio a Padova Galileo prende definitivamente le distanze dalla tradizione dominante, in larga parte di matrice aristotelica.
GALILEO E PADOVA: 18 ANNI INCREDIBILI