SOCIETÀ

Il grande muro verde che potrebbe salvare l'Africa. E non solo

Taglierà il continente africano quasi a metà, distribuendosi dal confine orientale a quello occidentale del Paese, in una barriera di alberi lunga quasi 8000 km.

Stiamo parlando della Grande muraglia verde africana, un enorme progetto di riforestazione e gestione sostenibile del suolo che dal 2007 coinvolge diversi Paesi africani e che punta a diventare, una volta completata, la più ampia struttura ecologica vivente del pianeta, tre volte più grande della Grande barriera corallina. 

L’imponente opera attraversa l’area geografica del Sahel, all'estremità meridionale del deserto del Sahara, uno dei luoghi più poveri del pianeta e tra i più colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici. Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, l’estensione del Sahara nel ventesimo secolo è cresciuta del 20% spostando il suo confine meridionale verso sud, tra il 1950 e il 2015, di circa 100 km.
Condizioni queste che hanno avuto, e continuano ad avere, un impatto molto forte non solo dal punto di vista geografico, ma anche ecologico, ambientale, sociale e umanitario. La siccità persistente, la mancanza di cibo, i conflitti dovuti alla scomparsa sempre più rapida di risorse naturali e le migrazioni di massa verso l'Europa sono solo alcune delle conseguenze che questo territorio sta pagando.

L’idea di un ‘esercito verde’ fatto di alberi, piante, cespugli, siepi e piccole coltivazioni rurali che freni l’avanzata del deserto, nasce nel 1970 e diventa realtà nel 2007 grazie all’Unione africana che ha messo nero su bianco il progetto. Oggi, gli 11 paesi che hanno aderito inizialmente all'iniziativa, sono diventati oltre venti in tutta l'Africa sostenuti da organizzazioni internazionali come la Fao, le Nazioni Unite, l’Unione europea e molti altri ancora. 

La Grande muraglia verde interessa un territorio abitato da oltre 230 milioni di persone, lungo circa 7.800 chilometri e largo 15, che dal Senegal arriva a Gibuti. Pensato con l’obiettivo di ripristinare 100 milioni di ettari di terreno attualmente degradato, entro il 2030, catturare 250 milioni di tonnellate di Co2 e creare 10 milioni di posti di lavoro nelle aree rurali, il progetto vede i primi lenti risultati anche se la strada sembra essere ancora molto lunga.
Fino ad oggi in Nigeria sono stati recuperati 5 milioni di ettari di terra degradata e creati ventimila posti di lavoro e così in Etiopia dove sono stati recuperati 15 milioni di ettari di terra degradata, e duemila in Sudan. Tra Burkina Faso, Mali e Niger, invece, è stato creato un corridoio verde lungo oltre 2.500 chilometri, coinvolgendo gli abitanti di 120 villaggi nella piantumazione di una cinquantina di specie native mentre in Senegal, dove negli ultimi dieci anni siano stati piantati 12 milioni di alberi resistenti alla siccità, i primi problemi iniziano a vedersi. Per alcune aree, infatti, dove le operazioni di piantumazione sono riuscite, ce ne sono altrettante in cui la nuova vegetazione, è già brulla e rada. I costi del progetto, inoltre, sono alti e i controlli sul lavoro svolto, pochi.
Per questo, dal 2012 il progetto è stato drasticamente rimodellato: non più solo nuovi alberi piantati, ma anche una varietà vegetale più ricca e complessa, favorendo la diffusione di specie autoctone e psammofile, ovvero adattabili ai climi aridi del deserto, con l’ulteriore intervento della fauna nella semina. 

Il direttore della FAO annuncia il nuovo progetto di una Grande muraglia verde per le città

La Grande muraglia verde è il progetto di punta del decennio dell’Onu per il ripristino dell’ecosistema, che si aprirà tra pochi mesi, nel 2021, ed è stato fonte d’ispirazione per il progetto ‘Grande muraglia verde per le cittàannunciato lo scorso anno dal direttore generale della FAO, Qu Dongyu. Un’iniziativa che punta, entro il 2030, a convertire circa 500.000 ettari di terra in nuove foreste urbane e a ripristinare o gestire correttamente circa 300.000 ettari di foreste naturali esistenti nella regione del Sahel e in Asia Centrale.

Se infatti le città sono tra le principali cause dei cambiamenti climatici, sono anche le prime vittime dei loro effetti. Ma gli alberi potrebbero segnare un punto di svolta, non solo in Africa. Entro il 2050 la percentuale della popolazione che vive nelle città sarà pari al 70%, e gran parte di questa crescita demografica riguarderà l'Africa e l'Asia. Ecco perché progetti come quello africano, sempre più diffusi nel mondo anche in forme diverse, diventano fondamentali nella pianificazione territoriale e urbanistica. Gli alberi e le piante, infatti, non solo aiutano nell’assorbimento di Co2, contribuiscono a ridurre la temperatura dell'aria migliorandone anche la qualità, riducono i flussi delle acque meteoriche, ma anche migliorano le caratteristiche del suolo, rigenerandolo e favorendo le coltivazioni e possono quindi diventare perfetti alleati nella lotta al cambiamento climatico. 

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